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Stand structure and dead wood characterization in cork forest of Calabria region (southern Italy)

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 7, Pages 158-168 (2010)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0628-007
Published: Jul 30, 2010 - Copyright © 2010 SISEF

Research Articles

Guest Editors: 7° SISEF Congress (Pesche, IS - 2007)
« Development, adaptation, naturality and conservation »
Collection/Special Issue: Marco Marchetti, Roberto Tognetti

Abstract

The cork forests are one the most interesting forest ecosystems in the Mediterranean area. Their distribution and ecological characteristics have undergone a significant transformation after the significant changes following the development and establishment of agricultural crops. Currently, only a few stands, which survive in hard to reach places, prove the wide spread distribution of this species was also in the recent past. This study describes the stand structure of some cork forests in Calabria region (southern Italy). In order, to characterize the vertical structure Latham index has been applied, while for the description of the horizontal distribution NBSI group indices has been used. Detailed surveys on dead wood were also conducted determining the occurring volume and its decay stage according to the decay classes system proposed by Hunter. The aim of this study is to provide guidelines for sustainable management of cork forests, improving and promoting the structural complexity and functional efficiency of these forest stands.

Keywords

Quercus suber L., Sustainable forest management, Stand structure, Structural index, Dead wood

Introduzione 

La quercia da sughero (Quercus suber L.) è una delle specie forestali più importanti del settore occidentale del bacino del Mediterraneo. In Calabria, i popolamenti ricoprivano fino ai primi anni del XIX secolo un’area ben più vasta di quella attuale. Ne sono testimonianza una ricca documentazione storica e la presenza di popolamenti, estesi anche su ampie superfici, oltre a nuclei e a singole piante, che si riscontrano lungo i versanti ed in alcune zone non costiere ([3]).

La progressiva riduzione dell’area di vegetazione della sughera è da ricondurre a molteplici attività antropiche che hanno interessato questi boschi e che, sinteticamente, si possono ricondurre ai ripetuti incendi, alle conseguenze del pascolo eccessivo, alla necessità di ampliare l’area destinata alle colture agrarie e all’intensa azione di decortica per ricavare tannino utilizzato nella concia dei cuoi ([6]) e per tingere le reti da pesca. Un’attività quest’ultima che si era talmente sviluppata da costringere le Autorità forestali del tempo, che temevano per la stessa sopravvivenza della specie, a emanare, nel 1829, un decreto che vietava l’asportazione delle scorze, decreto che solo tre anni dopo venne revocato a seguito delle proteste dei proprietari che vedevano progressivamente ridotto il loro reddito. Successivamente, nel 1837, le autorità locali imposero ai privati una maggiore vigilanza nella gestione delle sugherete.

In molte zone della Calabria, la sughereta era utilizzata per produrre carbone indispensabile per le attività manifatturiere e industriali come le filande per la seta, i conci di liquirizia, le calcare per la calce e, soprattutto, per l’industria siderurgica, senza però trascurare anche l’uso domestico per la cucina e per il riscaldamento durante il freddo inverno.

La gestione delle sugherete non si discosta molto da quella del passato. Soprattutto nel caso di popolamenti misti con leccio, si adotta la forma di governo a ceduo con turni di 20-24 anni per ottenere legna da ardere.

Secondo i dati dell’inventario delle foreste e dei serbatoi di carbonio ([8]), le sugherete in Calabria interessano una superficie di 4851 ettari.

I popolamenti più significativi si riscontrano lungo tutto il versante tirrenico della regione dove la sughera è presente con formazioni molto frammentate, mentre sul versante occidentale và dal livello del mare fino a 400-500 m di quota. Nel passato interessava tutta la Piana di Lamezia Terme; oggi, invece, dopo l’intensa attività di bonifica attuata nella prima metà del secolo scorso, si limita i versanti della Presila, delle Serre Vibonesi e della Valle dell’Angitola. Più a sud, fino agli inizi del 1800, i boschi di sughera erano pienamente diffusi anche nella Piana di Rosarno e di Gioia Tauro, fino a quando le piantagioni di olivo hanno costretto la specie a rifugiarsi sulle ripide pendici che portano ai Piani dello Zomaro e sui versanti nord-occidentali dell’Aspromonte.

Sul versante ionico la sughera è più rara. Piccoli nuclei si trovano vicino Gerace tra 300 e 400 m di quota. Più a nord, sui versanti orientali delle Serre Vibonesi, la sughera forma popolamenti piuttosto ampi, puri, tra 300 e 450 m s.l.m.. È presente sui versanti sud-occidentali dei Monti Reventini e della Presila tra il Golfo di Squillace e di Sant’Eufemia fino a 400 m di quota; sale poi fino a 500-550 m nei bacini dei fiumi Alli, Simeri e Crocchio. Nel Marchesato, esemplari di sughera si trovano alle porte di Crotone; salendo verso nord la sua presenza è estremamente rara. Nuclei significativi si riscontrano nella Valle del Crati, sui versanti della Presila di Cosenza e nella Valle del Savuto fino a 400 m di quota.

I popolamenti presentano una grande variabilità, in termini di superficie e struttura, legata all’azione che l’uomo, direttamente o indirettamente, ha esercitato su di essi. In tutti i casi, però, si può notare che se cessano le azioni di disturbo, la sughera manifesta un grande vigore vegetativo e riesce a rinnovarsi gamicamente con relativa facilità. Molto spesso si insedia anche novellame di altre specie, soprattutto leccio, roverella e corbezzolo.

Mercurio & Spampinato ([15]) per le sugherete calabresi individuano tre tipologie:

  • sugherete mesofile, tipiche di un bioclima mesomediterraneo, con precipitazioni medie annue superiori ai 1000 mm e temperature medie annue comprese tra 14 e 16 °C;
  • sugherete meso-termofile, legate ad un bioclima mesomediterraneo sub-umido con precipitazioni medie annue comprese tra 700 e 1000 mm e temperature medie annue comprese tra 14 e 16 °C;
  • sugherete termo-xerofile, abbastanza affini alle precedenti, e caratterizzate dalla presenza di specie tipiche di ambienti caldi e secchi (Myrtus communis L., Pistacia lentiscus L., Osyris alba L.) e dall’assenza delle specie più mesofile.

Negli ultimi decenni si è assistito ad un generale abbandono colturale delle sugherete, in cui è venuta meno ogni pratica selvicolturale, compresa l’estrazione del sughero, e ciò ha favorito i tagli abusivi, gli incendi e il pascolo incontrollato.

Alla luce di questo quadro di riferimento, il presente lavoro ha come obiettivo quello di analizzare le caratteristiche strutturali di una delle più importanti e meglio conservate sugherete della Calabria e di proporre indicazioni per una gestione che consenta di migliorarne e promuoverne la complessità strutturale ed l’efficienza funzionale.

Materiali e metodi 

Area di studio

Lo studio ha interessato alcune sugherete poste nel bacino del Torrente Vacale, nel comune di San Giorgio Morgeto (Reggio Calabria), lungo i ripidi versanti che dai Piani dello Zomaro scendono verso la Piana di Gioia Tauro. L’area si trova a quote comprese tra 300 e 550 m; presenta macroesposizione nord- ovest, con variazioni locali legate alla presenza di numerosi piccoli corsi d’acqua che confluiscono nel Torrente Vacale. Le pendenze sono, in genere, elevate soprattutto in prossimità dei corsi d’acqua e dei fossi.

Il tipo litologico è costituito da rocce acide biotitiche, a grana da media a grossolana, a composizione variabile tra la quarzo-monzonite e il granito. I suoli presentano un’elevata resistenza all’erosione, anche se localmente possono risultare alterati e degradati tanto da innescare movimenti franosi. La permeabilitàè generalmente bassa, con aumento della stessa nelle zone di fratturazione e degradazione ([4]). Secondo la classificazione americana ([19]), i suoli sono riferibili al grande gruppo dei Distroxerepts: si tratta di suoli da sottili a moderatamente profondi a seconda delle condizioni di pendenza, con scheletro abbondante, a reazione acida e con una tessitura franco-sabbiosa. Sono caratterizzati da un orizzonte di superficie ricco di sostanza organica, di colore scuro, di consistenza soffice e desaturato ([1]).

Per l’inquadramento climatico dell’area di studio è possibile fare riferimento ai valori di temperatura e precipitazioni registrati per la stazione di Cittanova a 407 m s.l.m. Sulla base delle osservazioni, la temperatura media annua è di 15.7 °C e le precipitazioni raggiungono i 1539 mm annui; il periodo arido è limitato ai mesi di luglio e agosto e risulta attenuato dalle nebbie e dal contrasto delle correnti provenienti dal mar Tirreno e dallo Ionio (Fig. 1).

Fig. 1 - Diagramma termo-pluviometrico di Walter e Lieth per la stazione di Cittanova (RC).

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Secondo la classificazione di Rivas-Martinez ([16]) il bioclima è di tipo mesomediterraneo umido mentre, secondo la classificazione fitoclimatica di Pavari, l’area d’indagine ricade nella sotto zona fredda del Lauretum. L’indice di aridità di De Martonne indica che la zona è da considerarsi umida.

Le formazioni di sughera possono essere inquadrate nell’associazione Helleboro - Quercetum suberis ([17]), mentre secondo la classificazione tipologica di Mercurio & Spampinato ([15]) rientrano tra le mesofile e sono caratterizzate da grande stabilità e capacità di auto perpetuazione grazie al fatto che la rinnovazione si insedia facilmente anche sotto parziale copertura.

Rilievi ed elaborazione dei dati

Per la definizione delle caratteristiche dendrometriche e strutturali dei soprassuoli presi in considerazione, sono stati condotti rilievi di dettaglio all’interno di transect, di forma rettangolare e superficie di 1000 m2 (50 x 20 m), rappresentativi delle condizioni medie dei popolamenti. In ciascuno di essi è stato effettuato il cavallettamento di tutte le piante presenti a partire da un diametro minimo di 2.5 cm. Di ogni pianta sono state rilevate: le coordinate polari rispetto a un vertice del transect, l’altezza totale e di inserzione della chioma verde e la proiezione a terra della stessa nelle quattro direzioni cardinali. Per la rappresentazione grafica dei popolamenti (profilo verticale, vista prospettica e proiezione orizzontale delle chiome) è stato utilizzato il software SVS - Stand Visualization System - dell’USDA Forest Service ([18]).

Per la caratterizzazione della struttura verticale è stato applicato l’indice di Latham et al. ([11]), mentre per la descrizione della distribuzione degli alberi nello spazio orizzontale (struttura orizzontale o tessitura) sono stati utilizzati gli indici del gruppo NBSI (Neighbourhood Based Structural Indices - [5]).

All’interno dei transect è stata campionata ed analizzata anche la necromassa distinta in:

  • alberi morti in piedi (individui interi o troncati) o a terra (fusti e arbusti caduti) con diametro a m 1.30 da terra uguale o superiore a 2.5 cm;
  • legno morto a terra, rappresentato da rami e tronchi con diametro minimo di 5 cm e lunghezza uguale o superiore a 1 m;
  • ceppaie, rimaste a seguito dell’ultimo intervento di utilizzazione e in fase di decomposizione, con un diametro minimo in corrispondenza della sezione di abbattimento o di rottura di 10 cm.

Per quanto riguarda la necromassa in piedi e gli alberi morti a terra, l’elaborazione dei dati ha consentito di ripartire tutti i soggetti per specie e per classe di diametro. Per ogni componente è stato calcolato il volume mediante la “tavola generale a doppia entrata delle querce” ([12]).

Il legno morto a terra, suddiviso per specie, è stato cubato con la formula di Huber. Il volume delle ceppaie, distinte per specie, è stato ottenuto dal prodotto dall’altezza della ceppaia per la sua area basimetrica calcolata a partire dal diametro in corrispondenza della sezione di abbattimento. Di tutte le componenti della necromassa è stato valutato il livello di decomposizione secondo lo schema di classificazione proposto da Hunter ([7]) in cui si distinguono 9 stadi per il legno morto in piedi e 5 classi per il legno morto a terra.

Risultati 

Sulla base dei rilievi effettuati è stato possibile distinguere le seguenti tipologie strutturali: (i) fustaia di sughera; (ii) fustaia di sughera con rinnovazione di leccio; (iii) ceduo misto sughera - leccio. Nella Tab. 1 sono riportati per ciascuna delle tipologie esaminate i principali parametri dendrometrici.

Tab. 1 - Principali parametri dendrometrici dei soprassuoli esaminati.

Tipologia Specie N. piante
(ha-1)
D. medio
(cm)
H. media
(m)
G
(m2 ha-1)
V
(m3 ha-1)
Fustaia di sughera Sughera 530 34.4 12.66 49.32 447.05
Leccio 120 10.3 8.25 0.95 5.19
Castagno 310 17.8 10.25 7.71 49.54
Totale 960 - - 57.98 501.8
Fustaia di sughera con
rinnovazione di leccio
Sughera 270 39.8 11.31 33.64 287.9
Leccio 1690 4.6 4.87 2.79 8.0
Totale 1960 - - 36.44 295.9
Ceduo misto
sughera - leccio
Sughera 500 39.0 10.34 59.70 463.5
Leccio 640 9.8 5.85 4.80 20.0
Altre specie 60 5.6 4.06 0.08 0.2
Totale 1200 - - 64.57 483.6

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Fustaia di sughera

È costituita da 960 piante a ettaro, di cui 530 di sughera (55% del totale), 310 di castagno (32%) e 120 di leccio (13%). Le piante di sughera caratterizzano lo strato superiore e presentano diametri compresi tra 10 e 80 cm e altezze tra 3.0 e 18.9 m. La chioma è inserita piuttosto in basso, mediamente a 4 m da terra. Il grado di copertura, calcolato mediante il programma SVS, è pari al 90%. Negli ultimi decenni non sono stati seguiti interventi colturali all’interno della sughereta.

Il castagno e il leccio, come numero di piante rappresentano una parte significativa del popolamento (45% delle piante), mentre in termini di area basimetrica e volume costituiscono rispettivamente il 15% e l’11% del totale. Infatti, si tratta di piante di dimensioni piuttosto contenute: i diametri non superano i 30 cm per il castagno e 25 cm per il leccio, mentre le altezze massime sono, rispettivamente, di 15.6 m e 13.6 m. Si tratta di soggetti di origine gamica, insediatisi in piccoli vuoti in tempi piuttosto recenti, in buone condizioni vegetative nonostante la forte concorrenza delle piante di sughera di grandi dimensioni. La rappresentazione grafica del popolamento è riportata nella Fig. 2a.

Fig. 2 - Transect di struttura: (a) fustaia di sughera, (b) fustaia di sughera con rinnovazione di leccio, (c) ceduo misto sughera-leccio.

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All’interno della sughereta si notano promettenti nuclei di rinnovazione, localizzati in corrispondenza di piccoli gap. Si tratta prevalentemente di novellame di sughera, cui spesso si accompagna anche quello di leccio e, saltuariamente, di castagno. I gruppi sono costituiti da un numero limitato di piantine, in buone condizioni vegetative, caratterizzate da accrescimenti in altezza piuttosto sostenuti. I soggetti più vigorosi presentano fusti diritti e ramificazione molto contenuta.

Sotto copertura il sottobosco è generalmente scarso, soprattutto dove la sughereta costituisce popolamenti omogenei e senza interruzioni. In corrispondenza di vuoti e piccole radure è presente, invece, Erica arborea L., Ruscus aculeatus L., felci e rovo che costituiscono spesso una vegetazione quasi impenetrabile.

L’indice di Latham evidenzia una distribuzione delle piante nello spazio verticale caratterizzata da 3 strati. Il primo, quello superiore, è rappresentato dal 60% delle piante, con diametri tra 5 e 78 cm e con il 68% di area basimetrica; il terzo, costituito da piante con diametro inferiore a 30 cm, è rappresentato dal 16% delle piante con l’11% di area basimetrica (Fig. 3a).

Fig. 3 - Stratificazione secondo Latham: (a) fustaia di sughera, (b) fustaia di sughera con rinnovazione di leccio, (c) ceduo misto sughera-leccio.

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L’indice di Winkelmass (UAI) evidenzia nel 45% dei casi una distribuzione delle piante sul terreno di tipo casuale e nel 23% una distribuzione a gruppi. In nessun caso si ha una distribuzione di tipo regolare. L’indice di mescolanza dendrologica (SM) evidenzia la netta prevalenza della sughera (46%), con sporadica presenza di leccio e castagno. L’indice di dominanza diametrica (DBHD) sottolinea come ci siano situazioni caratterizzate da una netta dominanza diametrica (32%) che si alternano ad altre in cui questa è molto scarsa (20%). L’indice di distanza dall’albero più vicino (DIST) segnala una condizione di elevata densità, con distanze reciproche inferiori a 0.5 metri (Fig. 4).

Fig. 4 - Fustaia di sughera. Distribuzione dei valori degli indici NBSI.

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Per quanto riguarda il legno morto, è stato calcolato un valore complessivo di 48.9 m3 ha-1. Considerando i soli alberi morti in piedi, il volume registrato è di 38.7 m3 ha-1. La maggior parte degli alberi morti in piedi (91%) ha un diametro variabile tra 5 e 20 cm; è presente anche una piccola percentuale (9%) di soggetti con diametro di 40-45 cm. Non sono stati individuati alberi interi morti a terra. Il volume della ramaglia è pari a 9.8 m3 ha-1 . Le ceppaie in fase di decomposizione, con 0.4 m3 ha-1 di volume, rappresentano la componente minore della necromassa. Le piante secche sono costituite per la maggior parte da castagno (17 esemplari), sughera (12 piante) e da leccio (2 alberi).

La ripartizione della necromassa nelle classi di decomposizione di Hunter evidenzia come il legno morto a terra rientri esclusivamente nella classe 2, mentre le piante secche in piedi sono attribuibili, prevalentemente, allo stadio 6 e 9.

Fustaia di sughera con rinnovazione di leccio

Questa tipologia deriva da una fustaia di sughera con caratteristiche strutturali analoghe a quelle illustrate precedentemente ed è conseguenza di interventi di demaschiatura effettuati da operai non specializzati; tali interventi hanno provocato ferite sul tronco attraverso le quali sono penetrati agenti patogeni particolarmente virulenti che in brevissimo tempo hanno determinato la morte delle piante, che crollano a terra con grande facilità e rapidità. Gli attuali soprassuoli sono caratterizzati da un numero di piante adulte di sughera nettamente inferiore rispetto alla tipologia precedente, appena 270 piante a ettaro (il 51% in meno); i soggetti di leccio a ettaro sono1690 e ricadono per la maggior parte nella classe di diametro di 5 cm (Tab. 1).

Le dimensioni e le condizioni vegetative delle piante adulte di sughera non sono molto diverse da quelle della fustaia precedente: i diametri variano tra 10 e 75 cm, mentre le altezze tra 5.4 e 19.6 m. Il grado di copertura dell’intero popolamento è pari all’89%.

In occasione dell’ultima utilizzazione sono state ceduate, oltre che le piante morte in piedi, anche molti esemplari di leccio e sughera di dimensioni contenute per ottenere legna da ardere. Nei vuoti creati si è insediata prontamente rinnovazione di entrambe le specie (Fig. 2b). Il novellame di sughera rispetto a quello di leccio presenta, a parità di età, un maggior vigore vegetativo e una forma più slanciata.

La ridotta densità, soprattutto delle piante grosse di sughera, ha favorito l’insediamento del sottobosco costituito da Ruscus aculeatus L., Smilax aspera L., Pteridium aquilinum L., Cytisus scoparius L., Ilex aquifolium L., Daphne laureola L., Rosa canina L., Erica arborea L., cisti e sporadiche piante di corbezzolo (Arbutus unedo L.). La presenza del sottobosco non sembra aver condizionato più di tanto l’accrescimento del novellame.

L’indice di Latham mette in evidenza una buona articolazione del soprassuolo nello spazio verticale, dovuto alla morte di alcune piante di sughera di grandi dimensioni che ha messo in luce quelle di minori dimensioni. Nel profilo verticale si possono individuare 5 strati. Quello superiore è formato dalle piante adulte di sughera; è costituito dal 4% delle piante che però assicurano il 58% di area basimetrica. Invece, gli strati inferiori comprendono la rinnovazione di più recente insediamento con il 39% delle piante (Fig. 3b).

L’indice Winkelmass (UAI) evidenzia una prevalenza (38% dei casi) della distribuzione di tipo casuale, seguita da quella a gruppi. Solo nell’1% dei casi è stata rilevata una distribuzione di tipo regolare. L’indice di mescolanza dendrologica (SM) evidenzia un basso livello di mescolanza di specie. L’indice di dominanza diametrica (DBHD) sottolinea la bassa dominanza diametrica, registrata nell’81% dei casi. L’indice di distanza dall’albero più vicino (DIST) mostra sempre valori molto bassi che confermano l’elevata densità dei soprassuoli (Fig. 5).

Fig. 5 - Fustaia di sughera con rinnovazione di leccio. Distribuzione dei valori degli indici NBSI.

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Il legno morto in questa tipologia strutturale ammonta a 43.9 m3 ha-1. Il valore complessivo riscontrato in questo caso non differisce molto da quello osservato nella tipologia precedente, ma cambia radicalmente la sua ripartizione fra le diverse categorie di necromassa individuate. Infatti, è stato riscontrato un solo albero morto in piedi con un volume di 1.5 m3 ha-1, mentre è molto più elevata la massa delle piante morte a terra, 38.3 m3 ha-1. Modesto è sempre il volume della ramaglia (3.7 m3 ha-1) e delle ceppaie (0.4 m3 ha-1). Tutti gli alberi morti sono piante di sughera sottoposte alcuni anni fa a demaschiatura eseguita non correttamente.

La definizione dei diversi gradi di decomposizione della necromassa evidenzia come il processo di degradazione delle piante schiantate a terra sia appena alle fasi iniziali (classi 1 e 2), mentre le ceppaie in decomposizione appartengono tutte allo stadio 9 e l’unica pianta morta in piedi allo stadio 3 presentando perdita di parte o di tutta la corteccia.

Ceduo misto sughera - leccio

Si tratta di una tipologia molto comune in Calabria dove la sughera, a differenza delle altre regioni dell’Italia meridionale, è stata ampiamente utilizzata come legna da ardere e i soprassuoli sono stati governati a ceduo, con turni analoghi a quelli applicati per il ceduo di leccio. D’altronde spesso leccio e sughera condividono la stessa area di vegetazione.

Il soprassuolo è costituito da 1200 ceppaie a ettaro di cui 500 di sughera, 640 di leccio e 60 di erica arborea, che si insedia in corrispondenza di piccoli gap o di interruzioni della copertura superiore, e frassino. Tutte le specie evidenziano buone/ottime condizioni vegetative e non denotano evidenze di attacchi di patogeni e/o di insetti.

Le dimensioni della sughera risultano nettamente superiori rispetto al leccio (Tab. 1). L’area basimetrica e il volume a ettaro risultano elevati e non differiscono significativamente da quelli della fustaia di sughera. Il grado di copertura determinato per l’intero popolamento è pari al 73%.

Il sottobosco è generalmente scarso e risulta costituito da pungitopo, rovo e qualche corbezzolo. La sua presenza non sembra ostacolare affatto l’insediamento e l’affermazione del novellame, anzi in alcuni casi lo protegge dalle elevate temperature estive e contribuisce a mantenere un microclima favorevole durante i periodi critici. La rappresentazione grafica del popolamento è riportata nella Fig. 2c.

L’indice di Latham evidenzia un’articolazione del popolamento in 4 strati: quello superiore è dominato dalla sughera e assicura il 66% dell’area basimetrica dell’intero popolamento, mentre quello inferiore, costituito essenzialmente da leccio e frassino, è rappresentato dal 35% delle piante e solamente dal 1% dell’area basimetrica (Fig. 3c). Fra questi strati è possibile individuarne altri due intermedi, di cui quello superiore formato prevalentemente da piante di sughera e quello inferiore da soggetti di leccio.

L’indice Winkelmass (UAI) evidenzia una prevalenza della distribuzione delle ceppaie sul terreno di tipo casuale (44%). L’indice di mescolanza dendrologica (SM) sottolinea come nel 39% dei casi il soprassuolo risulta costituito da gruppi puri, generalmente non molto ampi. L’indice di dominanza diametrica (DBHD) sottolinea come nella maggior parte dei casi (72% delle osservazioni) non ci sia una grande differenza dimensionale fra le singole piante. L’indice DIST conferma che il popolamento presenta un’elevata densità (Fig. 6).

Fig. 6 - Ceduo misto sughera-leccio. Distribuzione dei valori degli indici NBSI.

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Il volume complessivo del legno morto in questa tipologia strutturale (89.3 m3 ha-1) è nettamente superiore rispetto a quello osservato nelle altre due. La componente meno rappresentata è quella delle ceppaie in fase di decomposizione con appena 0.2 m3 ha-1, seguita dalla ramaglia con 0.8 m3 ha-1. Decisamente elevato è il volume degli alberi morti in piedi (72.1 m3 ha-1), sia interi che troncati, riferibili a diverse classi diametriche e, in particolare, a quelle di 10 e 15 cm.

Le piante morte a terra sono esclusivamente sughere, anche di grandi dimensioni (26 e 37 cm di diametro) che forniscono una massa di 16.2 m3 ha-1.

Anche in questo caso, come per la fustaia di sughera con rinnovazione di leccio, il legno morto a terra è attribuibile a una fase intermedia di decomposizione (classi 1 e 2). La maggior parte dei soggetti morti in piedi sono classificabili come snag e presentano un evidente distacco della corteccia ormai decomposta.

Discussione e Conclusioni 

Le conoscenze sui popolamenti puri di sughera o misti con leccio della Calabria sono abbastanza frammentarie. I risultati ottenuti circa la densità e la produzione legnosa nella sughereta di San Giorgio Morgeto (RC) non differiscono molto da quelli riportati in alcuni studi condotti in aree abbastanza simili della stessa Regione. Marino ([13]) per una fustaia posta in una stazione non molto lontana da quella qui esaminata, indica una densità di 950 piante a ettaro e 62 m2 ha-1 di area basimetrica. Mercurio & Spampinato ([15]) per le sugherete della Calabria evidenziano la presenza di strutture su più piani con piante sia di origine gamica sia agamica, con un piano arbustivo abbastanza denso e indicano valori di densità compresi tra 900 e 1400 piante a ettaro con 45-60 m2 ha-1 di area basimetrica. La Rosa ([10]) per la Provincia di Vibo Valentia segnala una densità di 1200-1900 piante a ettaro con 46-69 m2 ha-1 di area basimetrica. Caridi & Iovino ([3]), per popolamenti di sughera nella Piana di Gioia Tauro e nei Versanti occidentali dei Piani dello Zomaro, riportano una densità di 850 piante a ettaro e 61 m2 ha-1 di area basimetrica.

In nessuno di questi lavori si fa riferimento ai valori di necromassa né si forniscono indicazioni sulla sua gestione. Per tale motivo, a semplice titolo di confronto, si citano i seguenti studi effettuati nell’area del Mediterraneo su altre specie: Marziliano ([14]), per i cedui invecchiati di leccio nel Gargano, riporta un volume totale della necromassa di 33.89 m3 ha-1; Barreca et al. ([2]) in boschi di farnetto della Calabria riportano quantitativi di necromassa pari a 9.3 m3 ha-1; in cedui di castagno della Calabria, La Fauci & Mercurio ([9]) riportano valori di 21 m3 ha-1 per cedui di 40 anni e valori di 50 m3 ha-1 per cedui di 45 anni.

I boschi di sughera analizzati in questo lavoro si trovano in una fase di abbandono colturale da circa 40 anni. Gli interventi colturali si limitano all’estrazione saltuaria del sughero per uso domestico (piccoli lavori artigianali), spesso non rispettando le più elementari norme tecniche. Questi soprassuoli sono anche interessati dal pascolo, sempre eccessivo rispetto alle potenzialità della stazione, e risultano frequentemente percorsi dal fuoco: tutto ciò comporta la distruzione del novellame e vanifica i processi autonomi di ricostituzione del bosco. La demaschiatura, eseguita in modo non corretto, favorisce gli attacchi di patogeni che si sviluppano con grande rapidità, facilitati soprattutto delle elevate condizioni di umidità, e in breve tempo portano a morte anche piante di grandi dimensioni.

Purtroppo oggi queste situazioni, contribuiscono a ridurre ulteriormente la presenza della sughera e a favorire la diffusione del leccio. Tale rischio, peraltro, era stato già segnalato nel “Piano di gestione silvo-pastorale del Comune di San Giorgio Morgeto”, redatto per gli anni 1966-76, ma sostanzialmente disatteso viste le attuali condizioni della sughereta.

L’analisi strutturale evidenzia la presenza di strutture complesse, frutto di una gestione che nel passato ha mirato più che alla produzione di sughero a quella della legna da ardere o del tannino per colorare le reti dei pescatori.

I valori di necromassa riscontrati nelle sugherete oggetto di studio sono abbastanza elevati, soprattutto nel caso del ceduo misto sughera-leccio. I valori più elevati osservati nel ceduo sono legati alla presenza di molte piante di piccole dimensioni secche in piedi dovuti ai fenomeni di concorrenza. Al contrario, nella fustaia si riscontra la presenza di piante di dimensioni medie, morte per una errata estrazione del sughero e, spesso crollate a terra per eventi di natura meteorica. L’abbandono colturale verificatosi negli ultimi decenni e il prelievo solamente del materiale di maggiori dimensioni, ha favorito l’accumulo di necromassa al suolo.

Nella fustaia di sughera e in quella con rinnovazione di leccio i valori sono simili, con differenze nella ripartizione fra piante ancora in piedi e piante abbattute. In generale, le prime presentano un grado di alterazione nettamente più avanzato rispetto alle seconde che solo da poco tempo sono cadute a terra.

La gestione delle sugherete calabresi passa attraverso l’adozione di una serie di interventi finalizzati al mantenimento della funzionalità di questi sistemi incentivando la rinnovazione della sughera. A tale scopo, nei popolamenti dove sono presenti piante gravemente deperienti per attacchi di funghi conseguenti a una non corretta estrazione del sughero, è necessario procedere all’utilizzazione delle piante prima che queste muoiano, in modo da stimolare l’emissione di polloni e avere fin da subito una nuova generazione.

È, inoltre, necessario limitare il pascolo, soprattutto laddove sono in atto processi di rinnovazione o è presente novellame di origine gamica e agamica.

Per favorire una buona conformazione del fusto e stimolare l’accrescimento longitudinale dei soggetti migliori, è opportuno ridurre al minimo gli sfollamenti nei gruppi di novellame e sulla ceppaia e intervenire solamente quando i polloni dominanti hanno raggiunto una altezza di 6-8 m. Nelle zone dove maggiore è il rischio di incendi è necessario intervenire a fini preventivi eliminando il materiale secco a terra, soprattutto lungo le strade, ed effettuando delle spalcature in modo da ridurre il pericolo di incendi e il loro diffondersi.

Inoltre, qualora si pensi alla gestione della sughereta per l’estrazione del sughero, è assolutamente necessario avvalersi di manodopera altamente qualificata.

Una gestione finalizzata a ottenere strutture complesse, estremamente diversificate in rapporto alle condizioni della stazione e alla composizione dendrologica, sarà in grado di assicurare non solo una maggiore resistenza e resilienza del sistema nel suo complesso, ma anche di corrispondere meglio alle necessità delle popolazioni locali.

Le sugherete, in un passato anche recente, hanno subito la forte concorrenza delle colture agrarie che l’hanno confinata in aree dove non era possibile un uso del suolo alternativo al bosco. Tuttavia, una gestione forestale sostenibile degli attuali popolamenti può svolgere un ruolo determinante nella conservazione e valorizzazione di una delle formazioni forestali più importanti del Mediterraneo, contribuendo anche al mantenimento di un elevato livello di biodiversità.

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