The conditions of forests in Italy. Results from the extensive surveys of Level I (1997-2010).
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 11, Pages 8-12 (2014)
doi: https://doi.org/10.3832/efor1005-011
Published: Feb 07, 2014 - Copyright © 2014 SISEF
Progress Reports
Guest Editors: LIFE FUTMON Project
« Further Development and Implementation of an EU-level Forest Monitoring System »
Collection/Special Issue: Luca Salvati (CRA-RPS, Roma)
Abstract
The conditions of forests in Italy. Results from the extensive surveys of Level I (1997-2010). Monitoring of tree crown defoliation is carried out in Italy since the ’80, and in 1996 a comprehensive program of quality assurance has been implemented. Currently the monitoring network includes about 260 permanent plots and 7000 sample trees. The most representative tree species are: Fagus sylvatica (European beech), Quercus pubescens (downy oak), Quercus cerris (Turkey oak), Quercus ilex (holm oah), Castanea sativa (chestnut), Ostrya carpinifolia (hop hornbeam), Picea abies (spruce), Larix decidua (larch), Pinus nigra (black pine) e Pinus sylvestris (Scots pine). These species represent the 80% of the whole sample, but only European beech is evenly distributed in Italy. The most important trends at national level concern the critical sanitary conditions of Castanea sativa and Quercus pubescens, as well as the high defoliation levels of Pinus sylvestris. The importance of this program in the context of climate change studies is discussed.
Keywords
Il deperimento del bosco
L’inquinamento transfrontaliero e i suoi effetti sulle foreste è un tema che è entrato nel lessico dei forestali negli anni ’70. Le sostanze inquinanti emesse da alti camini delle industrie entrano direttamente nei meccanismi generali di trasporto negli strati alti dell’atmosfera e ricadono a molte centinaia, o migliaia, di chilometri di distanza, impattando su interi ecosistemi (foreste, laghi, ecc.). Viene così spiegato il fenomeno delle cosiddette “piogge acide” e del “deperimento del bosco” ([9]), che tanta importanza ha avuto nelle foreste di conifere dell’Europa centro-settentrionale. Sostanze acidificanti di origine industriale, come SO2, o di origine urbana come NOX, vengono trasportate a livello continentale nell’ambito della circolazione generale dell’atmosfera. Gli effetti che la deposizione di queste sostanze provocano al suolo includono processi di acidificazione, dilavamento delle sostanze nutritive in forma cationica, diminuzione della capacità di scambio cationico e, più in generale, alterazione degli equilibri microbiologici. Altri danni, riportati al livello del fogliame, consistono principalmente nella rimozione dello strato protettivo delle superfici fogliari, formato da cere epicuticolari. I danni maggiori sono stati riscontrati in foreste radicanti su suoli con spiccata sensibilità all’acidificazione. E’ da segnalare, nel periodo a cavallo fra gli anni 70 e gli anni 80, la forte moria del bosco nel cosiddetto black triangle, fra le ex-repubbliche socialiste di Cecoslovacchia, Polonia e Germania Est. Si trattava di un caso regionale di inquinamento acuto dovuto all’uso di combustibili ad alto tenore di zolfo, diffusi nell’economia di quei paesi. A partire dagli anni ’80 l’Unione Europea ha adottato politiche di contenimento delle emissioni solforose e, grazie anche ai cambiamenti politici e socio-economici avvenuti alla fine degli anni ’80 nell’area dell’Europa orientale, la situazione ambientale è nettamente migliorata. Oggi, l’anidride solforosa (SO2) è un inquinante in via di scomparsa, e la sua produzione è ristretta a poche aree industriali. Problemi di acidificazione sopravvivono in alcune aree forestali (soprattutto a Picea abies (L.) Karst. e Pinus sylvestris L.) dell’Europa centro-settentrionale. Se oggi in Europa la situazione dell’inquinamento transfrontaliero è molto migliorata e il problema dell’acidificazione è in via di soluzione, tale problema si è spostato nei paesi di nuova industrializzazione con economie emergenti.
Se gli inquinanti solforosi e acidificanti di origine industriale sono diminuiti in tutta Europa e rappresentano oggi un problema marginale, sono invece aumentati gli inquinanti fotochimici, costituiti da composti che si formano nella troposfera in seguito ad una catena di reazioni attivate dalla radiazione solare (inquinanti secondari) a partire da due classi di precursori, i composti organici volatili (COV) e gli ossidi di azoto (NOx). Queste sostanze sono prodotte principalmente dal traffico veicolare e dall’inquinamento urbano. Fra gli inquinanti fotochimici l’ozono (O3) è quello che si trova in maggiore quantità e ha il maggiore impatto potenziale sulla vegetazione. L’ozono ha una presenza molto diffusa nelle foreste europee ([4]), e la sua concentrazione è massima nelle aree mediterranee ed alle alte quote, dove supera spesso i livelli di rischio. Oltre a produrre danni fogliari visibili sulla vegetazione sensibile ([5]), la conseguenza più pericolosa dell’impatto dell’ozono e di altri inquinanti sulle foreste riguarda la possibile riduzione della crescita e della fissazione del carbonio tramite fotosintesi. Ciò implica come conseguenza pure una minore efficienza nella capacità di far fronte al cambiamento climatico.
Il controllo degli ecosistemi forestali
La preoccupazione per il futuro dei boschi in Europa ha spinto le organizzazioni internazionali a istituire un programma specifico per il controllo dell’inquinamento transfrontaliero e per il monitoraggio continuo degli effetti di questo sulle foreste (International Co-operative Programme on Assessment and Monitoring of Air Pollution Effects on Forests - ICP-Forests). L’attività che sta alla base del programma consiste nel controllo periodico (annuale) delle condizioni dei boschi, secondo un sistema di campionamento costituito da una rete transnazionale di 16 x 16 Km, ai cui vertici sono situate aree di saggio permanenti. Per fare un esempio, nel 2007 sono stati valutati complessivamente 104 000 alberi campione, su circa 4800 aree di saggio ([7]) distribuite in 35 paesi europei. Questa rete è detta di Livello I e fornisce informazione sulla distribuzione territoriale della defogliazione e sulle tendenze nel lungo periodo. L’indagine prende in considerazione per ciascun albero la defogliazione come parametro principale. La defogliazione è definita dalla perdita percentuale di foglie, o dalla loro mancanza, rispetto ad un albero di riferimento considerato completamente sano. La defogliazione viene valutata secondo un sistema di classi proporzionali ognuna delle quali ha un’ampiezza del 5% (da 0, chioma intatta, a 100, pianta morta). La tecnica inventariale è dettagliatamente esposta in una vasta manualistica (⇒ http://www.icp-forests.org/). Sono pure disponibili fotoguide per la valutazione della defogliazione sulle principali specie forestali ([8], [3]). I risultati vengono annualmente pubblicati in rapporti UN-ECE (i rapporti annuali sono disponibili su ⇒ http://www.icp-forests.net/). A scala europea le querce decidue (Quercus robur L. - farnia, e Quercus petraea (Matt.) Liebl. - rovere) sono le specie che mostrano la maggiore defogliazione media. Fra le specie mediterranee, Pinus pinaster Ait. (pino marittimo) mostra una tendenza all’incremento della defogliazione. Nel 2004 sono stati osservati picchi di defogliazione su molte specie, come conseguenza della grande aridità dell’estate 2003.
Nel tempo è stata sentita la necessità di un approccio più complessivo che consenta di descrivere meglio i rapporti della pianta sia con i fattori ambientali che con gli altri componenti dell’ecosistema. Per questo motivo sono state prese recentemente due iniziative: (i) affiancare al normale indice di defogliazione, la valutazione dei sintomi causati da agenti biotici (funghi e insetti) e abiotici (danni meccanici, oppure causati da fattori climatici o altro) per mezzo di una scheda fitopatologica appositamente predisposta a partire dal 2005; (ii) integrare i rilievi sulle aree di Livello I con informazioni sulla struttura forestale, la biodiversità e lo stato del suolo (Progetto “Biosoil”). Un ulteriore obbiettivo è quello di integrare la rete di Livello I con le reti nazionali degli inventari forestali, in modo da poter integrare le informazioni sullo stato dei boschi con quelle sulla produttività, la biomassa e lo stoccaggio del carbonio.
Per quanto riguarda la rete italiana, la serie storica maggiormente affidabile inizia a partire dal 1997. Infatti nel 1996 è stata operata una profonda revisione dei metodi di lavoro, dei criteri di valutazione, dell’addestramento del personale e della verifica della qualità dei dati (Quality Assurance - QA). La procedura QA applicata è basata sui seguenti punti ([1]): (i) aggiornamento costante del manuale di valutazione secondo i problemi che emergono di volta in volta; (ii) corso annuale di addestramento per il personale addetto ai rilievi, da tenersi prima dell’inizio dei rilievi; (iii) controllo in corso d’opera di una parte delle aree di saggio per verificare il livello di ripetibilità del dato.
Le aree su cui vengono svolti i rilievi ogni anno sono circa 260 (Fig. 1), e le piante campione circa 7000, di cui l’80% è rappresentato da latifoglie. Complessivamente sono state campionate 50 specie di latifoglie e 16 specie di conifere, tuttavia sono 10 le specie che compongono la maggior parte del campione: Fagus sylvatica L. (faggio), Quercus pubescens Willd. (roverella), Quercus cerris L. (cerro), Quercus ilex L. (leccio), Castanea sativa Mill. (castagno), Ostrya carpinifolia Scop. (carpino nero), Picea abies (L.) Karst. (abete rosso), Larix decidua L. (larice), Pinus nigra Arn. (pino nero) e Pinus sylvestris L. (pino silvestre) rappresentano infatti da sole oltre l’80% dell’intero campione. Solo il faggio ha una distribuzione uniforme, essendo presente sia nelle regioni alpine che sulla dorsale appenninica, fino alle montagne siciliane. Le altre specie hanno invece una limitazione geografica ed ecologica: l’abete rosso e il larice sono diffusi solo sulle Alpi; il castagno, il cerro e la roverella si trovano prevalentemente nelle regioni appenniniche e collinari dell’Italia centro-meridionale (anche se sono presenti, sia pure in misura minore, nell’Appennino settentrionale ed in alcune aree prealpine); il leccio si trova esclusivamente nella fascia mediterranea.
Fig. 1 - Distribuzione delle aree di osservazione permanenti nella rete italiana di Livello I. I diversi colori indicano la percentuale media di defogliazione dell’area. I dati sono riferiti all’indagine 2006.
È opportuno sottolineare che il campione è adeguato per dare informazioni a livello nazionale. La sua rappresentatività locale è scarsa, nonostante i dati vengano talvolta usati dalle singole regioni per implementare il processo di certificazione forestale (ad es., lo schema PEFC - [11]). La distribuzione dei livelli di defogliazione è illustrata nella Fig. 1. Apparentemente la defogliazione è più alta nelle aree di saggio poste in prossimità del litorale nord- occidentale (Liguria), e questo andamento sembra coerente con i livelli rilevati nelle contigue aree mediterranee della Francia meridionale ([6]). Un’altra area critica sembra essere situata nelle Prealpi lombarde.
Le tendenze del periodo considerato (1997-2010) sono illustrate nella Fig. 2 , che riporta la defogliazione media annua di alcune delle specie principali. Nelle latifoglie (Fig. 2A) si possono individuare due tendenze, ben suddivise negli anni, ed esemplificate dal comportamento del carpino nero: dopo un primo periodo di aumento della defogliazione (peggioramento delle condizioni delle chiome), culminato attorno al 2004-2005, fa seguito una progressiva diminuzione della defogliazione stessa (miglioramento delle condizioni delle chiome). Accanto a questa situazione generale, ci sono comportamenti specie-specifici come per esempio quello del castagno (aumento continuo della defogliazione nel tempo) e quello del leccio (riduzione della defogliazione). La roverella è una delle specie (assieme al castagno) che mantiene i livelli di defogliazione più elevati. Nel caso del castagno, il risultato è spiegabile con gli attacchi parassitari cui questa specie è soggetta; nel caso invece della roverella, che cresce spesso su terreni poveri e degradati, si tratta probabilmente di una manifestazione del cosidetto oak decline ([10]), in cui sono coinvolti fattori climatici (riduzione delle precipitazioni) e parassiti di debolezza. Per quanto riguarda le conifere (Fig. 2B), negli ultimi anni è stato osservato un deciso aumento della trasparenza, a carico soprattutto delle specie alpine (abete rosso, larice, pino silvestre). In particolare il pino silvestre mostra costantemente un livello di defogliazione particolarmente elevato. E’ noto che il pino silvestre, soprattutto nei siti più caldi della sua distribuzione alpina è soggetto a forme di deperimento probabilmente dovuto a motivi climatici ([2]).
Fig. 2 - Andamento della defogliazione media fra 1l 1997 ed il 2010, per le specie principali sulla rete di Livello I. (A) Latifoglie; (B) Conifere.
Comparazioni spaziali degli andamenti delle singole specie sono possibili solo per quanto riguarda il faggio, grazie alla sua uniforme distribuzione. I livelli più alti di defogliazione per questa specie sono stati trovati nelle faggete di quota (oltre i 1200 m s.l.m.) delle regioni alpine.
Dal 2006 vengono rilevati i sintomi attribuibili a fitopatie biotiche e abiotiche note (vedi Tab. 1). Ogni anno sono stati identificati mediamente circa 12 000 sintomi, per molti dei quali (circa la metà) non è stata individuata con certezza la causa. Fra le cause riconosciute, i danni provocati da insetti ammontano a circa il 60% (gli insetti defogliatori incidono per il 48% sul totale delle cause accertate) e, in seconda posizione (circa 20%), si hanno funghi che provocano cancri e morie dei rametti nel 12% del totale delle cause accertate).
Tab. 1 - Incidenza degli agenti di danno nel periodo 2006-2010. (N): numero totale delle singole segnalazioni (una pianta può avere più di una segnalazione); (%): percentuale rispetto al totale delle cause accertate.
Agenti di danno | 2006 | 2007 | 2008 | 2009 | 2010 | Media 2006/2010 |
---|---|---|---|---|---|---|
Totale segnalazioni (N) | 11760 | 11652 | 11084 | 11184 | 13798 | 11896 |
Cause accertate (N) | 5432 | 5183 | 5403 | 4959 | 5407 | 5277 |
Pascolo e selvaggina (%) | 0.42 | 0.68 | 0.81 | 2.08 | 1.79 | 1.16 |
Insetti (%) | 65.06 | 50.61 | 54.58 | 54.41 | 66.19 | 58.17 |
Funghi (%) | 17.91 | 18.44 | 22.52 | 20.65 | 15.13 | 18.93 |
Danni abiotici (%) | 8.63 | 18.21 | 12.62 | 14.01 | 8.99 | 12.49 |
Azione umana (%) | 1.05 | 0.81 | 0.68 | 0.73 | 0.83 | 0.82 |
Fuoco (%) | 1.58 | 2.39 | 2.17 | 1.61 | 0.20 | 1.59 |
Altri danni (%) | 5.34 | 8.86 | 6.61 | 6.51 | 6.86 | 6.84 |
Considerazioni conclusive
L’approccio al monitoraggio delle condizioni dei boschi si è evoluto nel tempo, assecondando i cambiamenti dei fattori ambientali influenti e la percezione del mondo scientifico e dell’opinione pubblica. Le deposizioni acide e l’inquinamento atmosferico non sono più viste come un fattore a se, da analizzare separatamente dalle altre componenti ambientali, ma sono considerate oggi nel quadro dei cambiamenti ecologici in atto. Il monitoraggio delle condizioni dei boschi, nato come studio delle risposte nei confronti delle piogge acide, è diventato anche un monitoraggio dello stato fitopatologico delle foreste, dell’impatto dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità. A seguito del peggioramento delle condizioni ambientali causato dai cambiamenti climatici, è possibile che un bosco possa ad venirsi a trovare al limite della propria capacità di resilienza. In tal caso, anche un moderato apporto di stress aggiuntivo può causare conseguenze molto gravi. Per questi motivi il monitoraggio continuo e integrato del territorio e delle foreste può consentire di individuare indizi precoci di rischio.
Ringraziamenti
Nella stesura di questo lavoro gli autori si sono avvalsi di dati prodotti nell’ambito del programma CONECOFOR (CONtrollo degli ECOsistemi FORestali) coordinato dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali - Corpo Forestale dello Stato.
References
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