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Bärenthoren’s Dauerwald and its actuality

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 9, Pages 260-272 (2012)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0706-009
Published: Dec 03, 2012 - Copyright © 2012 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

Bärenthoren’s Dauerwald and its actuality. The Dauerwald (= continuous forest) proposed by Alfred Möller in 1920, which has been central in the debate on forests in Central Europe for quite some time, was examined after a recent excursion to the Scots pine forests of Bärenthoren (Saxen-Anhalt, North-East Germany), where Friedrich von Kalitsch developed this type of management over a century ago. The forests described at Möller’s times have changed considerably since then, even if the original management policies are still applied, with appropriate adaptation. Interest in the more general principles of Dauerwald has increased in recent decades. The current relevance of continuous cover, diversity of species (biodiversity) and the production of high-quality wood are discussed, with a view to environmental changes, new needs of society, and economic uncertainties. In a still open debate on the importance of silvicultural approaches which are closer to natural processes, the history of the Dauerwald offers different perspectives on various aspects of forest management and sustainable use of ecosystem resources, but also working and study hypotheses in forest conditions different from those in central-Europe.

Keywords

Dauerwald, Continuous Cover Forestry, Close-to-nature Forestry, Sustainable Forest Management, Sylvicultural Systems, Germany

Introduzione 

L’idea del Dauerwald (= bosco permanente, foresta perenne) fu proposta circa un secolo fa in Germania da Alfred Möller, direttore dell’accademia forestale di Eberswalde (nei pressi di Berlino, oggi Università per lo Sviluppo sostenibile Eberswalde). In quel periodo la selvicoltura tedesca era caratterizzata soprattutto nelle regioni settentrionali ed orientali (ma anche in Hessen, Baviera e Baden) dal taglio raso su ampie superfici (Großkahlschlag), seguito da lavorazioni del terreno e piantagione di abete rosso o pino silvestre, mentre in alcune zone meridionali della Baviera e del Baden, così come in Svizzera, si cercava di rinnovare i boschi naturalmente, di favorire la mescolanza specifica e la disetaneità secondo l’insegnamento di Karl Gayer ([22]). Möller, che considerava una superficie tagliata a raso non più come bosco venendo meno la sua continuità di organismo, riconobbe l’espressione più tipica della sua idea di Dauerwald nella gestione delle pinete di pino silvestre del barone Friedrich von Kalitsch ([26], [27]), proprietario forestale a Bärenthoren (nei pressi di Dessau, in Germania nord-orientale, oggi nel Land Sachsen-Anhalt).

Alla vicenda del Dauerwald si legarono personalità emblematiche di quel periodo della storia forestale tedesca. Il barone Walter von Keudell, ad esempio, dopo aver gestito come Dauerwald i boschi della sua tenuta a Hohenlübbichow in Pomerania, lo impose per legge in tutto il paese fra le polemiche, durante il suo mandato di Generalforstmeister (1934-1937) a capo dell’amministrazione forestale del Terzo Reich ([22]). Il barone Arnold von Vietinghoff-Riesch, ornitologo e professore a Tharandt, vide nel Dauerwald la soluzione al problema fauna-bosco ed applicò i principi della nuova gestione nella sua proprietà di Neschwitz in Sassonia sud-orientale ([47]). Infine, va ricordata la figura di Hermann Krutzsch, funzionario dell’amministrazione forestale sassone, che ebbe modo di studiare approfonditamente la gestione di Bärenthoren. Alla guida dal 1926 del distretto forestale di Bärenfels vicino a Dresda ([17]), sperimentò una gestione in linea con la teoria di Möller in boschi di abete rosso (con faggio ed abete bianco) ed elaborò i principi della “selvicoltura conforme alla natura” (naturgemäße Waldwirtschaft).

L’influenza culturale del Dauerwald si spinse, quantomeno in Germania, ben oltre la metà del secolo scorso. In una delle più recenti ricostruzioni storiche della vicenda, Schmidt ([37]) ha evidenziato la continuità tra i primi sviluppi dell’idea di Möller, le successive proposte sulla selvicoltura conforme alla natura da parte di Krutzsch, e la nascita di un gruppo di lavoro (Arbeitsgemeinschaft Naturgemäße Waldwirtschaft - ANW) che nel dopoguerra proseguì la discussione sull’allontanamento dalla gestione dei boschi di conifere attraverso tagli rasi su ampie superfici ([49]). Le attività di questo gruppo avrebbero riscosso nei decenni più recenti un interesse crescente in tutta Europa, in parallelo ad una maggiore consapevolezza sulle tematiche ambientali da parte dell’opinione pubblica. La fondazione di Pro Silva nel 1989, alla quale contribuì l’ANW, nonché i successivi sviluppi, sarebbero nel solco di un percorso (più ampio e composto anche da altri contributi) lungo oltre un secolo verso il “ritorno alla natura” della selvicoltura ([8], [38]).

La ricostruzione storica della gestione delle pinete di Bärenthoren offre spunti interessanti di valutazione e di insegnamento sulla teoria del Dauerwald. Il tempo, infatti, consente di osservare direttamente in bosco conferme o smentite di posizioni che hanno diviso la comunità scientifica dell’epoca, mentre alcuni principi di carattere generale hanno avuto modo di delinearsi con maggiore chiarezza. L’idea centrale del pensiero di Möller, ovvero la necessità di considerare il bosco come entità unitaria (suolo-soprassuolo) da preservare costantemente (Stetigkeit des Waldwesens), venne criticata all’epoca della sua formulazione, ma oggi è considerata come un’intuizione che anticipava il concetto di ecosistema elaborato successivamente ([42]).

L’argomento generale del Dauerwald è emerso spesso in studi sullo sviluppo della selvicoltura centro-europea (ad es., [13], [8], [34], [37]) e nel nostro paese in relazione alle discussioni sui principi della selvicoltura naturalistica (ad es., [1], [29], [3], [32], [50], [4]). Alcuni temi dibattuti nel tempo intorno alle idee del Dauerwald si ritrovano in articoli recenti sulla continuous cover forestry (ad es., [45], [33], [39]).

Quanto alle pinete di Bärenthoren, di esse sono state descritte in dettaglio le condizioni antecedenti all’ultima guerra mondiale (ad es., [28], [43]). Successivamente le informazioni sono diventate frammentarie e indirette (ad es., [19], [11]), condizionate anche dall’isolamento della Germania orientale (DDR). Il contributo più recente di Pietschmann ([31]), che ricostruisce la storia della famiglia von Kalitsch, ed alcuni lavori in memoria della figura di Möller ([41], [36], [12]) consentono oggi di tracciare un quadro più completo dell’intera vicenda.

In questo lavoro si parte dall’analisi della condizione delle pinete di Bärenthoren durante una visita effettuata nell’estate dell’anno scorso, che per una coincidenza è avvenuta quasi esattamente un secolo dalla prima visita di Möller (autunno del 1911). Per confronto, oltre a questo caso, sono stati visitati i boschi di Neschwitz e di Bärenfels, citati in precedenza. Il contributo ha l’obiettivo di discutere l’attualità di alcuni principi che ruotano attorno alla teoria del Dauerwald - continuità della copertura, mescolanza specifica (biodiversità) e produzione legnosa - anche in relazione ad un possibile interesse per il nostro paese.

Friedrich von Kalitsch e il Dauerwald a Bärenthoren fra passato e presente 

Nelle ricostruzioni sul Dauerwald la figura di Friedrich von Kalitsch (1858-1938) è stata spesso trattata marginalmente. Persona riservata, tanto da non lasciare nulla di scritto sulla gestione dei suoi boschi, esponente di una nobiltà prussiana in declino economico e di prestigio sociale nel periodo di passaggio tra la monarchia e la repubblica, secondo l’antica tradizione di famiglia si era formato come forestale all’accademia di Eberswalde, con un interesse per la nascente scienza di studio del suolo tedesca, sotto la guida di Emil Ramann.

Quando nel 1884, dopo un breve periodo nell’amministrazione forestale, assunse la gestione dell’azienda di famiglia a Bärenthoren, trovò una situazione incompatibile con la necessità di dover ricavare dal bosco il mantenimento necessario alla famiglia. Nelle pinete di pino silvestre, pascolate e impoverite dall’asportazione della lettiera, accrescimenti e provvigione erano infatti modesti (rispettivamente 2 m3/ha/anno e 60 m3/ha). Esse erano originate con costose lavorazioni del terreno e rinnovazione artificiale, ma soprattutto erano sbilanciate verso le classi più giovani: i popolamenti di oltre 60 anni occupavano circa il 3% della superficie complessiva delle pinete di circa 600 ettari (Fig. 1).

Fig. 1 - Sviluppo della struttura delle pinete a Bärenthoren. Superfici occupate dalle diverse classi d’età ed andamento di alcuni parametri nei popolamenti di pino silvestre (provvigione media e incremento medio annuo - fonte: [35]).

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Da qui la decisione di intervenire attraverso cure colturali su tutta la superficie ad intervalli di 1-3 anni. Questi interventi, che consentirono di raddoppiare la ripresa prevista da 1.5 m3/ha/anno a oltre 3 m3/ha/anno, erano assimilabili unicamente a diradamenti di tipo alto, secondo un modo di operare considerato «innovativo ed inaudito per l’epoca» ([17]). In quei tempi, come si è detto, le estese pinete della Germania nord-orientale erano trattate rigorosamente con un taglio raso su ampie superfci al termine di un turno prestabilito nell’ambito di un ordinato avvicendarsi delle diverse classi cronologiche sulla superficie, sia pure riconoscendo l’importanza di periodici tagli intercalari. Gli interventi di von Kalitsch erano invece frequenti e moderati, cercavano di garantire una distribuzione uniforme delle piante di maggior valore su tutta la superficie, con l’obiettivo di ottenere, grazie alle potature ed alla regolazione della densità, fusti privi di nodi per almeno 12 m e chiome sviluppate per circa un terzo dell’altezza in grado di offrire il massimo dell’incremento e della produzione di seme.

Ogni anno l’insieme dei popolamenti veniva preso in esame, diradando più frequentemente quelli migliori, ed applicando un vecchio detto volto a favorire la crescita delle piante più belle: il peggio cade per primo, il meglio si conserva («Das Schlechteste fällt zuerst, das Bessere bleibt erhalten»). La rinnovazione artificiale era limitata al rimboschimento di superfici colpite da attacchi di insetti ed all’introduzione di latifoglie (principalmente faggio, tiglio, acero); i residui colturali rimanevano sul terreno per favorire la fertilità del suolo; la raccolta della lettiera ed il pascolamento vennero aboliti.

I rilievi del 1913, 1924 e 1934 evidenziarono un notevole riequilibrio della distribuzione delle età dei popolamenti (Fig. 1). Nel 1928 von Kalitsch padre passò la gestione al figlio Joachim e pochi anni dopo iniziarono i primi contrasti su come continuare, se in linea con il precedente indirizzo - secondo il desiderio della famiglia e dell’amministratore Gericke - o adottando nuove forme di carattere sperimentale secondo le intenzioni di Krutzsch, diventato referente per la gestione di Bärenthoren in qualità di rappresentante dell’ufficio di assestamento dei servizi forestali della Sassonia. Secondo Pietschmann ([31]), negli ultimi anni di vita del vecchio von Kalitsch la gestione si allontanò dai criteri iniziali: per effetto della crisi economica aumentarono i prelievi, varie parti del bosco furono interessate da schianti da vento ed attacchi di insetti. Durante e dopo la guerra occupazioni militari, cambio di proprietà, incendi, eccessivo carico di selvatici contribuirono a modificare la struttura dei popolamenti, divenuta a tratti molto omogenea, sebbene i vari amministratori succedutisi tentassero di mantenere su un nucleo centrale i criteri della gestione originaria.

Ai tempi di Möller la gestione di von Kalitsch veniva ammirata per l’abbondante rinnovazione naturale sotto le pinete, spiegata come conseguenza di un miglioramento delle condizioni del suolo e degli interventi nel piano dominante. L’analisi dell’evoluzione della vegetazione del sottobosco sulla base di cartografie realizzate in tempi successivi, ha rivelato effettivamente un miglioramento della fertilità ([36]), attestata dal passaggio dalla originaria dominanza di licheni e Calluna vulgaris (1875) alla comparsa di associazioni di specie di graminacee più esigenti, prima a prevalenza di Deschampsia sp. (1934), negli ultimi decenni di Calamagrostis epigejos, la cui diffusione viene messa in relazione anche con le immissioni di azoto prodotte dall’inquinamento industriale. Nuovi elementi provenienti dalle indagini sui suoli ([31]) hanno evidenziato la presenza in una parte rilevante della tenuta (circa 400 ha) di cosiddette terre brune a zolle (plaggenbeeinflußte Braunerden), riconducibili alle tecniche di concimazione dei terreni più vicini ai villaggi da parte dei contadini di origine fiamminga che avevano colonizzato la zona nel Medioevo. Queste antiche pratiche consentirono lo sviluppo di uno strato organico non troppo profondo, principale responsabile, molti secoli più tardi, delle condizioni favorevoli per la rinnovazione naturale del pino.

Oggi le pinete di Bärenthoren sono prevalentemente pure, composte da piante di diversa età che formano un piano dominante nel quale sono riconoscibili 2 o 3 generazioni successive, mentre il piano dominato, non sempre presente, è occupato dalla rinnovazione (Fig. 2A e 2B).

Fig. 2 - Gestione storica nelle pinete di Bärenthoren, Saxen-Anhalt (Germania). (A) Piano dominante con due generazioni di pino di circa 100-110 anni, nel dominato rinnovazione ottenuta 25 anni fa dopo aratura superficiale (part. 1350a). (B) Soprassuolo con tre generazioni di pino (circa 180, 100, 60 anni), sottobosco di graminacee e senza rinnovazione. (C) Parcella con faggio realizzata da von Kalitsch nel 1900, presente anche pino di circa 100 e 180 anni. (D) Piano dominante con due generazioni di pino (circa 100 e 60 anni), nel sottobosco Prunus serotina e assenza di rinnovazione (part. 1352a).

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Come paradosso di una gestione che si prefiggeva un secolo fa l’obiettivo di trattare in maniera conservativa suolo e soprassuolo evitando disturbi, il pino silvestre oggi non si rinnova naturalmente, se non per effetto di eventi in grado di scoprire l’orizzonte minerale: aratura superficiale del terreno, devitalizzazione della copertura di graminacee o a seguito di fenomeni meteorici estremi (l’ultimo di una certa intensità, l’uragano Kyrill nel 2007) ed occasionali incendi estivi.

I risultati dei tentativi di far evolvere le pinete verso un bosco di latifoglie in grado di rinnovarsi naturalmente o verso un bosco misto sono modesti (Fig. 2C) e l’unica latifoglia legnosa in grado di occupare spontaneamente il sottobosco è Prunus serotina (Fig. 2D), specie nord-americana naturalizzata e tossica per gli ungulati, comunque ancora presenti in densità eccessiva.

Discussione 

Per quanto affascinante possa apparire la storia della gestione di Bärenthoren di un secolo fa, oggi si potrebbe rimanere delusi nel constatare una scarsa rinnovazione naturale, poca diversità nella struttura orizzontale ed una mescolanza specifica quasi assente. Come si è visto, le possibili spiegazioni dello stato attuale sono riconducibili all’interazione complessa di più fattori che nel tempo si sono sovrapposti alle particolari condizioni della stazione: caratteristiche ecologiche del pino, selvatici, inquinamento, comparsa di vegetazione in competizione con la rinnovazione, eventi legati all’azione antropica, ecc.

Dal punto di vista ecologico il caso evidenzia quanto sia difficile tornare a condizioni “originarie” di un ecosistema forestale dopo secoli o millenni di influenza antropica. Nel nord-est della Germania le pinete di pino silvestre potrebbero essere considerate localmente come ecosistemi forestali relitti degli inizi del periodo postglaciale ([20]), anche se la vegetazione naturale potenziale è riferibile, nelle aree a maggiori precipitazioni, a boschi misti di faggio ([14]). D’altra parte, proprio le modifiche all’ecosistema, in particolare ai suoli, apportate dall’uomo prima dei rimboschimenti e dei miglioramenti boschivi degli inizi del 19. secolo, così come i condizionamenti successivi legati alla gestione forestale, hanno prodotto cambiamenti irreversibili. Da qui la difficoltà a tornare verso condizioni più simili a quelle “originarie”, siano esse di un bosco misto di latifoglie o di pinete in grado di rinnovarsi naturalmente in mancanza di eventi di perturbazione. La prosecuzione di una gestione secondo i criteri del Dauerwald è quindi possibile solo attraverso scelte consapevoli di tipo colturale che richiedono anche operazioni di un certo impatto sull’ecosistema, piuttosto che a partire da spontanei processi naturali.

Prendendo lo spunto da alcune osservazioni sul caso esaminato, appare interessante analizzare la teoria del Dauerwald in una prospettiva volta ad evidenziarne la sua attualità ed il possibile interesse anche per realtà non direttamente confrontabili con i parametri ambientali di Bärenthoren. In effetti, al di là degli aspetti tecnici più particolari, si è sostenuto che il Dauerwald corrispondesse nelle intenzioni di Möller ad un’idea di carattere generale, ovvero un insieme di principi, con diverse possibilità di realizzazione. Sotto questo profilo Bärenthoren è stato solo un esempio di Dauerwald, fra vari altri anche piuttosto diversi fra loro ([22]).

Continuità della copertura

Come affermato da Schütz ([38]), la continuità della copertura insieme al buono stato di salute del bosco rappresentano due elementi caratteristici della definizione del Dauerwald. Per soddisfare questo principio, von Kalitsch bandì infatti il taglio raso ed ottenne una buona vitalità del soprassuolo attraverso la cura del suolo e la rinnovazione naturale, ma anche selezionando ed allevando attraverso gli interventi colturali gli individui arborei migliori.

Il principio di mantenere una continuità della copertura del suolo non era una novità all’epoca di von Kalitsch, poiché era presente, ad esempio, nella gestione tradizionale dei boschi disetanei e misti sulle Alpi ed in alcune zone di pianura in Germania ([25], [15]). Verso la fine del XIX secolo nuovi impulsi in tal senso erano emersi anche grazie alle idee di Gurnaud (Francia), Biolley (Svizzera) e Gayer (Germania). Un elemento innovativo era invece il tentativo di estendere il principio alla gestione delle pinete di pianura nord-orientali tedesche.

Si tratta di un criterio di carattere generale ancora attuale nei sistemi selvicolturali riferibili alla continuous cover forestry (CCF) e basati sulla rinnovazione continua (sistemi selettivi, per singolo albero o per gruppi), che li differenzia rispetto a quelli che prevedono la rinnovazione concentrata in un periodo limitato (sistemi per tagli successivi, uniformi, irregolari, in gruppi o a strisce). Secondo una classificazione che riflette questo aspetto ([6]), si potrebbe considerare nel medesimo gruppo dei sistemi selettivi il Dauerwald, il bosco conforme alla natura di Krutzsch (ottenuto attraverso una rinnovazione per gruppi piccoli-medi-grandi, comunque inferiori al mezzo ettaro) e anche ovviamente la fustaia disetanea classica originata attraverso un taglio saltuario (Plenterwald). Ne consegue che l’insieme dei sistemi selettivi appare piuttosto flessibile per essere applicabile ad un’ampia varietà di situazioni stazionali e compositive ([38]).

La copertura continua del suolo a Bärenthoren assumeva inoltre il significato di vera e propria “cura” del suolo attraverso l’abolizione della raccolta di lettiera, del pascolamento e del taglio raso (con brusca alterazione delle caratteristiche dell’habitat) allo scopo di mantenere più umido il terreno, di fare sviluppare i muschi (importanti regolatori del bilancio idrico di un bosco) e di favorire condizioni migliori per la decomposizione della lettiera. Möller ([27]) sosteneva che «la selvicoltura del futuro non conoscerà tagli rasi e dovrà imparare a gestire l’acqua e l’azoto».

Sotto questo profilo il principio generale appare decisamente attuale: non vi è dubbio che la carenza di acqua potrà essere uno degli aspetti critici del cambiamento climatico, tale da condizionare l’evoluzione dei boschi e la gestione forestale, particolarmente nelle pianure della Germania nord-orientale ([18]), ma anche in altre aree d’Europa. Una gestione orientata a mantenere una copertura continua sul suolo e quindi una continuità della struttura forestale è una delle strategie proposte per la selvicoltura adattativa nei confronti del cambiamento climatico ([2]). In particolare, la gestione ideale dovrà riflettere una combinazione ottimale dei fattori che contribuiscono al bilancio idrico di un bosco (fra gli altri, caratteristiche stazionali e compositive del bosco, ma anche densità e sviluppo delle chiome arboree, sviluppo della vegetazione del sottobosco ecc.).

D’altra parte, le generalizzazioni vanno prese con cautela. Proprio le osservazioni attuali sulla rinnovazione del pino a Bärenthoren sembrano confermare per questo caso che nei tempi lunghi la presenza di elementi di disturbo all’ecosistema sia indispensabile per la rinnovazione della specie forestale principale, altrimenti sovrastata dalla competizione di graminacee o di latifoglie (a Bärenthoren, Prunus serotina, evidentemente non gradita dal punto di vista ecologico e selvicolturale). Gli alleati di un tempo della rinnovazione del pino silvestre, come la raccolta della lettiera, il fuoco e il pascolo di pecore, aborriti dai sostenitori del Dauerwald, oggi sono sostituiti comunque da eventi di disturbo di origine abiotica (meteorici) o antropica (misure per allontanare la vegetazione in diretta concorrenza) in grado di esporre gli orizzonti minerali del suolo. Ciò fa riflettere sul ruolo dei disturbi nella dinamica di un ecosistema e sulla resilienza ecologica ([30]), anche in una prospettiva di cambiamento delle condizioni del clima.

Mescolanza specifica e biodiversità

L’idea del bosco misto non coetaneo come obiettivo finale della gestione era anch’essa alla base del pensiero di Möller sul Dauerwald e trovò un riscontro negli interventi di von Kalitsch per introdurre nelle sue pinete assolutamente monospecifiche il faggio ed altre specie. Fra le varie specie introdotte, nessuna latifoglia mostra un particolare adattamento alle condizioni attuali di Bärenthoren (se si esclude Prunus serotina), forse anche per condizioni della falda idrica che penalizzano specie come il faggio o le querce (farnia e rovere), mentre fra le conifere paradossalmente solo la douglasia sembra consociarsi oggi meglio al pino.

L’obiettivo della mescolanza specifica non rispondeva unicamente ad un’esigenza colturale per migliorare la resistenza alle avversità abiotiche, favorire la decomposizione della lettiera ecc., ma si affiancava ad un’idea più generale di “ricostruzione e ripristino” della copertura forestale tedesca delle origini. Questo obiettivo era alla base del pensiero di Heinrich Cotta, fondatore della scuola forestale “classica” di Tharandt in Sassonia, come ricordato più volte nell’opera di Möller ([27]). Più tardi, l’idea di ricostituire la “natura” tedesca delle origini fu posta in antitesi rispetto alla distruzione del paesaggio natio (Heimat), conseguenza di secoli di sfruttamento agricolo e forestale e del più recente sviluppo industriale e delle città ([21]), ma si confuse pericolosamente con derive di tipo ideologico.

Per Von Vietinghoff-Riesch ([46]) non solo il ripristino della copertura forestale originaria poteva aiutare a ristabilire la bellezza estetica di alcuni “quadri” del paesaggio tedesco, ma la presenza di antichi predatori ormai estinti avrebbe potuto risolvere anche il conflitto caccia-bosco particolarmente acuto nel periodo nazionalsocialista, ristabilendo antichi equilibri alterati dall’uomo.

Dell’attività di von Vietinghoff-Riesch come selvicoltore nei boschi della proprietà di famiglia a Neschwitz non restano oggi che poche tracce, a causa dell’impronta pesante lasciata dai “metodi produttivi conformi all’industria” (industriemäßiger Produktionsmethoden) nel periodo della DDR e dalla privatizzazione avvenuta dopo la riunificazione tedesca (Fig. 3A e 3B). Con le sue idee sulla natura da ripristinare e conservare si confrontò l’ecologo e forestale americano Aldo Leopold durante un suo viaggio di studio in Germania ([23], [24]). Ospite a Neschwitz, ebbe modo di conoscere le visioni del tempo sul rapporto tra la gestione selvicolturale e la presenza di fauna e flora selvatica. Alcune impressioni di quel viaggio, ad esempio il “sospetto” nei confronti di blocchi monospecifici di boschi artificiali, l’importanza di conservare parti intatte di natura e di ricostituire equilibri alterati dall’uomo, sarebbero confluite più tardi in alcuni temi della sua Land-Ethic ([10]).

Fig. 3 - Esempi di gestione forestale in Sassonia. (A) Neschwitz, popolamento di circa 60 anni di pino, abbondante rinnovazione in gruppi, in linea con il principio del Dauerwald della copertura del suolo. (B) Neschwitz, pineta di origine artificiale del periodo DDR. (C) Bärenfels, bosco di abete rosso di origine artificiale del periodo DDR, subito dopo diradamento forte di tipo alto per favorire stabilità e crescita delle piante migliori. (D) Bärenfels, bosco di abete rosso con rinnovazione in gruppi, graduale dissoluzione dei margini con piante ancora in grado di sostenere incrementi elevati, secondo i criteri del naturgemäßer Wirtschaftswald di Krutzsch.

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Non vi è dubbio che sul principio di conservazione della biodiversità si basa anche oggi la gestione forestale sostenibile e la mescolanza di specie di un bosco è ritenuta una caratteristica necessaria per garantire la stabilità e l’adattamento a mutate condizioni ambientali. Proprio l’incertezza sull’evoluzione del cambiamento climatico evidenzia l’importanza di costituire boschi misti, come “assicurazione” rispetto a possibili condizioni ambientali differenti da quelle attuali ([2]). L’ottenimento di un bosco misto a partire da uno puro attraverso adeguati interventi selvicolturali non è tuttavia un fatto scontato. Come si è visto e discusso sopra, il caso di Bärenthoren evidenzia tutte le difficoltà di questo percorso.

Ancora oggi in Sassonia la trasformazione di boschi di abete rosso puri e coetanei di origine artificiale relativamente giovani (spesso anche questi del periodo DDR) in popolamenti misti con faggio ed abete bianco, viene realizzata intervenendo con diradamenti alti per favorire la stabilità di piccoli gruppi di piante (Fig. 3C) ed integrando la rinnovazione naturale con quella artificiale. Vari esempi di eccellenti realizzazioni osservabili a Bärenfels sembrano sottolineare una continuità di vedute con le linee tracciate più di mezzo secolo fa da Krutzsch, ricondotte ancora oggi ai criteri della selvicoltura conforme alla natura (Fig. 3D).

Più in generale, c’è da chiedersi quanto la trasformazione di boschi puri in boschi misti rappresenti realmente un ritorno a caratteri compositivi più “naturali”, teoricamente presenti senza il condizionamento antropico. In ogni caso, la nuova composizione specifica e strutturale dei boschi riflette certamente in maniera più adeguata gli obiettivi attuali dell’amministrazione forestale sassone, quantomeno negli aspetti produttivi, ricreativi, estetici, protettivi ecc., ed i cambiamenti più recenti della società e del modo di vedere i boschi.

Produzione legnosa di qualità

L’impulso primario al modo di agire di von Kalitsch fu dettato originariamente da motivazioni prettamente economiche e non da considerazioni scientifiche: continuando a gestire i boschi attraverso il taglio raso sarebbe arrivato rapidamente alla bancarotta ([22], [31]). Infatti, se all’inizio della sua gestione avesse utilizzato le (poche) superfici arrivate alla scadenza del turno consuetudinario, in pochi anni si sarebbe trovato di fronte a boschi troppo giovani per essere utilizzati: l’unica possibilità per aumentare la ripresa passava attraverso diradamenti più forti, salvaguardando le piante più promettenti per il futuro.

Ancora oggi la “cura” della provvigione esistente in qualità e quantità, accrescendo nel tempo il valore delle piante in piedi, è un elemento che contraddistingue le gestioni assimilabili al Dauerwald ([51], [40], [38], [41]). In questo modo di agire viene a mancare qualsiasi riferimento vincolante (turno, diametro di recidibilità e normalità diametrica, di superficie o massa), né esiste un ordine spaziale. Si opera di conseguenza sui singoli alberi e non sui popolamenti, avvantaggiandosi al massimo delle capacità di crescita individuali delle piante, senza “sacrificarle” in osservanza di un principio di ordine temporale o spaziale, come avviene invece con un taglio simultaneo o in brevi periodi di tutto il popolamento (ad es., taglio raso, tagli successivi), nel quale cadono anche soggetti che potrebbero garantire ricavi più elevati in anni a venire. Il rifiuto di aderire a qualsiasi vincolo di tipo distributivo delle piante per età/diametro allontana il Dauerwald anche dal trattamento della fustaia disetanea classica come intesa da Biolley ([43]).

I tempi di von Kalitsch, è bene ricordarlo, furono attraversati da crisi economiche di carattere globale, tali da condizionare non poco l’azione dei proprietari forestali in Germania. Essi si orientarono verso l’ottenimento di prodotti legnosi di maggiore qualità, introducendo anche innovazioni tecnologiche e di filiera (ad es., apertura di segherie interne all’azienda), mentre lo svincolamento da “norme” di carattere teorico consentì una maggiore flessibilità rispetto al mercato del legno, molto incerto nei periodi di iper-inflazione. Da un certo punto di vista, considerata l’attuale crisi economica, scelte di questo genere potrebbero rivelarsi interessanti ancora oggi.

Va tuttavia osservato che l’auspicata riduzione di vincoli all’attività selvicolturale presuppone, oggi come un tempo, un alto livello di preparazione tecnica e selvicolturale da parte del personale forestale. In mancanza o carenza di tali requisiti, viceversa, la presenza di alcuni vincoli può essere proprio la condizione necessaria per garantire la sostenibilità della gestione forestale. In effetti, ai tempi del Dauerwald critiche venivano mosse sia contro gli assestatori incalliti che subordinavano la coltura delle piante all’assestamento ed al controllo ([27]), sia contro gli eccessivi formalismi matematici della teoria selvicolturale degli eredi della scuola forestale “classica” nella seconda metà del 19. secolo. Purtroppo gli stessi argomenti, impregnati da aggiunte ideologiche, vennero utilizzati durante il Terzo Reich per giustificare prelievi legnosi molto superiori a quelli consentiti dal principio di sostenibilità-perpetuità, sulle cui fondamenta si era poggiato lo sviluppo forestale tedesco nei secoli precedenti ([21]).

A lungo si è discusso se effettivamente la gestione a Dauerwald possa garantire risultati complessivi superiori a quelli di un paragonabile soprassuolo coetaneo. Le osservazioni di Wiedemann ([48]) sui popolamenti formati da più piani arborei sovrapposti corrispondenti ad altrettanti episodi principali di rinnovazione, hanno evidenziato che l’incremento è più limitato della corrispondente fase del bosco coetaneo, sia per le generazioni dominate (che non si trovano in piena luce), che per quella del piano dominante (più rada e con piante più grosse). Complessivamente, tuttavia, l’incremento sarebbe il medesimo poiché si sovrappongono le diverse generazioni.

Recenti analisi evidenziano più correttamente l’ampiezza dei vantaggi economici di una gestione in linea con i principi del Dauerwald, se si includono gli aspetti di maggiore resistenza ai disturbi biotici ed abiotici ed il valore del prodotto legnoso utilizzato al momento della sua “maturità finanziaria individuale” ([16]). Nel caso delle trasformazioni di boschi omogenei coetanei, i vantaggi dipendono soprattutto dall’epoca di intervento e tendono a ridursi con l’età del soprassuolo. D’altra parte, vanno tenuti in considerazione anche i rischi dei danni di abbattimento sulle generazioni più giovani, la possibilità che manchi la rinnovazione ed il fatto che il mercato richiede assortimenti di diverse caratteristiche dimensionali, rendendo spesso necessarie diverse strategie gestionali per soddisfare la varietà di richieste.

In definitiva, appare evidente che per questo tipo di gestione devono sussistere alcuni requisiti indispensabili: elevate capacità professionali-tecnologiche nell’abbattimento (oggi si usano sempre harvester, in pianura come in zone di pendio), ottime condizioni di viabilità-esbosco ed un mercato che apprezzi alcune caratteristiche qualitative del legno prodotto.

Qualche ipotesi di lavoro per il nostro paese

Le idee contenute nella teoria del Dauerwald sono state valutate positivamente da Troup ([43]) che per piccole aree, in condizioni di facile rinnovazione naturale e supervisione intensiva, le considerava utili per una gestione di condizioni di “irregolarità” dei popolamenti. Più tardi Helliwell ([11]) ha ricondotto a queste idee alcune esperienze di gestione di boschi disetanei in Gran Bretagna e poi la formazione di un gruppo sulla CCF nel 1991. Pommerening & Murphy ([33]) hanno discusso gli sviluppi più recenti di questa tendenza, concentrandosi soprattutto sui boschi di origine artificiale (rimboschimenti, trasformazione di piantagioni coetanee, mantenimento di sistemi esistenti di CCF).

Indubbiamente le condizioni climatiche, morfologiche, edafiche e di composizione delle specie, oltre che le consuetudini forestali, del nostro paese sono molto differenti rispetto a quelle della Germania nord-orientale e della Gran Bretagna. D’altra parte, i principi discussi in questo lavoro si ritrovano, nei caratteri essenziali, delineati nei capisaldi della selvicoltura naturalistica esposti, ad esempio, da Paci ([29]), mentre può essere interessante confrontarli con le esperienze di gestione forestale descritte come CCF per alcune realtà forestali del nostro paese (ad es., [5]).

Con tutta probabilità alcuni aspetti riconducibili ai principi del Dauerwald sono ben presenti da tempo nella gestione dei nostri boschi, se non altro perché le condizioni reali di essi rendevano difficili approcci selvicolturali schematici, basati sulla coltivazione artificiale dell’abete rosso (o di altre conifere) e sul postulato della coetaneità ([7]). Tuttavia l’azione dell’uomo ha avuto un marcato effetto di semplificare la struttura e la composizione di alcuni boschi, ad esempio attraverso la gestione dei cedui o la diffusione del castagno, mentre molte formazioni di pini, soprattutto dell’area mediterranea, sono riconducibili almeno in origine a rimboschimenti.

Alcuni dati dell’inventario forestale nazionale ([9]) evidenziano che circa la metà delle fustaie, se si escludono i tipi colturali speciali o non definiti, presenta una struttura disetanea, irregolare o articolata e che oltre un terzo dei cedui si trova in uno stadio invecchiato (età superiore al turno consuetudinario). In questi casi, una gestione volta a mantenere caratteri di “irregolarità” o a trasformare popolamenti strutturalmente molto omogenei potrebbe rivestire un notevole interesse sotto il profilo della biodiversità, ecologico (adattamento a condizioni future), ma anche economico. Da questo punto di vista, a seguito di opportuni adattamenti e verifiche sperimentali preliminari, l’interesse per una gestione ispirata ai criteri discussi in questo lavoro potrebbe riguardare, a titolo di esempio, castagneti dalla struttura omogenea colpiti da malattie, pinete coetanee (mediterranee e non) da trasformare in popolamenti misti attraverso la rinnovazione naturale, cedui invecchiati con difficile evoluzione verso popolamenti misti, ma anche alcuni popolamenti di origine artificiale (Fig. 4), nell’ottica di soddisfare meglio le esigenze della società attuale.

Fig. 4 - Parcella di Pinus radiata presso l’azienda sperimentale di Roma del CRA-PLF. Popolamento di oltre 50 anni con individui di maggiori dimensioni della piantagione originaria e quelli delle generazioni successive (almeno due), avvenute attraverso la rinnovazione naturale (uno dei pochi casi documentati per questa specie nel nostro paese). A prescindere dalle riserve sull’utilizzo di questa specie nelle nostre condizioni, resta il valore storico e sperimentale dell’esperienza che evidenzia la possibilità di ottenere strutture non regolari anche in popolamenti originariamente molto omogenei.

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D’altra parte, la struttura irregolare di un bosco è spesso favorita da particolari condizioni stazionali, compositive e colturali, difficilmente generalizzabili. Tali condizioni si potrebbero realizzare solamente entro una finestra temporale piuttosto limitata, se confrontata con la storia di un bosco. In definitiva, l’irregolarità strutturale non va considerata come un obiettivo perseguibile ovunque in modo durevole, né una necessità indispensabile per boschi che sembrano troppo “omogenei”: una conseguenza di condizioni da verificare caso per caso e nel tempo, piuttosto che un fine per la gestione forestale.

Conclusioni  

Le vicende che ruotano intorno al Dauerwald non appaiono come un episodio passeggero, una moda di un periodo particolare della storia forestale centro-europea. Esse si inseriscono piuttosto in un contesto storico e geografico importante che va tenuto presente se si vogliono comprendere evoluzione ed identità della selvicoltura europea.

Il termine sostenibilità-perpetuità, corrispondente al tedesco Nachhaltigkeit, fu usato infatti per la prima volta nella Sylvicultura Oeconomica di Hannß Carl Von Carlowitz ([44]) con l’intento di evidenziare la necessità di utilizzare i boschi in Sassonia secondo livelli compatibili con il consumo di legno delle attività minerarie e della società del tempo. L’accademia forestale sassone di Tharandt fece proprio il principio generale della sostenibilità-perpetuità come elaborato dalla scuola forestale “classica” tedesca, dando un contributo fondamentale alla ricostituzione della copertura forestale del paese ed influenzando come centro di diffusione della scienza forestale anche gli sviluppi successivi di diverse scuole forestali in Europa (ad es., Francia, Svizzera, Paesi Scandinavi, Italia) e nel mondo (ad es., Stati Uniti, Sud-Est asiatico).

Nella seconda metà del XIX secolo, la sostenibilità-perpetuità fu identificata, da Max Pressler e Johann Judeich, accademici a Tharandt, con la gestione schematica di boschi monospecifici di conifere trattati con tagli rasi estensivi e con l’adozione di una “norma” in nome di una razionalità che doveva seguire il proprietario forestale. È interessante osservare che furono proprio i proprietari forestali privati come von Kalitsch a non ritrovarsi affatto in questa definizione.

Il Dauerwald descritto da Möller ed altri esempi di gestione avviarono e consolidarono un percorso di allontanamento dai caratteri più schematici della gestione forestale del tempo. La nuova impostazione si è affermata progressivamente in Centro-Europa ed oggi è in grado di offrire soluzioni alle problematiche forestali attuali, nei loro risvolti ambientali, sociali ed economici. I temi affrontati in questo lavoro e presenti nei dibattiti di un tempo, riaffiorano del resto nelle discussioni attuali sulla gestione forestale sostenibile e sulla politica forestale europea.

Lo sviluppo di nuove tecniche ed idee è stato lento. L’attività forestale, come sostiene lo storico tedesco Mantel ([25]), si contraddistingue infatti per una forte continuità storica, che influenza in maniera determinante la lenta maturità dello sviluppo forestale. L’analisi storica diventa quindi necessaria per assegnare alle diverse esperienze forestali del passato la giusta importanza.

Conservare una memoria delle esperienze forestali passate è uno dei requisiti necessari per comprendere anche la gestione attuale e le possibili risposte per le sfide future. In questo senso, la decisione recente di destinare la parte centrale delle pinete di Bärenthoren a riserva di importanza storica appare lungimirante. L’obiettivo di conservare la gestione secondo i criteri originari del Dauerwald attraverso opportuni adattamenti alle condizioni attuali si fonde con quello di tramandare la memoria di una vicenda che un tempo ha diviso il mondo forestale, ma oggi offre spunti di riflessione sull’uso sostenibile delle risorse dell’ecosistema forestale e ipotesi di lavoro per il futuro.

Ringraziamenti 

Per la cortese disponibilità ad illustrare e discutere le problematiche gestionali osservate durante la visita ai boschi in Germania nell’estate del 2011, ringrazio i responsabili locali dei servizi forestali, Thoren Reis (Bärenthoren), Dirk Reichel (Neschwitz) e Wolfram Gläser (Bärenfels). Desidero anche ringraziare un revisore anonimo, per i commenti ad una prima versione del testo.

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