Roberto Del Favero completes the description of Italian forests
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 7, Pages 249-250 (2010)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0643-0007
Published: Dec 02, 2010 - Copyright © 2010 SISEF
Commentaries & Perspectives
Abstract
The description of Italian woods by Roberto Del Favero is now completed: after the book dedicated to the “woods of the Alpine regions” and the one concerning the “woods of the southern Italy and Italian islands”, a third book completes the arrangement, aimed to the forest management, of the Italian woods. In the treatise, the strict connection between ecology and silviculture must be underlined: the silvicultural choices are proposed in accordance with ecological requirements of the tree species, as well as to the natural dynamic of stands.
Keywords
Book review, Forest typologies, Forest ecology, Silviculture, Central Italy woods
“I boschi delle regioni dell’Italia centrale - Tipologia, funzionamento, selvicoltura”. Roberto del Favero, CLUEP, Padova, 2010, pp. 425, Euro 35.
Dopo le esperienze dei volumi sui boschi delle regioni alpine e su quelli delle regioni meridionali e insulari, Roberto del Favero completa, con questo terzo libro dedicato ai boschi dell’Italia centrale, il quadro di sintesi dei boschi italiani.
L’esperienza e la competenza dell’autore nel campo della selvicoltura - con particolare riguardo a quella su base tipologica - sono documentate anche da lavori compiuti a scala regionale, fra cui vale la pena di ricordare i volumi dedicati ai boschi del Veneto, del Friuli-Venezia Giulia e della Lombardia.
Apre il nuovo testo un’introduzione in cui l’autore, oltre a spiegare i fondamenti dell’approccio tipologico, propone alcuni concetti di silvologia (peraltro già affrontati nel terzo volume dei boschi alpini): si tratta di un approccio “architettonico-strutturale” che studia l’individuo arboreo all’interno del collettivo entro il quale esso svolge la propria vita, ma anche, su scala maggiore, la distribuzione dei collettivi nello spazio (il cosiddetto mosaico). La relazione fra la silvologia e la selvicoltura è legata al fatto che, attraverso l’individuazione del “funzionamento” naturale - per descrivere il quale l’autore fa precisi riferimenti al dinamismo delle foreste vergini - è possibile definire le linee gestionali che turbino meno possibile il funzionamento in questione. Decisamente opportuno appare che, già nella premessa del libro, si sottolinei l’importanza di tale approccio, che può essere considerato uno dei fondamenti della selvicoltura naturalistica. Interessante, in questo senso, è la distinzione in 6 tipi di funzionamento (potremmo anche definirli modelli di dinamismo) dei sistemi forestali, ognuno dei quali si distingue dagli altri sulla base di due parametri principali: le risorse disponibili e l’entità delle perturbazioni. I sistemi corrispondenti ai vari tipi di funzionamento vengono descritti anche con tabelle riassuntive dell’andamento delle principali fasi dinamiche dei sistemi forestali (rinnovazione, competizione, stabilizzazione, decadenza) e con modelli grafici.
Segue un capitolo in cui l’autore fa una serie di considerazioni sulla selvicoltura nelle Regioni dell’Italia centrale, evidenziando le specificità che la distinguono da quella delle regioni alpine e meridionali; in particolare si sottolinea che la “povertà” di molti boschi dell’Italia centrale si sposa a una grande variabilità di situazioni, combinazione che giustifica un’affermazione di Paolo Rumiz, riportata all’inizio del libro, e cioè che gli Appennini possono essere paragonati alla ribollita, tipico e squisito piatto toscano composto da una gran quantità di ingredienti poveri, che possono essere valorizzati solo mangiandoli tutti assieme. All’interno del capitolo compaiono dettagliati riferimenti storici, con particolare attenzione all’evoluzione del pensiero forestale che ha influenzato la selvicoltura dei boschi di quest’area geografica. E il valore storico di questi boschi è enorme, perché sono loro che “hanno costituito la culla della Selvicoltura italiana e la palestra professionale di molti tecnici forestali”. Quanto mai opportuna è la sottolineatura dello stretto legame fra ecologia e selvicoltura che, a partire da Pavari, ha caratterizzato prima la scuola forestale fiorentina e poi altre scuole forestali, nate successivamente. Naturalmente, nel corso del capitolo, si sottolinea l’opportunità di applicare una selvicoltura che parta da basi tipologiche.
Segue un capitolo sull’inquadramento dei boschi dell’Italia centrale, con particolare riferimento a geografia, distribuzione altitudinale, clima e substrati.
Si arriva così ai capitoli dedicati alle dodici categorie forestali individuate (macchie, querceti di sempreverdi e di decidue, castagneti, faggete, formazioni antropogene ecc.). Ognuno di questi capitoli è composto da un inquadramento tipologico e geografico, da un inquadramento ecologico, cui seguono considerazioni sul tipo funzionamento (in accordo con quanto descritto nell’introduzione quando si parla di silvologia), per arrivare agli aspetti colturali (forme di governo e di trattamento).
Per quanto la cosa possa apparire ovvia, va segnalato che ogni indicazione selvicolturale fa riferimento a precise basi ecologiche. Nel capitolo delle querce caducifoglie, per esempio, prima di affrontare le forme di governo e di trattamento, grande attenzione viene dedicata alle valenze ecologiche delle diverse specie in relazione alle disponibilità idriche; nel medesimo capitolo, il dinamismo dei querceti viene presentato in forma di due modelli, riferiti rispettivamente a situazioni di ottimo ecologico e lontane dall’ottimo ecologico.
Gli aspetti ecologici convivono - come è logico che sia in un testo di selvicoltura - con riferimenti alle produzioni (legnose e non) e all’economia dell’intervento: interessante che quest’ultimo termine sia inteso non solo dal punto di vista finanziario, bensì anche sotto il profilo dell’utilità dell’investimento in termini sociali.
Il tutto è inserito nella cornice di una gestione sostenibile, attenta alla tutela della biodiversità.
Completa il lavoro una serie di utilissime appendici, che schematicamente riportano 1) le corrispondenze fra le unità tipologiche individuate per le regioni dell’Italia centrale e quelle dei lavori a scala regionale, 2) alcune nozioni elementari di tecnica di rimboschimento e di vivaistica, 3) un glossario dei termini tecnici, 4) la denominazione volgare e quella scientifica delle specie arboree citate nel testo.
Il testo, come è stato anticipato, è arricchito da rappresentazioni schematiche del funzionamento dei vari tipi di bosco (dinamismo strutturale degli abieti-faggeti, funzionamento delle faggete al variare della disponibilità di risorse, modalità di rinaturalizzazione delle selve castanili abbandonate, ecc.) e da modelli di trattamenti selvicolturali (situazioni prima e dopo il taglio). L’impostazione del lavoro è quindi in linea con la presa di coscienza che la selvicoltura, in quanto scienza applicativa, si spiega meglio facendo riferimenti concreti, magari arricchiti da illustrazioni esemplificative.
Per quanto riguarda le foto a colori, al testo è allegato, come al solito avviene nei libri di Roberto Del Favero, un CD, prodotto in questo caso in collaborazione con Paola Bolzon: nel CD compaiono cartografie e immagini dei boschi descritti nel testo.
Nell’insieme si tratta di un utilissimo punto di riferimento selvicolturale, in cui pratica e scienza forestale trovano integrazione: a descrizioni dettagliate degli ambienti forestali si affiancano concrete soluzioni selvicolturali per i vari casi di studio, giustificando le proposte di intervento con adeguati riferimenti bibliografici. In questo senso vale la pena di segnalare che, accanto a voci bibliografiche recenti, compaiono riferimenti a sperimentazioni che potremmo definire“storiche” e che tutt’oggi rappresentano, al di là del tempo trascorso e dei progressi in campo scientifico che potrebbero farle apparire superate, un punto di riferimento per la selvicoltura italiana.