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Revegetation assessment on different areas of a methane pipeline in Tuscany

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 9, Pages 273-280 (2012)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0703-009
Published: Dec 03, 2012 - Copyright © 2012 SISEF

Research Articles

Abstract

Revegetation assessment on different areas of methane pipeline in Tuscany. Degraded areas due to extra-agricultural activity (such as quarries, dumps, ski runs, methane tracks, etc.) or to natural events (such as landslides) are present in a wide part of Italian territory and for this reason is extremely necessary an effective restoration in order to reduce erosion risks and to permit their better integration in the surrounding landscape. Revegetation is usually performed using commercial mixtures constituted by species with a forage aptitude. The aim of this work was to analyse the evolution of revegetation performed on different areas of methane pipeline in Tuscany (central Italy), both in Mediterranean environments and in mountain areas. Knowledge of mixture used during revegetation and time of intervention allowed, on one hand, to discriminate species introduced by revegetation from those coming out from native recolonisation of tracks, on the other hand, to know the age of canopies at time of botanical analysis. The following variables were assessed on the studied herbaceous resources: ground cover, floristic composition, biodiversity, level of recolonization by native species, similarity with natural areas. Data collection permitted the evaluation of efficiency of studied revegetation, the awareness of the role played by sown and native species, the estimation of the level of native species in order to integrate the restoration with the environment and the analysis of most important parameters that affect vegetal evolution in these peculiar settings.

Keywords

Biodiversity, Ground Cover, Vegetal Evolution, Environmental Impact, Native Species

Introduzione 

L’attività antropica incide fortemente su molte aree naturali e semi-naturali del nostro paese, attraverso diversi tipi di manomissione che sono riferibili alla costruzione di strade e ferrovie, alla predisposizione di strutture per il trasposto di energia, all’attività estrattiva, alla realizzazione di discariche e impianti di smaltimento di rifiuti, alla creazione di piste da sci ([22]).

Per avere un’idea della dimensione del problema delle aree manomesse è sufficiente rifarsi all’Annuario dei Dati Ambientali ([14]), da cui si rileva, ad esempio, che dal 1990 al 2008 l’Italia ha incrementato la propria rete autostradale di 444 km, mentre la rete stradale primaria ha raggiunto l’estensione attuale di 183 704 km; nello stesso arco di tempo, la lunghezza della rete ferroviaria complessiva è aumentata di 608 km. Inoltre, sul territorio nazionale risultano in attività circa 5600 cave e non è possibile delineare la situazione delle migliaia di cave dismesse o abusive che possono essere fonte di serie problematiche ambientali. Un’altra tipologia di manomissione molto frequente negli ambienti montani è quella relativa alla realizzazione di piste da sci il cui sviluppo totale è costituito da oltre 6000 km ([35]).

In considerazione dell’estensione non trascurabile di tali superfici è sempre più diffusa l’attuazione di interventi di rivegetazione e ripristino ambientale. Complessivamente la superficie stimata delle aree manomesse potenzialmente interessate all’inerbimento è di circa 400 000 ha, di cui solo una piccola parte è realmente oggetto di ripristino artificiale ([22]).

Nelle operazioni di recupero ambientale le problematiche che si presentano sono varie e articolate in funzione della tipologia di manomissione, delle caratteristiche stazionali, degli aspetti tecnici e funzionali richiesti alla copertura erbacea e delle esigenze di compatibilità vegetazionale ed ecosistemica con l’ambiente circostante ([19]). Si riscontrano infatti problemi relativi alle difficili condizioni pedoclimatiche in cui si opera per l’eliminazione della vegetazione e di tutto il terreno sottostante ([10]), con conseguenti difficoltà nelle successive fasi di recupero ([27]) che hanno luogo su un substrato generalmente poco fertile e con scarsa dotazione di sostanza organica. Anche l’impiego di miscugli non sempre adatti alle aree di intervento può dare luogo ad insuccessi o fenomeni di disturbo ecologico ([15]). Inoltre gli obiettivi finali di queste opere non riguardano solo la riduzione dei fenomeni di erosione superficiale, quanto anche un buon inserimento dell’opera nell’ambiente ([13]) con l’evoluzione verso tipologie di vegetazione simili a quelle presenti nelle aree circostanti ([34], [29]).

Alcuni studi sono stati svolti in Italia sul recupero vegetale di diverse tipologie di manomissione relative a cave ([21], [28], [1], [4], [23], [26], [32]), piste da sci ([8], [6], [3], [5]), discariche e scarpate stradali ([11], [25], [9]). In letteratura però si rilevano pochi lavori relativi alla valutazione dei ripristini effettuati a seguito del passaggio dei metanodotti ([30], [20]), che pure hanno rappresentato, negli ultimi decenni, opere di notevole impatto su vaste aree del territorio nazionale. In considerazione del fatto che l’estensione della rete di trasporto di tale gas interessa 31 680 km di cui 8894 di rete nazionale e 22 786 di rete regionale ([31]), si ravvisa la necessità di ridurre l’impatto delle attività di cantiere nei territori interessati all’interramento delle condotte, per mezzo di interventi di rimboschimento in aree forestali e di inerbimento in aree a vegetazione erbacea, in modo da riattivare le dinamiche ecologiche di rinaturalizzazione delle aree di lavoro.

Lo scopo di questa ricerca è stato quello di aumentare le conoscenze nel campo degli interventi di riqualificazione ambientale e di ricomposizione paesaggistica delle aree attraversate dalla costruzione del metanodotto in Toscana e, in particolare, di valutare l’evoluzione della vegetazione in inerbimenti realizzati in alcuni tratti della rete di trasporto del metanodotto SNAM eseguiti nella metà degli anni ’90 per il raddoppio del precedente tracciato. La scelta di questa particolare tipologia di manomissione è stata fatta, oltre che per la sua importanza in termini di superficie interessata, anche per l’attenzione che è stata posta dalla Società nella realizzazione delle opere di ripristino e per la disponibilità di alcuni dati progettuali relativi agli interventi eseguiti.

Materiali e metodi 

La ricerca è stata sviluppata mediante lo studio di tratti di metanodotto presenti in Toscana nei quali sono stati effettuati interventi di ripristino attraverso l’inerbimento. In particolare sono state scelte quattro località (Tab. 1), due in ambiente costiero e due in ambiente montano, dove sono stati individuati 12 siti di rilevamento di 400 m2 ciascuno. I siti erano diversificati sia per caratteristiche topografiche (quota, esposizione e pendenza, registrate al momento dei rilievi) che per quelle climatiche, ricavate dalla stazione meteo più vicina sulla base dei dati presenti nei Tipi Forestali Toscani ([24]). Per ogni sito è stata identificata una zona circostante non interessata dal passaggio del metanodotto al fine di confrontare i cotici inerbiti artificialmente con le situazioni indisturbate e di valutare la dinamica della vegetazione. Per ogni inerbimento è stato possibile risalire al tipo di miscuglio impiegato originariamente, rappresentato in generale da ordinari miscugli commerciali da inerbimento, con specie ad attitudine foraggera in cui le graminacee costituivano dal 75 all’85% del peso in seme delle componenti e le leguminose il restante 25-15% (Tab. 2). I miscugli impiegati in ogni area erano diversi tra loro, a parte nelle aree di Filettole e Pontito dove era stata impiegata la stessa miscela. Tranne che nel sito di Secchieta, dove è stata impiegata la tecnica del nero verde (con 500 g m-2 di emulsione idrobituminosa), in tutti gli altri è stata utilizzata l’idrosemina, con 30-35 g m-2 di sostanze colloidali. Le dosi di seme sono state piuttosto elevate in quasi tutti i siti (20 g m-2) ad eccezione di Montioni dove si è operato con dosi sensibilmente più basse.

Tab. 1 - Principali caratteristiche dei siti di studio.

Località Sito Quota
(m slm)
Esp. Pendenza
(%)
T media
annua (°C)
Piovosità media
annua (mm)
Montioni (LI) 1 90 O 5 15.2 670
2 85 O 5 15.2 670
Filettole (PI) 3 150 SO 5 14.9 956
4 160 SO 5 14.9 956
Pontito (PT) 5 1100 O 5 12.4 1214
6 1120 SO 30 12.4 1214
7 1070 E 10 12.4 1214
8 1080 NO 20 12.4 1214
Secchieta (FI) 9 1350 E 15 9.6 1421
10 1345 E 5 9.6 1421
11 1310 E 5 9.6 1421
12 1280 E 5 9.6 1421

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Tab. 2 - Caratteristiche principali degli inerbimenti studiati.

Località Sito Caratteristiche dei miscugli Dose di seme
(kg ha-1)
numero
specie
% in peso
graminacee
% in peso
leguminose
Montioni 1 7 80 20 100
2 6 85 15 80
Filettole 3 8 80 20 200
4 8 80 20 200
Pontito 5 8 80 20 200
6 8 80 20 200
7 8 80 20 200
8 8 80 20 200
Secchieta 9 10 75 25 200
10 10 75 25 200
11 10 75 25 200
12 10 75 25 200

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I rilievi eseguiti in ogni sito hanno riguardato i seguenti parametri:

  • copertura del terreno, mediante stima visiva all’interno di quadrati metallici della superficie di 0.25 m2;
  • contributo specifico (CS) delle singole specie costituenti il manto vegetale secondo la metodologia proposta da Daget & Poissonet ([12]), che permette di ottenere, tramite transect lineari, la percentuale di presenza di una singola specie nell’ambito di una fitocenosi erbacea;
  • grado di biodiversità delle superfici inerbite, servendosi dell’indice di Shannon calcolato con la formula: H’ = -∑N i=l p i ln p i ([18]) dove p i è il contributo specifico espresso in forma decimale della i-esima specie rilevata con le analisi lineari e N è il numero totale di specie registrate;
  • livello di similitudine dei cotici inerbiti sia con la vegetazione naturale delle aree indisturbate adiacenti (dove sono state effettuate analisi lineari) sia con il miscuglio utilizzato originariamente. A tal fine è stato utilizzato l’indice di Sørensen ([33]), con l’applicazione delle formule Sn = 2c/i + n per la similitudine con le aree naturali e Sm = 2c/i + m per quella con i miscugli, dove i, n, m rappresentano il numero di specie presenti nelle aree inerbite (i), naturali (n) e nel miscuglio (m) e c corrisponde al numero di specie in comune alle due situazioni messe a confronto.

La conoscenza della composizione dei miscugli utilizzati al momento dell’inerbimento ha permesso di tenere separate, nelle elaborazioni successive, le specie seminate da quelle provenienti dall’evoluzione della vegetazione spontanea. L’età dei cotici al momento dei rilievi è stata ricavata dalla data in cui è stato effettuato l’inerbimento, e quindi è stato possibile porre in relazione tale parametro con altre variabili rilevate sulla vegetazione erbacea per dare un giudizio sul livello di evoluzione delle formazioni studiate.

Risultati e discussione 

In Tab. 3 sono riportati i risultati medi della copertura e la suddivisione dei contributi specifici delle diverse specie in base alle famiglie botaniche e all’origine (specie seminate e spontanee). La copertura del terreno è risultata molto elevata e senza differenze significative fra i diversi ambienti di studio, pari nella media a 92%, indice di una generale riuscita degli interventi di inerbimento, a distanza di diversi anni dalla loro realizzazione. I cotici erbosi hanno presentato una certa variabilità nel contributo specifico di leguminose (molto elevato in Secchieta) e in quello delle specie riferibili alle altre famiglie botaniche, mentre non è stata osservata alcuna differenza significativa per le graminacee; in particolare, la percentuale di leguminose è risultata significativamente maggiore nei siti di montagna, mentre l’incidenza delle altre famiglie è apparsa significativamente crescente con la diminuzione della quota dei siti. Nelle due aree costiere si è registrato un maggior reingresso, in termini di contributo percentuale, delle specie spontanee rispetto alle zone montane. Le specie inserite nei miscugli sembrano dunque essersi meglio adattate negli ambienti di quota più elevata, in particolare in località Secchieta, dove, anche a distanza di diversi anni dall’inerbimento, hanno continuato a rappresentare la maggior parte delle piante presenti. Ciò emerge chiaramente dal confronto dei risultati ottenuti a Pontito e a Filettole, dove, a fronte di miscugli perfettamente uguali e di simili tecniche di impianto, si è assistito ad un diverso adattamento delle specie seminate: infatti nella prima località, dopo 7 anni è ancora rappresentato il 56% delle specie seminate, mentre nella seconda, di 6 anni di età, solo il 21%. Questa differenza sembra dovuta essenzialmente all’impiego di un miscuglio più adatto alle aree in quota per la presenza in esso di specie come Festuca pratensis, Trifolium pratense e Trifolium repens.

Tab. 3 - Copertura del terreno e contributo specifico (CS) delle specie ripartito per famiglie botaniche e per origine. Lettere uguali nella stessa colonna indicano differenze non significative (p<0.05) al test di Fisher (DMS).

Località Copertura
terreno (%)
Contributi specifici
Graminacee Leguminose Altrefamiglie Specie
seminate
Montioni 97 ns 28 ns 12 b 60 a 15.7 c
Filettole 99 ns 37 ns 9 b 54 a 20.9 c
Pontito 79 ns 56 ns 23 ab 21 b 56.3 b
Secchieta 95 ns 52 ns 44 a 4 c 86.9 a

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Per quanto concerne la biodiversità, misurata tramite l’indice H’ di Shannon (Tab. 4), essa è risultata superiore nelle due aree poste a quota inferiore e questo aspetto è probabilmente da mettere in relazione ad una maggiore presenza di specie sinantropiche che si sono sviluppate dai semi presenti nella seed-bank. L’indice di Sørensen, utilizzato per esprimere il livello di similarità fra il cotico inerbito e quello naturale (Sn), ha evidenziato un valore massimo a Montioni e Filettole, dove i risultati degli inerbimenti, sebbene siano ancora distanti dalla situazione di massima somiglianza (espressa da un rapporto di similarità teorico pari a 1), sembrano essere quelli che più si avvicinano alle aree circostanti di simili caratteristiche. In località Secchieta, invece, la ridotta somiglianza con il cotico erboso naturale sembra essere confermata dalla permanenza delle specie seminate, come evidenziato anche dall’alto valore di Sm (0.7). Si può quindi affermare che questi indici di similarità sostanzialmente hanno fatto emergere buone potenzialità nel loro uso e sono stati in grado di evidenziare il processo evolutivo in maniera adeguata, confermando quanto già riscontrato, seppur in altre tipologie di inerbimento, da Argenti et al. ([2]).

Tab. 4 - Indice di Shannon (H’) e indici di Sørensen (Sn e Sm) nei siti di studio. Lettere uguali nella stessa colonna indicano differenze non significative (p<0.05) al test di Fisher (DMS).

Località H Sn Sm
Montioni 2.6 a 0.6 a 0.2 b
Filettole 2.2 ab 0.6 a 0.2 b
Pontito 1.8 b 0.4 b 0.3 b
Secchieta 1.8 b 0.4 b 0.7 a

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In Tab. 5 sono riportate, per ogni area, le tre specie più rappresentate come contributo specifico, evidenziandone anche l’origine. Fra quelle seminate Dactylis glomerata, presente in tutti i miscugli, ha dimostrato un buon adattamento e, essendo una specie ad ampio spettro ecologico e con diffusione rilevata in quasi tutte le superfici circostanti gli inerbimenti, risulterebbe utile per l’inserimento negli interventi di ripristino ambientale. Anche alcune specie spontanee potrebbero essere utilmente impiegate con queste finalità e meriterebbero perciò maggiori approfondimenti e, fra queste, Inula viscosa sembra avere un certo interesse soprattutto in ambienti con clima di tipo mediterraneo. Soprattutto per le zone montane si conferma la forte presenza di specie seminate, a dimostrazione che i miscugli impiegati sono più adatti alle zone di altitudine.

Tab. 5 - Principali specie rilevate in ogni area studiata.

Area Specie Contributo specifico Origine
Montioni Conyza canadensis 12.5 Spontanea
Inula viscosa 8.5 Spontanea
Lolium perenne 8.3 Seminata
Filettole Inula viscosa 23.2 Spontanea
Dactylis glomerata 19.8 Seminata
Bromus hordeaceus 14.3 Spontanea
Pontito Dactylis glomerata 20 Seminata
Festuca gr. ovina 19 Seminata
Trifolium repens 7.8 Seminata
Secchieta Dactylis glomerata 21.5 Seminata
Festuca gr. rubra 17.4 Seminata
Trifolium repens 17.3 Seminata

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Lo studio d’insieme dei quattro ambienti è risultato utile per individuare eventuali relazioni fra alcuni parametri esaminati e per ottenere indicazioni di carattere generale.

In Fig. 1 è illustrato l’andamento dell’indice di Sørensen di somiglianza con la vegetazione naturale (Sn) al variare del contributo specifico delle specie appartenenti alle altre famiglie. La figura evidenzia come quest’ultimo parametro influenzi il livello di somiglianza delle aree inerbite con i cotici erbosi naturali e che quindi sia soprattutto questa categoria di specie ad essere responsabile della ricolonizzazione da parte della flora locale, come già evidenziato da Argenti et al. ([5]) per le piste da sci. Da notare tuttavia la diminuzione dell’indice oltre un certo valore di contributo specifico complessivo di specie appartenenti ad altre famiglie, probabilmente per l’instaurarsi di fenomeni di competizione che ostacolano il regolare sviluppo di graminacee e di leguminose che sono naturalmente presenti nei cotici indisturbati.

Fig. 1 - Regressione tra Sn e contributo specifico delle specie appartenenti ad altre famiglie.

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Relativamente all’evoluzione nel tempo, in Fig. 2 è riportato l’aumento significativo dell’indice di somiglianza fra cotici inerbiti e naturali (Sn) col numero di anni trascorsi dall’intervento di inerbimento: tale andamento è probabilmente determinato dall’ingresso nel cotico erboso di specie spontanee nel corso degli anni con un conseguente aumento di “naturalità”, a conferma che il fattore tempo gioca un ruolo importante nella ricolonizzazione e quindi nel ripristino della biodiversità originaria e nella perdita di artificiosità dei cotici ricostituiti tramite inerbimento. Anche in passato tale parametro è stato preso in considerazione per individuare diverse fasi dell’evoluzione di un inerbimento in funzione del livello di naturalità raggiunto, come ad esempio in Bédécarrats ([7]).

Fig. 2 - Regressione tra Sn e numero di anni trascorsi dall’inerbimento.

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Inoltre, dai risultati ottenuti è emerso che il valore di somiglianza della vegetazione dell’inerbimento con il cotico naturale è inversamente correlato alla somiglianza con il miscuglio di partenza in maniera molto stretta (Fig. 3). L’impiego di specie molto adattate all’ambiente, o aggressive, in qualche modo è in grado di rallentare la penetrazione e lo sviluppo delle specie native e quindi di ridurre il processo di ricolonizzazione da parte della flora tipica dell’areale. E’ di esempio il caso di alcuni tratti di inerbimento realizzati in località Secchieta dove, dopo 4 anni dall’intervento, si individuano ancora zone con copertura del 100% (a indicazione del buon risultato tecnico dell’intervento), ma il cui cotico è formato in prevalenza da specie del miscuglio iniziale (Sm=0.82), piuttosto differente dalle aree a pascolo naturale circostante (Sn=0.27). Sembrerebbe dunque delinearsi l’importanza della scelta delle specie da inerbimento, che devono essere adatte alle condizioni ambientali ed in grado di svilupparsi rapidamente, ma contemporaneamente dovrebbero anche lasciare lo spazio sufficiente all’ingresso delle specie locali dalle aree circostanti favorendone l’insediamento.

Fig. 3 - Regressione tra gli indici di somiglianza con il cotico naturale (Sn) e con il miscuglio (Sm).

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L’analisi dell’andamento del contributo totale delle specie spontanee, ossia della sommatoria dei contributi specifici delle specie non presenti nel miscuglio originario, ha evidenziato un trend legato inversamente alla quota (espressa in metri) e direttamente alla pendenza (espressa in percentuale), secondo la seguente regressione multipla altamente significativa (r 2 = 0.68** - eqn. 1):

(1)
CS spontanee = 85.12 - 0.06 · quota + 1.25 · pendenza

La quota, dunque, rallenta la velocità di evoluzione del cotico erboso, rendendo più difficile l’ingresso delle specie spontanee, mentre la pendenza sembra influire sulla chiusura del cotico erboso seminato, maggiormente capace di lasciare così spazi liberi per la penetrazione delle piante appartenenti alla flora locale.

Conclusioni 

Complessivamente gli inerbimenti realizzati nei tratti di metanodotto studiati hanno raggiunto una soglia di copertura superiore al 70% che è ritenuta efficace per la difesa dall’erosione ([16]) e un discreto inserimento nell’ambiente circostante con, in generale, una buona percentuale di specie spontanee nel cotico erboso. In particolare, nelle due aree costiere (Filettole e Montioni) è stata evidenziata una maggior velocità di ingresso delle specie locali, rappresentate in prevalenza da Inula viscosa, Daucus carota e da specie riferibili al genere Cistus e Lolium, derivate forse dalla banca del seme che in questi ambienti è generalmente molto ricca ([17]), mentre nelle aree montane si è registrata una maggiore permanenza delle specie introdotte con l’inerbimento, sia per l’impiego di miscugli più adatti alle aree di elevata altitudine che per la ridotta velocità di reingresso della vegetazione spontanea negli ambienti montani ([5]).

La scelta del miscuglio sembra essere stata idonea soprattutto per l’area di Pontito, dove le specie seminate (tutte ritrovate anche nelle aree circostanti, eccetto Bromus inermis) hanno costituito un cotico erboso sufficientemente chiuso da evitare l’erosione superficiale ma, contemporaneamente, hanno lasciato spazi sufficienti per la penetrazione delle specie spontanee; in questa situazione, in effetti, il ripristino mediante l’inerbimento sembra aver raggiunto entrambi gli obiettivi principali perseguiti, ossia efficace copertura del terreno e buon inserimento di esso nell’ambiente. Al contrario nel sito di Secchieta la presenza nel miscuglio di specie poco diffuse, o addirittura assenti, nelle aree contigue, ma che si sono ben adattate all’ambiente (in particolare Dactylis glomerata, Lolium perenne, Poa pratensis e Trifolium repens) ha determinato una composizione stabile del cotico erboso, che difficilmente tende ad evolversi verso le tipologie di vegetazione circostante e che comunque rallenta la penetrazione delle specie locali. Nelle aree costiere, infine, la scelta di miscugli costituiti da specie generalmente poco adatte alle locali condizioni ambientali, ha determinato il rapido reingresso delle specie della flora spontanea; soprattutto in questi due ambienti, dove le specie seminate sono presenti solo con contributi limitati (15-20%), la mancanza di dati relativi alle prime fasi di sviluppo dell’inerbimento (1-2 anni) rende però difficile il giudizio complessivo relativo alla rapidità di copertura del terreno da parte delle specie introdotte con l’inerbimento, facendo nascere alcuni dubbi sull’effettiva efficacia della copertura iniziale del terreno.

L’analisi degli interventi di ripristino realizzati in anni passati ha permesso inoltre di individuare alcune specie risultate particolarmente utili per gli inerbimenti, sia introdotte con i ripristini (ad esempio Dactylis glomerata) che naturali (ad esempio Inula viscosa), il cui comportamento e le possibilità di impiego meriterebbero maggiori approfondimenti sperimentali.

Di particolare utilità si è dimostrato l’impiego dell’indice di somiglianza di Sørensen nell’analisi del grado di naturalizzazione raggiunto dalle formazioni erbacee introdotte con l’inerbimento, al fine anche di valutare la compatibilità ambientale degli inerbimenti tecnici considerando che la gran parte di essi vengono eseguiti utilizzando specie foraggere che possono interferire con l’equilibrio naturale della flora spontanea nelle aree di intervento.

Ringraziamenti 

Gli autori ringraziano il personale della SNAM che ha collaborato alla presente ricerca.

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