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Analysis of the bark beetle outbreak in the forest “Alta Val Parma” (Corniglio, Parma, Italy) and strategies for its regeneration

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 12, Pages 16-24 (2015)
doi: https://doi.org/10.3832/efor1539-012
Published: Jun 20, 2015 - Copyright © 2015 SISEF

Research Articles

Abstract

Analysis of the bark beetle outbreak in the forest “Alta Val Parma” (Corniglio, Parma, Italy) and strategies for its regeneration. Norway spruce plantations located in the Foresta Demaniale Alta Val Parma (Corniglio, province of Parma - Italy) experienced since 2004 a massive outbreak of Norway spruce bark beetle (Ips typographus). This outbreak has been triggered by the exceptionally warm and dry summer of 2003. In the following years bark beetle attacks repeated and spread, raising concern about the future of this kind of stands. A survey program has been carried out to help local administration to chose the correct managements strategies. Monitoring of Ips typographus population, carried out between 2007 and 2013, confirmed the presence of two generations per year, with values above the risk threshold in 2007 and just below though very high in 2011. In the affected area, six survey plots have been realized to test different management options with the aim of favoring a fast regeneration of the forest cover. The tested options showed the great difficulty in the establishment of natural generation either for the lack of mother plants in such pure stands or for competition with tall grasses. Sowing brought no significative results, while direct plantation of indigenous broadleaves was more effective, with almost half of the individuals still alive after three years. Our results confirm the great difficulty to rebuild the forest cover after strong ecological disturbances in these artificial forests. Hybrid management strategies and ad hoc silvicultural choices seem to be the only way to manage such kind of situations in a National park, where the priority is biodiversity conservation.

Keywords

Bark Beetle, Norway Spruce, Disturbance, Natural Regeneration, Management Choices

Introduzione 

Il 2003 è stato un anno che ha segnato la storia ambientale del nostro paese, evidenziando a tutti gli effetti un andamento meteorologico con caratteri di assoluta eccezionalità. La Foresta Demaniale dell’Alta Val Parma (località Lagdei, Comune di Corniglio, Parma) è diventata uno degli esempi più eclatanti di come eventi di questo tipo possano influenzare l’evoluzione degli ecosistemi e modificare il paesaggio. L’andamento meteorologico anomalo ha portato a una situazione di stress idrico che ha favorito la comparsa dei primi focolai di Ips typographus L., un Coleottero Scolitide noto anche come bostrico dell’abete rosso. I soprassuoli di Picea presenti nella suddetta foresta, artificiali, coetanei e prevalentemente monospecifici, sono stati realizzati in condizioni ecologiche non corrispondenti all’optimum della specie, ben lontane da quelle di clima continentale in cui essa vegeta e si riproduce al meglio. La vulnerabilità di popolamenti di questo tipo si manifesta in particolare a seguito di eventi climatici estremi, come tempeste, gelo e siccità, dopo i quali si verificano spesso attacchi d’insetti o funghi patogeni ([1], [9], [6]). Tali perturbazioni sono in realtà componenti normali degli ecosistemi forestali naturali e ne indirizzano l’evoluzione in base alla loro resilienza ([7]), a sua volta spesso legata alla biodiversità ([8]). Nel contesto della pecceta artificiale di Lagdei, lo scolitide ha svolto il proprio ruolo ecologico attaccando le piante fragili e debilitate dalla siccità, provocando estese morie ed avviando l’evoluzione verso nuovi tipi di bosco, in termini di composizione e struttura.

La situazione è ulteriormente peggiorata nelle successive annate a seguito del ripetersi di situazioni siccitose estive, vanificando i primi sforzi per contenere i focolai tramite il taglio (Fig. 1). La morfologia accidentata del territorio, inoltre, ha reso difficili e assai costosi gli interventi, ostacolando le operazioni di pulizia e igiene forestale previste in questi casi. Non da ultimo, il taglio raso su ampie superfici ha posto immediatamente due tipi di problemi: l’impatto ambientale in una zona protetta e dedicata alla tutela della natura (un SIC-ZPS compreso nel Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano) ed il forte rischio idrogeologico, fattore quest’ultimo alla base dell’impianto degli stessi soprassuoli ora minacciati.

Fig. 1 - Focolai d’infestazione di I. typographus sparsi nella foresta di Lagdei.

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Per questi motivi, l’amministrazione del Parco si è attivata per:

  • garantire il perseguimento degli scopi di tutela della biodiversità propri del Parco stesso;
  • ottemperare alla messa in sicurezza delle zone fruibili dagli utenti;
  • mantenere un’adeguata copertura del suolo per evitare il dissesto idrogeologico.

Nel contempo, in collaborazione con il Gruppo Foreste e Verde Urbano della Fondazione E. Mach di San Michele all’Adige (FEM-CTT), è stato avviato fin dal 2007 un progetto di studio sull’evoluzione delle infestazioni di bostrico in relazione all’andamento climatico. Allo scopo sono stati analizzati i dati meteorologici relativi alle stazioni di Lagdei e Bosco di Corniglio, per avere conferma dei fattori che hanno innescato e/o accompagnato l’infestazione. Parallelamente è iniziata anche la valutazione degli effetti della mortalità sulla trasformazione del soprassuolo attraverso indagini in aree di saggio selezionate: queste dal 2009 sono diventate oggetto di una sperimentazione selvicolturale, con l’obiettivo di individuare le migliori strategie per una rapida rinnovazione della foresta.

Materiali e etodi 

Area di studio

La Foresta Demaniale Alta Val Parma si trova nel Comune di Corniglio (provincia di Parma), nella parte più alta del bacino idrografico del Torrente Parma (tra i 1100 e i 1700 m s.l.m.), e interessa un’area di estensione pari a 1812 ha circa. La specie forestale dominante è il faggio, con la presenza di sparuti nuclei di abete bianco autoctono. Sono presenti anche estese formazioni di conifere di origine artificiale, introdotte a partire dal 1914 dal Demanio forestale Alta Val Parma, e successivamente amministrato dall’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali.

Le specie utilizzate per la piantumazione furono prevalentemente abete bianco, abete rosso e pino nero. Nel corso degli anni ’ 30 furono realizzate insieme all’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Firenze anche particelle sperimentali di conifere esotiche (douglasia e abete di Sitka).

Il bosco di conifere così ottenuto ebbe poi la possibilità di crescere più o meno indisturbato, con interventi selvicolturali basati su diradamenti di bassa intensità ed eliminazione delle piante morte.

Varie vicende amministrative assegnarono la proprietà prima al Demanio Regionale, poi al Parco Regionale delle Valli del Cedra e del Parma. Dal 2005 il territorio è entrato a far parte del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano. Inoltre, l’area di Lagdei fa parte del SIC-ZPS IT4020020 - Crinale dell’Appennino Parmense.

Rilievo della mora

Dopo la comparsa dei primi focolai già alla fine dell’estate del 2003, la situazione è stata monitorata mediante rilievo e mappatura delle zone interessate dalla morìa. Nell’ambito dei rilievi svolti negli anni è stata osservata l’evoluzione generale delle aree colpite, rilevando anche l’eventuale presenza di altri agenti patogeni.

Monitoraggio delle popolazioni di Ips typographus

Il monitoraggio del volo dell’insetto è stato eseguito a partire dal 2007 al 2012 mediante l’esposizione ed il controllo regolare di trappole tipo Theysohn innescate con il feromone specifico per I. typographus (Superwood © Serbios Italia). Ogni anno sono state installate 4 trappole in aree della foresta soggette ad attacchi del bostrico (buche di taglio), posizionandole in modo da coprire al meglio l’intera area di studio. Le stesse sono state controllate con cadenza settimanale, indicativamente dalla fine di aprile a quella di settembre. Il feromone è stato sostituito circa ogni 6 settimane. Le trappole sono state montate su tutori artificiali a circa 2 m da terra. L’entità delle catture per trappola e settimana è stata misurata attraverso conteggio diretto degli individui nel caso di numeri limitati (fino a 100 circa), mediante un becker graduato in caso di catture superiori, dove il volume d’insetti dava una buona approssimazione del numero degli stessi (da prove effettuate in laboratorio a ogni ml corrispondeva un numero di 23 individui).

Analisi della rinnovazione

All’interno dell’area indagata sono state selezionate 6 aree campione circolari con raggio di 30 m, nelle quali dal 2009 sono state sperimentate diverse opzioni gestionali e ne è stato valutato l’effetto sulla ricostituzione della copertura forestale. Le aree sono state poi suddivise in 8 settori di 45 gradi cadauno (N-NE, E-NE, E-SE, S-SE, S-SO, O-SO, O-NO, N-NO) per semplificare le operazioni di rilievo. Le opzioni testate sono state le seguenti:

  • evoluzione naturale con rilascio degli alberi morti in piedi;
  • evoluzione naturale dopo taglio e asportazione degli alberi morti;
  • semina a spaglio sotto copertura delle piante morte in piedi;
  • piantumazione di latifoglie autoctone sotto copertura delle piante morte in piedi;
  • piantumazione di latifoglie autoctone dopo taglio ma senza asportazione delle piante morte;
  • evoluzione naturale in area di controllo, porzione costituita da pecceta non colpita dal bostrico.

La semina è avvenuta nel mese di aprile del 2010 e 2011. Nella prima stagione si sono utilizzati: 20 litri di semi di faggio, 25 litri di acero montano, tra 5 e 10 litri di frassino maggiore, seminati a spaglio con leggera lavorazione della lettiera. Nella seconda stagione sono state utilizzati boli di argilla e stallatico mescolati ai semi leggermente interrati. In questo intervento si è usato l’equivalente di 5 litri di seme di acero, 2 litri di faggio, 1 litro di sorbo degli uccellatori e piccole quantità di olmo (0.5 kg) e maggiociondolo (0.3 kg).

Per la piantagione sono stati utilizzati acero di monte, sorbo montano, faggio, ciliegio, agrifoglio, sorbo degli uccellatori, olmo montano, frassino maggiore e tiglio. Il materiale, di origine autoctona, era tutto dell’età di 2 anni e in contenitore. Il sesto d’impianto utilizzato è stato 1.5 × 1.5m evitando l’andamento geometrico. Le piantine sono state riparate singolarmente con una rete di protezione.

Il rilievo della rinnovazione è stato eseguito nei mesi autunnali su due settori di ogni area scelti in maniera randomizzata la prima stagione e mantenuti costanti nelle successive. In tal modo l’area percorsa dai rilevatori era pari a 707 m2 per ogni tesi.

Monitoraggio climatico

Per l’analisi dell’andamento meteorologico durante il periodo della sperimentazione sono stati utilizzati i dati delle stazioni di Lagdei, che si trova all’interno della foresta attaccata dal bostrico a quota 1250 m s.l.m., e di Bosco di Corniglio, situata invece circa 5 km a nord ed a quota inferiore (902 m s.l.m.). I parametri analizzati sono stati precipitazioni e temperatura per Lagdei (dal 2000 al 2012 poiché la stazione è stata attivata nel 2000) e solo le precipitazioni (dal 1952 al 2012) per Bosco di Corniglio, come riferimento per le medie climatiche. I dati sono stati cortesemente forniti dal servizio Idro-Meteo-Clima dell’ARPA Emilia-Romagna.

Risultati e discussione 

Rilievo della mora

I focolai di bostrico, come si osserva in Fig. 2, hanno continuato ad ampliarsi nel corso degli anni arrivando a interessare un totale di 24.8 ha di pecceta alla fine del 2011.

Fig. 2 - Aree colpite dal bostrico tipografo all’interno del Parco nel periodo 2003-2005 (Ante) e, singolarmente, negli anni 2006, 2007, 2008 e 2011.

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Gli attacchi si sono manifestati a macchie sull’intera superficie di abete rosso, mostrando sempre la stessa successione di sintomi: prima l’arrossamento della chioma in senso basipeto, seguito dalla caduta progressiva degli aghi, talvolta ancora verdi, quindi la comparsa dei fori di sfarfallamento degli adulti di Ips sul tronco, e infine il distacco e la caduta della corteccia a partire dall’apice (Fig. 3). Nei due-tre anni successivi, in molte zone i tronchi erano colonizzati e progressivamente degradati da numerosi altri insetti lignicoli, principalmente Coleotteri Cerambicidi (tra cui Rhagium mordax e R. bifasciatum), Scolitidi (Xyloterus lineatus) e Imenotteri Siricidi (Xeris spectrum, Urocerus gigas - Fig. 4), e da agenti fungini quali Armillaria ostoyae, Crepidotus luteus e soprattutto Phomitopsis pinicola (Fig. 5), un comune agente di carie delle conifere ([10]). L’azione di questi degradatori del legno ha portato nelle aree attaccate per prime a schianti e rotture dei tronchi, peggiorando l’aspetto di devastazione assunto dal bosco colpito, reso spesso intransitabile dalla massa di legno morto presente al suolo.

Fig. 3 - Distacco della corteccia da tronco interamente colonizzato da I. typographus.

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Fig. 4 - Ovideposizione di Urocerus gigas su abete rosso attaccato da bostrico.

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Fig. 5 - Corpo fruttifero di Phomitopsis pinicola su tronco schiantato.

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Monitoraggio delle popolazioni di Ips typographus

Il monitoraggio effettuato dal 2007 al 2012 ha permesso di constatare la presenza di popolazioni bivoltine (ossia con 2 generazioni/anno), talvolta con un accenno di sfarfallamento in tarda estate, probabilmente dovuto al volo per la ricerca di un luogo adatto allo svernamento e non a una vera terza generazione. L’andamento delle curve di volo (Fig. 6) è stato fortemente influenzato da quello delle temperature, comprovando la nota soglia di volo dei 18 °C ([4]). Nel 2007 le catture (media di oltre 20 000 individui/trappola) sono state molto superiori a quella che viene considerata essere la soglia di rischio (8 000 individui/trappola) per l’ambiente alpino ([4]), confermando la fase di forte espansione dell’infestazione (Tab. 1).

Fig. 6 - Catture medie/trappola di Ips typographus in relazione all’andamento termico durante le stagioni vegetative dal 2007 al 2012 (Lagdei - dati di temperatura forniti da ARPA Emilia-Romagna). Grafici con scale non analoghe.

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Tab. 1 - Catture medie/trappola (e relativo errore standard) di Ips typographus negli anni 2007-2012. In ultima riga il rapporto quantitativo tra seconda e prima generazione, utilizzato a scopo previsionale.

Catture 2007 2008 2009 2010 2011 2012
Media 20381.5 403.8 503.8 203.3 7020.0 2145.0
Errore standard 6753.3 69.1 176.6 49.8 2597.8 1083.1
n 4 4 4 4 4 4
2°gen./1°gen. 0.67 0.39 0.66 4.81 1.84 0.62

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Negli anni successivi si sono riscontrati valori minori (poche centinaia di catture per trappola) con un’improvvisa ripresa nel 2011 (anno con estate calda e siccitosa), quando la media è stata di nuovo prossima alla soglia di rischio (circa 7 000 individui/trappola). Nel 2012, tuttavia, la densità di popolazione di Ips typographus si è nuovamente riportata a livelli di bassa pericolosità.

Il rapporto tra catture estive (individui di 1a generazione) e catture primaverili (individui che emergono dopo lo svernamento) è ritenuto un indice utile per la previsione dell’aumento delle popolazioni nell’anno successivo, con una soglia stabilita come significativa pari a 0.62 ([5]). Nel corso degli anni di monitoraggio tale soglia è stata superata di pochissimo nel 2007 e 2009, in misura maggiore nel 2011 e nettamente invece nel 2010. Da rilevare che l’unico aumento significativo dell’entità delle popolazioni di Ips si è avuto proprio nel 2011. L’andamento meteorologico delle stagioni che seguono il periodo di volo (dall’autunno alla primavera) è, con tutta probabilità, il fattore discriminante per l’evoluzione degli attacchi nell’anno successivo.

Analisi della rinnovazione

Dai sopralluoghi effettuati nelle zone attaccate, si è evidenziato come nel piano dominato fossero quasi completamente assenti specie diverse dall’abete rosso, con solo poche e sporadiche piante sottoposte di faggio e di abete bianco. Ciò ha inciso sensibilmente sulla rinnovazione osservata anche nelle aree di saggio, che si è rivelata assai effimera e costituita inizialmente soprattutto da semenzali di un anno di abete rosso e più raramente di faggio e abete bianco, per lo più incapaci di sopravvivere e arrivare alla seconda estate. Come riportato in Tab. 2, i dati raccolti mostrano ampia variabilità fra le tesi e fra le annate. L’elevato numero di plantule rilevato del 2010 si è notevolmente ridotto nel 2011, dove temperature primaverili più alte hanno ridotto la sopravvivenza dei semenzali di un anno. Sono risultate pochissime le piantine di due anni ed ancor meno quelle di tre anni o più, quasi tutte di faggio e abete bianco con sporadici esemplari di sorbo e di altre latifoglie. L’unica eccezione si è avuta nell’area della tesi 2 (evoluzione naturale dopo taglio e asportazione degli alberi morti), dove erano già affermate piante di douglasia, abete bianco, pioppo tremulo e salicone. In questo caso l’insediamento della rinnovazione è stato favorito dalla presenza ai margini della radura di piante adulte portaseme. Questo risultato non facilita la rinaturalizzazione, ma indirizza l’evoluzione verso un bosco anomalo e artificiale per l’abbondante presenza della douglasia.

Tab. 2 - Andamento della rinnovazione naturale rilevata nelle diverse tesi secondo le differenti scelte gestionali sperimentate.

Annorilievo Tesi 1 Evoluzione naturale sotto piante morte in piedi Tesi 2 Evoluzione naturale dopo taglio e asporto Tesi 3 Semina sotto piante morte in piedi Tesi 4 Piantumazione sotto piante morte in piedi Tesi 5 Piantumazione dopo taglio e rilascio Tesi 6 Testimone Totale
2010 128 842 747 299 233 1097 3346
2011 39 399 119 30 56 31 674
2012 6 689 65 39 47 55 901

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Nell’altra tesi a evoluzione naturale (tesi 1), i risultati sono stati molto differenti, a causa dell’invasione di megaforbie dopo la morte degli abeti, che ha fortemente limitato le possibilità di affermazione della scarsissima rinnovazione presente.

La semina sotto copertura (tesi 3) ha avuto esiti decisamente negativi, con percentuali di germinazione del seme e di sopravvivenza dei semenzali praticamente nulle, oltre all’assenza anche in questo caso di rinnovazione naturale. Più positivi sono stati i risultati delle piantagioni, sia sotto copertura (tesi 4), sia dove erano state tagliate le piante morte (tesi 5): le percentuali di mortalità sono state intorno al 10-15 % ogni anno con una sopravvivenza abbastanza alta alla fine dei tre anni di sperimentazione (circa il 50%). Anche in queste tesi si è constatata la ridotta presenza di rinnovazione naturale. Nell’area di controllo (tesi 6) a fronte di un elevato numero di plantule, nella quasi totalità abete rosso di un anno, si è registrata nel terzo anno una presenza di rinnovazione estremamente ridotta e simile alle altre aree.

In sostanza, la sperimentazione ha confermato quanto osservato direttamente nel resto del soprassuolo colpito: la rinnovazione naturale è avvenuta solo in prossimità di piante portaseme come nelle fasce di margine del bosco colpito mentre ben poco riesce ad affermarsi nella maggior parte della pecceta pura colpita.

Monitoraggio climatico

Dall’analisi più approfondita dei dati meteorologici e climatici è possibile delineare una caratterizzazione termopluviometrica dell’area. Per quanto riguarda le precipitazioni, l’autunno è la stagione più piovosa, seguita dalla primavera, dall’inverno e infine dall’estate. Il massimo delle precipitazioni occorre nel mese di novembre e il minimo nel mese di luglio. Le quantità di precipitazioni totali annue a Lagdei è stata in media di 2496.2 mm/anno nel periodo 2001-2012, mentre alla stazione di Bosco di Corniglio la media nel periodo 1952-2001 è stata di 1951.0 mm/ anno, e la media del periodo 2001-2012 è stata pari a 1871.4 mm/anno. Il regime delle temperature ricade all’interno del tipo temperato subcontinentale, tipico del versante padano dell’Appennino settentrionale, con caratteristiche del tipo temperato freddo dell’alta montagna.

Per quanto concerne l’andamento delle precipitazioni, dal confronto con la serie storica (1952-2001) dei dati relativi alla stazione di Bosco di Corniglio, risultano molto evidenti sia l’eccezionalità del 2003, sia la particolarità dell’intero decennio 2003-2012. Durante il periodo vegetativo (aprile-agosto) le precipitazioni sono sempre state inferiori alla media del cinquantennio precedente, eccetto che nel 2002, 2010 e 2012 (Fig. 7).

Fig. 7 - Precipitazioni totali nel periodo vegetativo (aprile-agosto) rilevate dalla stazione meteorologica di Bosco di Corniglio per il periodo 1952-2012. I dati relativi agli anni 1999/2000 non sono disponibili.

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Analogamente i dati registrati nella stazione di Lagdei mettono in evidenza nel 2003 un periodo estremamente scarso di precipitazioni e con temperature molto al di sopra della norma, che si è protratto da maggio all’inizio di settembre. (Fig. 8b).

Fig. 8 - Climogrammi di Gaussen ottenuti dai dati della stazione meteorologica di Lagdei: (a) situazione media del periodo 2002-2012 e (b) all’anno 2003.

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Da tutto ciò si evince come l’area sia stata da sempre caratterizzata da un clima piovoso, anche nel periodo estivo, con eventi di deficit pluviometrico rari o rarissimi fino al 2003. Ciò avvicinerebbe il modello di regime pluviometrico al tipo subcontinentale, spiegando almeno in parte il buono stato di salute che ha caratterizzato fino all’ultimo decennio la pecceta in questione, vegetante al limite del suo areale naturale ([2], [3], [11]).

Conclusioni 

La perturbazione causata dall’evento eccezionale del 2003 ha indicato la necessità di individuare degli indirizzi selvicolturali adatti a gestire l’evoluzione di questo tipo di soprassuoli forestali artificiali, nati da una precisa esigenza oltre un secolo fa, ma bisognosi di un adeguamento alle mutate condizioni ambientali. In particolare, il caso di Lagdei ci mostra come, dove la selvicoltura di questi soprassuoli non abbia già indirizzato gli stessi verso condizioni di maggior naturalità, il rischio sia quello di avere ampie superfici prive di nuova vegetazione forestale per lunghi periodi. Occorre quindi chiedersi se convenga assecondare l’evoluzione naturale di tali soprassuoli, ritornare ad impianti totalmente artificiali o seguire un approccio intermedio. Ognuna di queste scelte pone vantaggi e svantaggi che vanno valutati con attenzione:

  • il primo approccio ha tempi di evoluzione assai lunghi vista l’assenza di una adeguata complessità e biodiversità nei soprassuoli interessati;
  • il secondo approccio si scontra con costi non più proponibili allo stato attuale, nonché con la mancanza di materiale vegetale adeguato per una piantumazione che non sia solo produttiva;
  • il terzo approccio dà forse più garanzie per l’evoluzione rapida della copertura forestale, ma assomma, sia pure su scala ridotta, le medesime problematiche degli altri due.

In un contesto di un’area protetta teso ad una gestione più naturale possibile esiste l’esigenza di rispettare i tempi della natura, ma nell’alta Val Parma la necessità di protezione idrogeologica e la valenza paesaggistica e turistica del bosco hanno un notevole valore che non può essere trascurato.

Pertanto, si è ritenuto opportuno procedere con un approccio ibrido, reso necessario anche dalla ridotta disponibilità finanziaria. Dopo gli interventi di taglio immediati per la messa in sicurezza delle aree fruite, intervento che la rapida degradazione riscontrata in più zone con i successivi schianti ha pienamente giustificato, si è proceduto alla zonizzazione dell’area colpita dividendola in zone ad evoluzione naturale, nuclei di rinnovazione, piantumazione nelle tagliate.

Ciò ha permesso di programmare una selvicoltura puntuale, che è stata inserita nel piano di assestamento dell’intera superficie della foresta. Le zone meno accessibili saranno lasciate all’evoluzione naturale, mentre si interverrà con appositi tagli per liberare i nuclei di rinnovazione e le piante di altre specie, nonché per favorire l’inserimento di faggio e abete dai margini della pecceta. Le piantagioni saranno limitate a pochi interventi nelle aree già ripulite perché fruite, velocizzando la costituzione di quinte verdi lungo le strade e nei siti di sosta.

Gli ingenti danni da Ips typographus occorsi nell’ultimo decennio nella Foresta dell’Alta Val Parma, che in breve periodo ne hanno stravolto il patrimonio naturalistico e paesaggistico, sono un esempio degli effetti che perturbazioni innescate da anomalie climatiche possono provocare a popolamenti artificiali, realizzati con specie al di fuori del loro optimum vegetativo. In casi come quello descritto è opportuno affrontare l’emergenza fitosanitaria con una gestione proattiva volta a favorire le dinamiche evolutive naturali, spesso bloccate in simili formazioni artificiali. Tale “blocco” è spesso all’origine della vulnerabilità del nostro patrimonio forestale nei confronti dei cambiamenti dell’ambiente esterno, soprattutto se conseguenti a eventi eccezionali. La riattivazione dei processi evolutivi dell’ecosistema è fondamentale per ripristinare condizioni di maggiore naturalità dei soprassuoli, che favoriscono l’aumento di resistenza e resilienza nei confronti di eventi climatici estremi, sempre più probabili nel contesto attuale di cambiamento climatico. Lo sviluppo di una selvicoltura naturalistica puntuale e adeguata agli obiettivi di tutela e incremento della biodiversità può inoltre fornire una concreta opportunità a una nuova “cultura” del bosco, creando o recuperando competenze locali altrimenti perdute.

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