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Silviculture, forest management, epistemology and ethics. Scientific debate or just idle chat?

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 7, Pages 111-119 (2010)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0630-0007
Published: Jul 30, 2010 - Copyright © 2010 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

The paper further explores the forestry and environmental “question”. The aim is to clarify some scientific, technical and cultural aspects, with particular reference to theories that have given rise to heated debates at the national and international level.

Keywords

Forest complexity, Systemic silviculture, Forest rights, Scientific paradigm, Gurnaud’s control method, Normal forest

Premessa 

“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne possa sognare la tua filosofia” (W. Shakespeare).

Quasi sempre evito di entrare in polemica; non è nel mio carattere. Ho sempre pensato e continuo a pensare solo a svolgere il mio lavoro nella speranza di dare un modesto, modestissimo contributo al progresso delle scienze forestali e ambientali. Non conosco verità assolute, ma verità scientifiche, cioè provvisorie, e quindi senza alcuna pretesa mi considero un umile servitore di tutti coloro che si occupano del settore forestale e in ciò ritrovo la mia ricompensa.

Ho grande rispetto per il lavoro degli altri, soprattutto quando è coerente con l’attività che essi svolgono. Con chi sostiene correttamente delle tesi sulla Selvicoltura, sia essa classica o sistemica, intavolo o - se ancora in taluni casi non l’ho fatto - mi riservo di intavolare un serio, franco e corretto dibattito nel quale mi auguro si possano analizzare e chiarire le emergenze di taluni problemi di ordine scientifico, tecnico e culturale. Dibattito e non polemica, dunque.

È mia ferma convinzione che in campo scientifico non può, e non deve, esistere un pensiero unico. Nessuno può arrogarsi il diritto di propinare come verità assoluta una qualche teoria scientifica. La verità scientifica non sarà mai certa, definitiva, immutabile. Lo studio critico sulla validità del sapere scientifico, ovvero la filosofia della scienza, lo chiarisce in modo incontrovertibile.

Questa volta però in un recente scritto, chiaramente polemico e altamente provocatorio, sono state riportate tante di quelle inesattezze - per usare un eufemismo - e di non verità che ho deciso, anche se obtorto collo, di interrompere questa mia prerogativa. A dire il vero in un primo momento avevo pensato di non intervenire: alle volte il silenzio è più assordante delle grida di manzoniana memoria o del frastuono nei campi di calcio delle vuvuzelas sudafricane. Ma poi ho cambiato idea, e ciò per un motivo molto semplice: la chiarezza e la verità sono importanti per i giovani, siano essi ricercatori o tecnici forestali. Questo è ciò che mi interessa di più, certamente non la polemica per la polemica!

Per un docente leggere la letteratura del proprio settore disciplinare oltre che un piacere è un dovere. Alcuni docenti poi passano la maggior parte della giornata sui libri per imparare, consapevoli che - come da sempre ho sostenuto con un aforisma - Il sapere moltiplica il non sapere. Epperò, talvolta ci si imbatte in scritti che a dir poco lasciano perplessi e sconfortati, soprattutto per i guasti che causano al mondo forestale sul piano culturale, scientifico e tecnico.

Il problema emerge quando qualcuno entra in polemica con altri studiosi e arrabattandosi sul sentito dire, sul non letto, sforna un fittizio “Contributo al dibattito sulla Selvicoltura nel nostro Paese” ([24]).

In tale scritto, partendo da un dibattito in corso sulla Selvicoltura sistemica, riguardo al quale di suo l’Autore non aggiunge nulla al già noto, vengono riportati spunti presi da pubblicazioni di altri autori, bardando l’insieme con discorsi convenzionali. Inoltre, egli incautamente si adagia nell’inerzia concettuale che lo porta a condividere una severa recensione del libro “Il bosco e l’uomo” (a cura di [10]) - e non di ([10]), come erroneamente riportato da costui.

Di più: egli si sofferma in modo strumentale e distorto sul confronto di idee tra gli autori di un articolo sul metodo del controllo e un ricercatore francese, senza peraltro risalire alle fonti. E completa il quadro esaltando la teoria della normalizzazione del bosco. Il tutto corredato da esempi che accentuano la carenza di sintassi scientifica. Si può supporre che egli lo faccia senza rendersi conto che in tal modo finisce con il sancire un patto con l’ignoranza scientifica ed epistemologica. E vedremo in seguito di dimostrare il perché.

Diceva Ennio Flaiano: “La situazione non sembra seria, ma è grave”. La situazione non sembra seria per chi con piglio professorale scrive un tale “capolavoro”, in quanto ciascuno è libero di sottoscrivere quanti patti vuole con l’ignoranza, invece è grave per il danno che arreca al settore forestale.

L’epistemologia, gli eretici e le recensioni 

“L’eresia è il frutto di un po’ di scienza e d’ozio” (Voltaire).

Chi professa idee nuove in campo scientifico, diverse cioè da quelle dell’establishment, normalmente è considerato un eretico, intendendo con questo termine il tentativo da parte della comunità scientifica di emarginare le idee discordanti. In questo senso, quindi, sono considerati eretici tutti coloro che in un determinato settore scientifico enunciano idee che portano a nuove costruzioni paradigmatiche. Epperò, sono convinto che il sogno di ogni vero ricercatore è quello di essere considerato eretico. Ciò significherebbe che egli è riuscito a elaborare qualcosa di assolutamente nuovo. In campo forestale tra i più famosi si ricordano Lorentz e Gurnaud in Francia, Biolley in Svizzera, Mayr e Moeller in Germania, Di Bérenger e Pavari in Italia. E altri se ne potrebbero citare.

Un ricercatore quando espone una nuova teoria sa che dovrà confrontarsi con gli scudieri del conformismo che, invece di analizzare senza pregiudizi tale teoria, come sarebbe giusto, utile e doveroso, insorgono e con grande supponenza si adoperano per contrastarla. E così declamano: come osa egli sconfessare quanto già noto? Come si permette di non rispettare i limiti del sapere ufficiale? Hai visto, dicono al primo collega che incontrano, c’è un ricercatore che ha avuto voglia di gettare il suo libro contro il muro ([25]). E, confortati da tanta voglia di esercizio ginnico, partono decisi all’attacco! Ovviamente, non avendo da dire alcunché di nuovo, si attaccano a teorie trite e ritrite e trattano gli argomenti in modo incongruente e superficiale.

Mi chiedo e chiedo: il recensore del libro di cui sopra e l’Autore del recente scritto si sono mai domandati perché una persona che si dovrebbe occupare di ricerca scientifica arriva a pensare di gettare un libro contro il muro? Evidentemente no. Eppure la spiegazione è semplice, molto semplice, e non necessita di particolari delucidazioni: il libro ha avuto successo; ha colpito nel segno.

Il successo consiste nel fatto che quel libro è riuscito a insinuare un dubbio nella mente di un conformista: gli ha fatto capire la forza delle nuove teorie enunciate che, appunto perché nuove, contrastano con i suoi precetti conoscitivi. E non sapendola e potendola confutare, il fondamentalista preso da uno spasmodico moto di rabbia - chiara dimostrazione della paura del nuovo - pensa di scaraventare contro il muro quel povero libro!

Si comprende anche il perché. All’epoca del potenziale straordinario evento ginnico - la voglia del lancio del libro contro il muro - solo pochi forestali che si occupavano di Selvicoltura e Assestamento parlavano di Etica in campo forestale e teorizzavano la complessità del sistema biologico bosco ([8], [19], [20], [9], [26]), mentre oggi giorno tra i ricercatori forestali di tutto il mondo la complessità di tali sistemi è argomento di ricerca di comune dominio. I ricercatori ne studiano le varie sfaccettature e quasi sempre cercano di applicare un nuovo paradigma scientifico che peraltro è spiegato in modo chiaro e semplice nel libro tanto contestato ([6]). Tutto ciò mette in luce la grande, grandissima “lungimiranza scientifica” di chi allora considerava e di chi ancora oggi continua a valutare le idee espresse in quel libro “altisonanti sciocchezze”! In merito poi al “… messaggio di solidarietà rivolto agli studenti fiorentini di assestamento forestale …”, come recita un vecchio detto, il tempo è galantuomo, talchè gli studenti sin da allora si sono avvalsi e continuano ad avvalersi delle conoscenze di ciò che con grande stoltezza conformistica è stata definita una “inutile cultura della complessità ”!

Forse l’Autore del recente “contributo” non sa che le idee non si fermano con i moti di rabbia. Inoltre, è palese: egli non ha la consapevolezza che un tal modo di agire fa felice chi ha scritto il libro, il quale si rende conto, tocca con mano, che la teoria enunciata ha colpito nel segno. Il progresso in campo scientifico si è sempre realizzato e sempre si realizzerà allorquando nuove teorie confutano quelle al momento dominanti facendole divenire obsolete. E ciò, ovviamente, scandalizza gli assertori del conservazionismo a oltranza.

Chi conosce la storia della scienza sa bene che simili fatti si sono ripetuti e si ripetono in tutti i settori scientifici. In campo forestale per coloro che hanno dovuto subire simili esperienze - spesso rimettendoci carriera e perfino il posto di lavoro - l’essere considerati eretici, alla fin fine e malgrado i soprusi subiti, è un grande onore. Tale condizione rende loro giustizia. Essi sanno che prima o poi le nuove teorie si affermano, mentre le vecchie cadono nell’oblio. Lo diceva a chiare lettere il padre della fisica quantistica Max Planck - premio Nobel nel 1918 -: “Le nuove idee si affermano solo quando i portatori delle vecchie scompaiono”. Così è sempre stato e così sempre sarà.

Se poi di scienza e non di banalità si vuole dibattere, allora l’Autore del recente “contributo” farebbe bene a confrontarsi con quanto afferma il Faust di Goethe: “Misero me! Ho studiato filosofia, giure, medicina, e, purtroppo, anche teologia; tutta la vita mi sono arrabattato ed ora eccomi qui, povero folle che ne so quanto prima! Mi si chiama professore, anzi dottore, e da più di dieci anni meno pel naso i miei studenti a destra e a sinistra, per diritto e per traverso”.

Il patto con l’ignoranza 

“L’ignoranza è la madre delle tradizioni” (C. De Montesquieu)

Parlavo prima di patto con l’ignoranza. Nella fattispecie l’ignoranza appare oggettiva. Essa consiste nel non sapere quanti altri di grande autorevolezza scientifica e culturale hanno elogiato il contenuto del libro. L’Autore del recente scritto, che condivide l’idea altrui riportata nella recensione del libro, probabilmente non è al corrente di quanti Maestri in articoli e in lunghe e argomentate comunicazioni personali si sono espressi favorevolmente condividendone il contenuto.

Tra questi cito solo i più noti: Duchaufour, Fanta, Falinski, Hummel, Liacos, Liese, Klepac, Kramer, Mlinsek, Moreira da Silva, Pardé, Schmidt-Vogt, Schutz, Seydak, Susmel, ecc. e ancora: il Ministry of Environment, Republic of Serbia, ha chiesto di tradurre il libro in Serbian language. Di più: recentemente il libro che ha stimolato l’esercizio ginnico del quale si è prima detto - che comunque, bisogna ammetterlo, quantomeno fa bene alla salute fisica! -, è stato tradotto in lingua portoghese e distribuito in occasione del Forum biodiversidade. Silvicoltura Próxima da Natureza. Close to Nature Forestry. 24 de Junho de 2008 Centro de Congressos do Estoril.

Mi domando e domando: perché non documentarsi o almeno informarsi prima di scrivere tante banalità ? Questa sì, è una grave “caduta di stile”!

Desidero precisare che ebbi a scrivere al recensore del libro chiedendo se conosceva i suddetti personaggi e se voleva partecipare a un franco dibattito scientifico sulla questione. Ma, poiché dopo la mia comunicazione evidentemente egli aveva preso coscienza dell’errore commesso, non fu possibile iniziare il dibattito. Ciò mi ha ulteriormente confermato che il libro aveva raggiunto lo scopo che si era prefisso: aveva insinuato un formidabile dubbio in un fondamentalista del codinismo conoscitivo forestale. In campo scientifico non è cosa di poco conto. È il massimo che possa sperare chi porta all’attenzione della comunità scientifica idee nuove.

Prima di scrivere bisogna leggere, documentarsi o, se non altro, informarsi, prerogativa che a quanto pare è estranea all’Autore del recente scritto, evidentemente in altre faccende affaccendato! Ma se non si legge non si sa, quindi delle due l’una, o egli nello specifico non sa, oppure se sa e non ne fa cenno, presumibilmente è in malafede. Quale di queste due ipotesi prevale? Nella fattispecie si potrebbe pensare che la prima prevalga sulla seconda. Scelgano comunque i lettori e soprattutto i ricercatori e i giovani forestali che, come sempre accade, sono molto più avanti e capiscono molto di più di qualche didatta.

Il metodo del controllo di Adolphe Gurnaud e gli “effetti speciali” 

“Gli alberi sono liriche che la terra scrive sul cielo. Noi li abbattiamo e li trasformiamo in carta per potervi registrare, invece, la nostra vuotaggine” (K. Gibran).

Tutti ora parlano del metodo del controllo, talvolta a proposito più spesso a sproposito. Allora cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, visto che di chiarezza nello scritto in esame non ce n’è. La discussione si svolge in due fasi. La prima, che evidentemente l’Autore di tale scritto non conosce, è connessa a una pubblicazione sul metodo del controllo. A tal proposito faccio notare che egli riporta citazioni errate. Un esempio serve a chiarire l’oggettiva trascuratezza concettuale di costui.

È buona norma, soprattutto se si è ricercatori, fare le citazioni correttamente. Egli non solo non riporta le citazioni in modo corretto, ma non controlla neppure le fonti, come sarebbe doveroso fare in questi casi. Egli ricalca lo stesso errore che a suo tempo aveva commesso Peyron ([28]). L’articolo sottoposto a critica è di Ciancio & Nocentini ([4]) e non come indicato da Peyron e come replicato pedissequamente - ovvero senza leggere e documentarsi - dall’impenitente Autore dello scritto in questione.

Cosa significa tutto ciò? Semplice, elementare: non essendosi sprecato per risalire alla documentazione originale, egli scrive affidandosi a quanto sostenuto erroneamente da un altro. Ma un ricercatore che vuole dare un contributo al dibattito può permettersi di pronunciare giudizi senza una puntuale conoscenza della questione che si propone di analizzare criticamente? Parole in libertà, caduta di stile, effetti speciali? Chissà, forse tutto questo messo insieme!

In quel lavoro gli autori sostenevano la validità del metodo e analizzavano i rapporti tra la gestione forestale attuale e l’eventuale possibile applicazione del metodo del controllo. In sintesi, nel lavoro si formula una proposta basata su un progetto aperto che nella gestione promuove un modo diverso di pensare al bosco, ovvero senza anacronistici e inutili schematismi. Il mantenimento, il miglioramento e la valorizzazione della complessità del sistema bosco sono i principi fondanti del progetto aperto, che per l’applicazione si avvale della lettura del bosco e della sapienza forestale.

Sul concetto “bosco soggetto di diritti”, esposto in forma ufficiale in “Il bosco e l’uomo” (a cura di [10]), altri ci hanno seguito. Desidero qui ricordare un evento a dir poco straordinario avvenuto recentemente negli Stati Uniti d’America. Il 19 settembre 2006 la cittadina di Tamaqua, nella contea di Schuykill in Pennsylvania, ha approvato una ordinanza rivoluzionaria che ha cambiato radicalmente il concetto di soggetto di diritti giuridici. In breve, questa ordinanza riconosce alle comunità naturali e agli ecosistemi lo status di persona giuridica con propri diritti. E anche nel Millennium Ecosystem Assessment è riportata la dichiarazione esplicita che la biodiversità e gli ecosistemi hanno anche valore intrinseco. Ed è prevedibile che altri ci seguiranno, come è già avvenuto in Colombia e in Perù dove i diritti della natura recentemente sono stati inclusi nella Costituzione.

Questo vuol dire guardare avanti e non indietro, come sembra faccia l’Autore del recente scritto. Ancora una volta non si può non dire: con buona pace dell’Autore del recente scritto e dei suoi “effetti speciali”!

Senza per questo vantare alcunché, mi sono occupato per la prima volta di Etica nella gestione forestale agli inizi degli anni novanta del secolo scorso ([9]), ma, poiché le idee in questo settore si affermano con i tempi forestali, ho ripetuto il concetto in vari scritti, l’ultimo dei quali risale a qualche anno addietro ([11]), dunque molto prima delle citazioni riportate dall’Autore dell’“illuminato contributo”.

Dibattiti nazionali e internazionali 

“Amen dico vobis, quia nemo propheta acceptus est in patria sua” (Luca 4, 24).

Non credo sia necessario sottolineare che i forestali francesi considerano Gurnaud ([22], [23]) un eretico, ovviamente nel senso prima illustrato. Da qui la reazione. Come potevano due ricercatori italiani portare alla ribalta il metodo del controllo? Come potevano sostenere una simile tesi? Apriti cielo! Per discutere il da farsi si riunisce il Comitato di Redazione della Revue Forestière Française, integrato per l’occasione da specialisti del settore. Un ricercatore membro di tale Comitato si assume il compito di analizzare criticamente i contenuti di quella pubblicazione ([28]). Gli Autori chiamati in causa preparano la risposta che viene pubblicata sulla stessa rivista ([7]). Ma l’Autore del recente “contributo” in questione non ne fa cenno: disinformazione o malafede?

Mi domando e domando: costui ha voglia di conoscere, di informarsi? O fa polemica tanto per far polemica, lasciando in chi legge il dubbio che voglia mettersi in vista? A conferma di quanto prima affermato e come è facile dimostrare, costui non solo scrive delle non verità ma ancora una volta controfirma un patto con l’ignoranza. Infatti, si dichiarano d’accordo con il nostro articolo B. de Turkeim ([16]), Presidente della Pro Silva francese ed europea, e JP Schütz ([35]), professore di selvicoltura a Zurigo. A ciò si aggiunga, tra le altre, una lettera di J. Pardé, che avendo scritto un articolo ([27]) nel quale non riusciva a spiegarsi come mai Gurnaud fosse il forestale francese più conosciuto all’estero, mi chiedeva se potevo dargli una motivazione rispetto a tale fenomeno. Risposi che la motivazione era semplice e al tempo stesso di grande significato: Gurnaud aveva elaborato una nuova teoria che sconfessava quelle considerate incontrovertibili dall’establishment francese.

L’Autore del “contributo” in questione, invece di scrivere delle non verità, per di più associate a una serie di spropositi, in un testo manchevole tra l’altro di coerenza interna, avrebbe dovuto leggere il resoconto pubblicato da un ricercatore al quale avevo trasmesso l’ampia documentazione intercorsa tra il Comitato di Redazione della Revue Forestière Française e lo scrivente ([32]). Un resoconto che può attirare l’attenzione degli interessati al progresso delle scienze forestali e in particolare coloro che si occupano di Selvicoltura e di Assestamento.

Inoltre, in nord America Franklin, fondatore della New Forestry, ha citato i lavori su Gurnaud ([4]), sul bosco normale ([12]) e sulle nuove prospettive in selvicoltura ([5], [21]).

In breve: in ambito internazionale le tesi esposte nel libro e in vari altri scritti hanno provocato e continuano a provocare un dibattito scientificamente produttivo attraverso un franco e puntuale confronto di idee. Con buona pace di chi ha scritto il contributo in questione!

Poiché l’Autore del recente scritto impudentemente afferma il contrario, è evidente che da vari lustri non presta attenzione ai dibattiti scientifici, ma fa riferimento solo a spunti di un dibattito appena iniziato che peraltro solo parzialmente riguarda la “questione” complessiva oggetto del suo scritto. Vien da chiedersi se egli si interessi realmente alla Selvicoltura e all’Assestamento!

Prima di procedere oltre, ritengo utile raccontare un fatto non a tutti noto. In occasione delle violente polemiche tra i sostenitori del sistema tolemaico e quelli della rivoluzione copernicana, Papa Pio V, il terribile, al secolo Antonio Ghislieri, fece un’affermazione che si può considerare ragionevole. Egli disse: State attenti quando discutete questo argomento: non dovete affermare che Copernico ha ragione, ma dovete invece esporre sia gli argomenti in favore di Copernico sia quelli opposti. Un’affermazione questa che a parere dello scrivente dovrebbe essere patrimonio di ogni ricercatore.

Mi domando e domando: è possibile che costui che ha scritto su questi argomenti conosca, peraltro in modo parziale e riduttivo, solo i contro e non conosca i pro? Ciò farebbe supporre anche in questo caso ignoranza o malafede. Quale di queste due ipotesi prevale? Nell’un caso e nell’altro i ricercatori, i tecnici e i giovani forestali non hanno da rallegrarsi.

Positivismo e Assestamento forestale 

“Se moquer de la philosophie, c’est vraiment philosopher” (B. Pascal).

Veniamo ora alla seconda fase. Il problema legato alla enunciazione del metodo del controllo inizia alla fine del XIX secolo e perdura con forti contrasti per buona parte del XX secolo. Biolley ([2]), che aveva applicato il metodo del controllo a Le Couvet nel Canton de Neuch’tel, a proposito delle critiche che gli erano state rivolte dai contrari al metodo, ma anche da coloro che avevano voluto costruirci sopra una struttura teorico matematica che non lo convinceva né nel costrutto, né nell’applicazione, così scriveva: “S’il y a un domaine qui soit resté fermé au positivisme de la science moderne, c’est bien celui de l’aménagement des forêts. Ce n’est pas qu’on n’ait cherché a soumettre l’aménagement à des règles étroites, à des procédés précis, et si c’est là du positivisme, il y a abondance et surabondance. Mais c’est un positivisme pour soi, qui reste comme extérieur à l’objet qu’il prétend considérer...”.

Una lezione, quella di Biolley, che dovrebbe essere tenuta sempre ben presente prima di cimentarsi a scrivere. Epperò, è presumibile che l’Autore della recente “fatica” pensi, ahimè, che anche Biolley amasse filosofeggiare! Ad ogni buon conto, per chi volesse approfondire la questione, oltre a quelli già citati, si ricordano i lavori di Schaeffer et al. ([34]) e di Schaeffer ([33]).

Di più: a seguito di uno scritto sempre di Biolley ([3]) che recensiva criticamente un lavoro di Da Rios ([14]), il Di Tella ([17]) interviene in difesa di quest’ultimo sostenendo la validità del taglio saltuario. Egli tuttavia conclude che: “Nel mentre… nei nostri studi sull’assestamento forestale, e nell’insegnamento di questa materia facciamo degno posto al metodo di”controllo“non ci sentiamo però ancora al punto di ritenere superfluo lo studio di tutti gli altri metodi di coltivazione e di assestamento dei boschi …”.

Un’altra lezione di stile in cui scienza e saggezza forestale interagiscono. Ma ciò avveniva quando a insegnare era uno dei grandi Maestri della Scuola fiorentina!

Lo “stile del dibattito”: una discussione da bar dello sport 

“Per troppo discutere si perde la verità” (Publilio Siro).

A questo punto i lettori si domanderanno cosa mai abbia spinto costui a occuparsi di cose che evidentemente non conosce o conosce molto superficialmente. Si possono fare solo supposizioni che, proprio perché tali, non vale la pena elencare. Si destinerebbe tempo prezioso a chi ha esposto argomenti che per certi versi sono assimilabili più a una discussione da bar dello sport che a un dibattito scientifico.

Cosa aggiungere di più? In simili frangenti, se fossimo in un altro Paese, o nel nostro in un momento più favorevole per lo sviluppo della ricerca forestale, probabilmente alcuni colleghi dell’Autore del recente scritto penserebbero di organizzargli nel principale bar dello sport un ciclo di conferenze dal titolo: “Sul metodo scientifico del lancio dei libri contro il muro: cadute di stile ed effetti speciali”, nello svolgimento del quale egli potrebbe sparare giudizi sull’opera degli altri senza conoscere e capire la teoria che lo fa trasalire. In tal modo forse, con il suo stile di alto, altissimo profilo, potrebbe elevare il dibattito in corso e dimostrare la sua acuta preparazione scientifica e profonda cultura!

Come peraltro egli fa quando liquida Karl Popper, uno dei più grandi epistemologi del XX secolo, se non il più grande, con una semplice battuta, ovvero in modo del tutto improprio e sbrigativo. Se questo è il suo metro di giudizio, allora mi chiedo e chiedo: cosa penseranno i lettori, i ricercatori e i giovani tecnici forestali?

Evidentemente egli non solo non conosce l’opera di Karl Popper, ma non sa neppure che questi era membro del famoso Circolo di Vienna dal quale si allontanò perché in contrasto con i sostenitori del neopositivismo o positivismo logico che imperava tra i membri di quel Circolo. Appunto, di quel positivismo guarda caso contro il quale amava filosofeggiare anche Biolley ([2])!

Karl Popper per accertare la validità della sua idea sulla falsificabilità delle teorie scientifiche ebbe un lungo e interessante scambio epistolare con Albert Einstein che, tra l’altro, era anche un filosofo della natura e un acuto epistemologo. E, dopo le opportune verifiche, pubblicò la sua opera più conosciuta, il cui poscritto è stato tradotto in italiano ([29], [30], [31]).

Ancora una volta l’Autore del recente scritto fa il replicante di giudizi critici non suoi, senza peraltro effettuare i dovuti riscontri o, almeno, una qualche riflessione. Consegue che la logica che permea il “contributo” di costui è sempre la stessa. Appunto, lo “stile del dibattito”: una discussione da bar dello sport!

Costui non riesce a capire una cosa elementare: la scienza procede attraverso l’enunciazione di teorie che non essendo verità assolute possono essere confutate da altre teorie. Se così è, allora costui si dovrebbe chiedere piuttosto come si fa a falsificare una teoria. Forse riportando esempi dai quali traspare che confonde l’inferenza statistica con la logica del metodo ipotetico deduttivo? Un vero e proprio anacoluto scientifico!

Evidentemente egli non si è neppure posto una semplice domanda: il metodo scientifico per “prova ed eliminazione degli errori” rientra nel campo della ricerca scientifica? Tale metodo si avvale delle acquisizioni conoscitive conseguite attraverso l’analisi e la sintesi operativa in bosco? Ciò è ben noto a chi si occupa di scienza, ma questa e l’epistemologia o non sono prese nella dovuta considerazione da costui o forse non rientrano nel suo bagaglio culturale.

La normalizzazione del bosco 

“Il genio è non conformismo” (V. Nabokov).

In merito poi alla normalizzazione del bosco, il conformismo dogmatico nel “contributo” in questione si raffigura come pensiero dominante. La questione, invece, è molto chiara e a tutti nota, quindi non credo che i lettori dovranno “far ricorso al dizionario” per interpretarla. Sembra impossibile, ma è così: non si vuol comprendere che la presunta conoscenza di un insieme di alberi - ovvero ciò che attiene all’arboricoltura da legno di montagna, collina e pianura - è inapplicabile al sistema biologico complesso bosco. Attraverso la ricerca si riuscirà a comprendere la complessità del bosco quando qualcuno troverà - speriamo in tempi non forestali - un nuovo linguaggio in grado di decrittarla. Ma anche allora la ricerca andrà sempre più avanti, talché si dovrebbe essere consapevoli che l’impresa scientifica non ha mai fine, né è mai esente da analisi critica e dalle conseguenti revisioni.

La gestione forestale deriva dalla sintesi conoscitiva in campo selvicolturale, assestamentale ed etico. Ma, come ho più volte sostenuto, si fa riferimento sempre e comunque a verità scientifiche e in quanto tali destinate a essere prima o poi emarginate e sostituite, così come è stato per la teoria della normalizzazione del bosco. Invece, l’Autore del recente “contributo” sembra quasi un idolatra di tale teoria al punto tale da eleggerla a proprio totem. Come sostiene Vitaliano Brancati “… ignorante è colui che si trova fra le mani un materiale di cui non conosce la vecchiezza...”.

Forse è opportuno ricordargli che un Maestro dell’Assestamento della Scuola fiorentina che ha sempre sostenuto con coerenza la teoria del “bosco normale” a un certo punto così si esprime: “È evidente che se molto forti risultano i divari tra le due curve, codesti tagli, che nella fase di assestamento vero e proprio, si potrebbero meglio chiamare, pur se con una brutta parola, di normalizzazione, devono essere ripartiti gradualmente su due o più curazioni” ([18]). Normalizzazione, brutta parola, dunque. Non solo. E aggiungo: una teoria ormai superata per fortuna dei boschi!

La teoria del “bosco normale” e i connessi rapporti da essa direttamente o indirettamente derivati attraverso astruse costruzioni teorico matematiche sono inaccettabili perché estranee alla complessità del bosco. Se la cosiddetta normalità del bosco non è altro che uno stato ideale, utopico e, appunto perciò, irraggiungibile, cioè una vera e propria astrazione, come si può connetterla alla realtà ? Qual è il protocollo sperimentale in grado di oggettivare tale stato? Mi chiedo e chiedo: è ancora logico procedere in tal senso?

È incomprensibile come ancora si possa insistere su una teoria che oggettivamente ha fatto il suo tempo e che per di più, eccetto che nei libri e nelle dichiarazioni di intenti, nella realtà non è mai stata tenuta in seria considerazione ([12], [13]). Non lo consentono la continuità dell’evoluzione naturale del sistema biologico complesso bosco e le acquisizioni conoscitive e culturali, ma anche il tempo mutevole con le conseguenze che esso provoca al e nel sistema biologico complesso bosco.

Ogni teoria è figlia del suo tempo, lo si sa, ma dal momento dell’elaborazione della teoria a oggi il contesto sociale ed economico è profondamente cambiato e la ricerca è andata avanti, molto più avanti di quanto forse l’Autore dello scritto in questione possa immaginare. Mi domando e domando: si vuol forse ritornare all’epoca della statica forestale? Si vuol mortificare la Selvicoltura e l’Assestamento fino a tal punto? La teoria del “bosco normale” è una teoria scientifica o è uno specchietto per le allodole? Il “bosco normale” è modificabile ogni dieci anni? Se così è, allora dove sta la logica che sostiene la teoria? Dov’è la coerenza scientifica di un tal modo di procedere? O si tratta di un “protocollo” oggettivabile con tanti “effetti speciali”?!

La foresta climax e il bosco normale 

“L’emulazione è l’alimento del genio, l’invidia il veleno del cuore” (Voltaire).

In campo scientifico non vale aggrapparsi al passato se non si analizzano criticamente i pro e i contro, e ciò per un semplice motivo: così facendo non si riesce a interpretare il presente e, di conseguenza, non si può costruire il futuro. Viceversa il vero ricercatore, cioè colui che lavora con passione, creatività, con occhi per guardare e vedere e cervello per pensare e capire, conosce bene quello che sostiene il Galileo di brechtiana memoria: “Non m’importa di mostrare di aver avuto ragione, ma di stabilire se l’ho avuta… Sì, rimetteremo tutto in dubbio. E quel che troviamo oggi, domani lo cancelleremo dalla lavagna”.

È così che va avanti la scienza, è così che si acquisisce conoscenza. Non con le discussioni da bar dello sport, non con le non verità, non con le parole in libertà ! La ricerca, seppure nel mare delle difficoltà, va avanti. Va avanti perché è inarrestabile, malgrado coloro che seguendo la logica di un pregiudizio fondamentalista non riescono a vedere, pensare e capire e, appunto perciò, si oppongono al nuovo.

Non mi pare di usare un linguaggio incomprensibile. Gli argomenti a sostegno delle mie tesi sono esposti con un linguaggio che appartiene alla biologia, dove, dopo Darwin ([15]), non si può accettare la concezione deterministica che linearmente porta alla cosiddetta foresta climax. Mi chiedo e chiedo: si può associare la foresta climax al “bosco normale”? La foresta climax costituisce o può costituire il traguardo del “bosco normale”?

Leggendo tali affermazioni non si può non trasecolare. Sembra quasi che non si parli di scienza ma di argomenti teleologici in cui il pensiero dominante è la certezza di raggiungere un determinato fine già precostituito. Se così è, allora in campo biologico si dovrebbe condividere un concetto ormai archiviato!

Chi trova difficoltà a capire e deve ricorrere ai dizionari, evidentemente fa un altro mestiere, certamente non si occupa di biologia! Né tanto meno di biologia applicata, nella fattispecie di selvicoltura. È probabile che gli studenti delle scuole medie superiori sappiano di biologia molto più di tanti che scrivono con il tipico piglio professorale.

Gli argomenti esposti in tale scritto, e quelli a essi connessi, riverberano un imprinting che ancora tiene prigionieri alcuni forestali - per fortuna solo alcuni. Di più: gli assertori di teorie superate spesso amano infierire sul nuovo emergente perché come sostiene Claude Allègre ([1]): “Ogni idea nuova disturba: essa viene dunque naturalmente combattuta, e tanto più quanto più è originale”.

Costoro evidentemente non comprendono che l’avanzamento del processo scientifico li pone sempre più al margine del sapere e di conseguenza, volenti o nolenti, prima o poi saranno esclusi dai pensatoi di tutto il mondo. Si può solo concludere che in campo forestale - per alcuni e solo per alcuni evidentemente - un cieco pregiudizio continua a vincolare comprensione e creatività.

Altri però, e sono molti, hanno compreso che negli ultimi lustri del XX secolo nel mondo forestale molto è cambiato e il XXI secolo sotto l’aspetto scientifico sarà incredibilmente ancora più interessante, per cui credo sia giunto il momento di pensare a nuove modalità per affrontare la “questione forestale”.

A coloro che guardano al passato invece che al futuro mi piace ricordare tra le altre “dotte citazioni” un sublime pensiero di Kahlil Gibran: “Se vuoi vedere le valli, sali in vetta a una montagna; se vuoi vedere la vetta di una montagna, sali su una nuvola; se invece aspiri a comprendere la nuvola, chiudi gli occhi e pensa”.

Pensare, dunque, e non le discussioni da bar dello sport, è l’unico modo per sviluppare la creatività scientifica e dare un forte impulso allo sviluppo delle scienze forestali e ambientali!

Conclusioni 

“Contemplare non è capire, guardare non è vedere, vedere non è sapere” (E. Klein).

La critica - sia ben chiaro - è sempre ben accetta se costruttiva, se ben argomentata, se rispettosa del metodo scientifico e, soprattutto, se prospetta altra teoria in grado di falsificare quella sottoposta a critica. Altrimenti si entra, appunto, nel campo delle discussioni da bar dello sport.

Per non continuare a fare deprimenti e deleterie discussioni, per dibattere invece su problemi scientifici, per rispettare il ruolo che si svolge e, soprattutto, per meglio comprendere la “questione”, forse potrebbe venirci in aiuto Leonardo quando osserva che: “Quelli che s’innamoran di pratica sanza scienza son come ’l nocchier ch’entra in naviglio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada”.

O forse potrebbe aiutarci Galileo quando racconta di un uomo che cerca l’origine del suono e lo cerca sotto diverse forme; poi un giorno prende un grillo e con un piccolo ago tenta di aprire il grillo per scoprire da dove viene il suono, e così facendo uccide il grillo. In sintesi, l’atto del conoscere uccide la conoscenza.

Per studiare e comprendere la Selvicoltura e l’Assestamento è necessario, appunto, stipulare un patto con Galileo, nella consapevolezza che la suddetta sintesi è l’unica idea di scienza che ogni vero ricercatore dovrebbe concepire.

Non tengo e non voglio più polemizzare con l’Autore dell’“illuminata fatica”. Non mi esalta proprio! Quindi chiudo qui in modo irrevocabile la controversia. Dico solo che i fondatori della Scuola fiorentina - mi riferisco a Di Bérenger, F. Piccioli, Perona, Cotta dell’Istituto Forestale a Vallombrosa e, in ordine alfabetico, De Horatiis, Di Tella, Fiori, Martelli, Palazzo, Pavari, Petri, L. Piccioli, Riccioli, Serpieri del R. Istituto Superiore agrario e forestale di Firenze, la cui storia dovrebbe essere di esempio a tutti i ricercatori e i tecnici forestali - se solo potessero leggere tale scritto si rivolterebbero nella tomba.

Audiatur et altera pars!

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