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Remebering Bérenger’s aphorims: “Documents in good standing and forest to ruin”

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 10, Pages 55-58 (2013)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0948-010
Published: Apr 15, 2013 - Copyright © 2013 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

Remebering Bérenger’s aphorims: “Documents in good standing and forest to ruin”. Remembering the Adolfo di Bérenger’s aphorism: “documents in good standing and forest to ruin” from the book Studii di Archeologia Forestale. The Author is considered the founder of the Italian forest science. This document tells the history of the head of rangers and the changes of skills and tasks through time. The most likely causes are the variation of the norms and laws implemented and the transfer of some duties from the State to Region.

Keywords

Historical Silviculture, Forest Management, Rangers

Introduzione  

È interesse comune quello di preservare le selve da ogni forma di minaccia che sia antropica o naturale. Sebbene negli anni si sia assistito ad un recupero dei boschi, meglio tradotto nella loro salvaguardia laddove regnava la sconsiderata depauperazione del patrimonio, in modo da invertire lo scempio in una direzione di ripristino, si assiste ancora oggi ad una inadeguata o sommaria gestione del patrimonio boschivo e della montagna in genere.

Infatti, tra i problemi che evidenziano le discrasie esistenti nel settore forestale italiano si annoverano:

  • le difficili condizioni orografiche che limitano le utilizzazioni, essendo i boschi ubicati in zone montane (59.4%), mentre solo il 5% è situato in aree di pianura;
  • la scarsa pianificazione (solo il 15.7% dei boschi è sottoposto a pianificazione, ovvero piani di assestamento);
  • il fatto che più della metà dei boschi di proprietà pubblica non rispetti l’obbligatorietà della pianificazione (Legge Serpieri 1923 n° 3267 e successive), mentre per i boschi privati valgano le “Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale”;
  • la presenza del vincolo naturalistico che tutela il 27.5% dei boschi italiani;
  • la presenza di parchi nazionali (7.6%), parchi regionali (6.7%) e altre aree che rientrano nei siti della Rete Natura 2000;
  • il decentramento delle competenze.

Gli “Hylori” nel passato 

Trascorso qualche anno sabbatico, in termini di concorsi pubblici, il Corpo Forestale dello Stato, in data 30 novembre 2011, ha pubblicato il bando di concorso ancora in itinere relativo alla nomina di quattrocento allievi vice ispettore ([4]). Molti sono stati gli aspiranti che hanno partecipato alle prime prove di valutazione.

A questo punto sorge spontanea una domanda: chi è l’Ispettore forestale e che mansioni assolve?

Oggi è evidente che si assiste ad un cambiamento della figura dell’ispettore, il quale a volte si ritrova a ricoprire ruoli differenti, dovuti essenzialmente ad un cambiamento dell’organizzazione e, contestualmente, anche dell’organico.

Esistono innumerevoli libri, di diversa natura, ma da sempre mi piace occuparmi di tutto ciò che riguarda il settore forestale. Spesso allieto il mio tempo libero leggendo testi, articoli o stralci che parlano di boschi e foreste. Tra le svariate opere, a catturare la mia attenzione è stato uno straordinario lavoro il cui titolo è: “Studii di Archeologia Forestale” di Adolfo di Bérenger. Si tratta di un’opera degna di encomio e di somma ricchezza, pubblicata a Treviso nel remoto 1859-1863. Pur essendo di difficile reperibilità a causa delle poche copie stampate, sarebbe opportuno che tale lavoro (auspicabile sarebbe integrare la lettura con “Il Saggio Storico della Legislazione Veneta Forestale” del medesimo autore) fosse letto da ogni buon forestale e selvicoltore, in modo da valorizzarne l’operato professionale, facendo sì che non si creino sgradevoli ripercussioni nelle discendenze future.

Ad ogni modo, recentemente ho avuto modo di leggere il capitolo terzo dell’eminente lavoro del Di Bèrenger, ed è tra queste pagine che, appassionandomi alla lettura, ho scoperto un antico e umile mestiere.

È indubbio che il nostro Paese occupi una posizione estremamente varia ed irregolare in termini orografici, motivo per cui la selvicoltura di scuola tedesca non ha mai fatto da padrona né tanto meno si è badato alle principali funzioni esplicate dal bosco e a ciò che esso poteva offrire.

Il Di Bérenger, in merito agli “oneri sordidi“ ([3], pag. 125), che spettavano all’Impero Romano, parla di antiche istituzioni delle cariche forestali. Si trattava di gente preposta al controllo di ciò che allo Stato Romano proveniva dalle selve.

Anche Arriano, parlando dell’amministrazione pubblica degli antichi Indiani, scrive “avevano Ispettori pel censo, pelle costruzioni navali e pell’agricoltura”. Ed ancora nei libri sacri si legge che, alla riedificazione di Gerusalemme, il re Artaserse chiese a Neemia di ricoprire il ruolo di Ispettore delle sue selve. Persino il saggio Aristotele sostiene che “ogni repubblica ben ordinata dovrebbe istituire gli Hylori”, ovverosia gli Ispettori forestali. Platone a tal proposito sostiene che la vita dei medesimi sia una “vita pratica, faticosa e sommessa” ([3], pag. 126).

Tali figure, all’epoca, non erano ignote neppure nel nostro territorio poiché Pompilio divise il suo dominio in pagi, ovvero fundi pagani, ed in monti, fundi montani ([3], pag. 127): da ciò si deduce che era indispensabile la sorveglianza di tale patrimonio da parte di una figura specifica.

Insomma, la figura dell’Ispettore forestale trova respiro sin dai tempi più ancestrali.

Da allora è passato tanto tempo, durante il quale se è vero che le selve sono state in molti casi sottratte alla sfrenata attività antropica, i “guardiani” ormai rappresentano una statica e romantica fotografia. Vediamo perché.

I nostri boschi: palcoscenico di cambiamenti legislativi 

Il pensiero forestale recentemente si sta sempre più indirizzando in direzione della cosiddetta “selvicoltura vicino alla natura” o “close-to-nature” ([7]), approccio che non può prescindere da precisi vincoli gestionali. Si tratta di un metodo selvicolturale ad ampio respiro europeo, tanto che in Slovenia nel 1989 fu fondata un’associazione europea di forestali a sostegno della gestione forestale prossima alla natura, denominata Pro Silva e che “imita” le dinamiche naturali delle foreste. Contestualmente, particolare attenzione è stata rivolta alla multifunzionalità del bosco, i cui principi sono ampiamente noti ed attuali (funzione bioecologica, socio-culturale, ricreativa, paesaggistica, biodiversità). Questa inversione è chiaramente legata alle esigenze della società, le quali sono cambiate nel tempo. Infatti, l’opinione pubblica appare preoccupata per il depauperamento delle risorse forestali, pertanto nel contempo chiede maggiore tutela e salvaguardia. Questo spiega come negli anni la selvicoltura abbia dovuto adattarsi e costruire modelli selvicolturali tali da soddisfare i bisogni e gli interessi della società, abbandonando così l’obiettivo fine a se stesso e cioè quello di avere a disposizione nel tempo materiale legnoso. Inoltre, anche il diffuso benessere economico ha fatto si che la foresta si allontanasse sempre più dal settore primario esplicando così una funzione paesaggistica e bioecologica, che indirettamente ambedue esplicano una funzione di tipo economica, ma questa volta non più dovuta al prodotto legnoso, bensì al turismo. Ecco che oggigiorno le foreste danno l’idea di essere un grande giacimento di risorse turistiche e di biodiversità ([1]). In definitiva il bosco è un sistema complesso che assolve molteplici funzioni, che si modificano nel corso degli anni alla pari delle necessità collettive.

L’Italia è potenzialmente fonte di un’opulenta provvigione forestale, tuttavia in forte deficit ([6]), destinata probabilmente alla senescenza senza alcun buon utilizzo, se non quello paesaggistico, anch’esso probabilmente destinato ad incrinarsi se non si ricorre ad una gestione consona.

Un ordine nei nostri boschi, condizione che consentirebbe vantaggi anche sotto il profilo economico, richiede innanzitutto un riesame delle norme, la cui ostinata applicazione dirige verso scenari poco incoraggianti. La situazione è ancor più marcata nei boschi di proprietà pubblica, nei quali prevalgono questioni sociali, legate maggiormente al pascolo e agli usi civici ([2]). È inevitabile ricordare come, oltre alle cause legate alla natura del territorio, a tutto ciò abbia contribuito anche una disattesa gestione la quale, nel corso degli anni, si è ritrovata a fare i conti con i cambiamenti indotti dai tempi. A rimanere immutato nel tempo è soltanto il Corpo Forestale dello Stato che affonda le sue radici nel lontano Ottobre del 1822, quando Carlo Felice di Savoia costituì l’Amministrazione forestale per la custodia e la tutela dei boschi, anche se solo il 12 marzo del 1948 con il D. Lgs. n. 804 vennero promulgate le norme relative. Nel frattempo vennero emanate altre leggi atte a salvaguardare i boschi dai fenomeni idrogeologici e a regolarne la conduzione, sino ad arrivare ai giorni nostri.

Attualmente i compiti affidati al “Regio Corpo” sono molteplici e tutti sanciti dalla Legge di riordino n. 36 del 6 febbraio 2004 ([5]). In particolar modo l’articolo 1 definisce la natura giuridica e i compiti istituzionali, il cui comma 1 stabilisce che il Corpo Forestale dello Stato è Forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile specializzata nella difesa del patrimonio agroforestale italiano e nella tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ecosistema […], mentre l’articolo 3 riguarda l’organizzazione, ponendo il Corpo alle dirette dipendenze del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali ad eccezione delle questioni inerenti all’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, il pubblico soccorso e la protezione civile che dipendono dal Ministro dell’Interno. Inoltre, per quanto riguarda le funzioni e le competenze, alquanto diversificate, esse ricoprono un ampio raggio, che va dal mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica con particolare riferimento alle aree rurali e montane, alla prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell’ambiente ed ancora al controllo e alla certificazione del commercio internazionale e detenzione di esemplari di fauna e di flora in via di estinzione, tutte regolamentate dall’articolo 2.

Tuttavia il Corpo Forestale dello Stato, rimane un organo di supporto assieme al Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Quest’ultimo, istituito nel 1986 con la legge 349 dell’8 luglio, ha funzioni in materia di ambiente, ecosistema, tutela del patrimonio marino, atmosferico, nonché sulla valutazione di impatto ambientale (VIA) e valutazione ambientale strategica (VAS). Inoltre, si occupa della tutela del suolo dalla desertificazione e del patrimonio idrogeologico.

Non ultima, è da menzionare la dislocazione delle competenze gestionali in materia forestale, le quali fino agli anni Settanta erano centralizzate ed affidate allo Stato che operava mediante il Corpo Forestale. Con il D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, e D.P.R. 24 luglio 1977 n. 16 le competenze sono state trasferite alle Regioni, lasciando allo Stato ed in particolar modo al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali competenze residue, a carattere generale e/o programmatorio. Questo passaggio ha avuto una forte incidenza sulla realtà forestale, determinando così un’impattante disomogeneità tra le diverse Regioni, anche a causa del mancato o poco incisivo coordinamento da parte dello Stato. Pertanto ogni Regione ha attuato politiche differenti, soprattutto in termini di normativa; qualcuna ha delegato agli Enti territoriali (Comunità Montane, Regioni, Province o Comuni), mentre altre si sono dotate di strutture proprie. Lo scompenso dovuto alla frammentazione delle competenze è stato inoltre accompagnato dall’inadeguato trasferimento di finanziamenti, dovuto principalmente al fatto che il settore forestale cooperava con quello agricolo (solo con il Piano Forestale Nazionale, approvato dal CIPE il 2 dicembre 1987 il settore forestale ha acquisito piena autonomia, separandosi da quello agricolo).

Pertanto, se il decentramento ha posto come obiettivo principale quello di affidare agli Enti più vicini la gestione del territorio forestale semplificandone le funzioni amministrative, di contro ha portato ad una governance poco efficiente e disomogenea.

Conclusioni 

In definitiva, il nostro territorio è stato protagonista di numerosi cambiamenti e malgrado ciò desta meraviglia come il “grande e savio precetto di Platone”, così definito dal Di Bérenger, non trovi alcuna assonanza con quelle che erano già da allora le istituzioni presenti in Italia. In proposito Di Bérenger scrive: “generalmente basta che gli Ispettori forestali sappiano scrivere rapporti, compilare prospetti e redigere progetti; d’onde quella triste massima burocratica degli «atti in regola e boschi alla malora»”. Ragion per cui, appare inopportuno formare dottori inculcando il solo pensiero della selvicoltura che riproduca la fisiologica ontogenesi dei boschi, preservandoli da ogni forma di utilizzazione o in taluni casi concedere un illusorio asporto di quantità prudenziale di materia legnosa. Il connubio Selvicoltura e Assestamento non può pertanto essere eluso. Inoltre dipendere dai “dicasteri non tecnici” ([3], pag. 127) induce alla distorsione dell’arte forestale. Di conseguenza, credo sia intervento impellente quello di cessare di guardare i boschi da dietro una scrivania e “camminarli”, affinché la loro coltivazione diventi arte da ammirare, maestria da imitare e ricchezza da esportare.

References

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