The plant name “zappino”: etymology and dissemination.
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 15, Pages 3-17 (2018)
doi: https://doi.org/10.3832/efor2408-015
Published: Jan 23, 2018 - Copyright © 2018 SISEF
Technical Reports
Abstract
The plant name “zappino” most certainly comes from Latin, from Sap(p)inus = zappino, which is cited by many classic Latin authors such as Pliny, Virgil, Vitruvius, etc. The first vernacular attestations date back to the year 978. Just like the Romans gave sap(p)inus various meanings (pine tree, pine or spruce trunk, pine cone), today the name zappino is given to many different species: Aleppo pine tree, black pine, larch pine, cluster pine, local pine, spruce, larch. The word zappino has also been included in local toponomastics in areas with abundant resinous species; the toponym has been preserved until modern times, also in districts where the species no longer exist and local people have long since lost the memory of them. The attribution of zappino to the Fontegreca (Caserta, southern Italy) cypress tree does not appear to be sufficiently documented and semantically correct. It is likely that the word origin (with various contaminations) is an animal name, deriving from a Balcanic dialect (=billy goat, kid, goat, plots of land or mountains, streams or road networks), associated with the presence of little goats that have nothing to do with the cypress tree; a similar etymology could be applied to toponyms of sites where pine trees or spruce trees have never existed.
Keywords
Premesse
In Comune di Fontegreca, in passato chiamata Fossaceca, ossia Valle nascosta, in provincia di Caserta, si trova un bosco di cipressi che dagli abitanti della zona vengono denominati Zappini. Ho approfondito l’esame della diffusione di questo lemma, della sua probabile origine e del suo impiego.
La cipresseta di Fontegreca (Fig. 1) è una formazione subspontanea di Cupressus sempervirens var. horizontalis (Miller) Aiton, di origine non accertata e di struttura non definita, della superficie di circa 40 ettari, di proprietà in prevalenza privata; la quota più estesa (ha 18.28) appartiene alla famiglia Isabella di Alife (CE). Essa è soggetta in parte all’esercizio del diritto di uso civico da parte dei cittadini di Fontegreca ed è compresa nel Parco Regionale del Matese. La cipresseta presenta caratteri strutturali eterogenei: dallo stato di modesto sviluppo nei tratti rocciosi (Fig. 2) dove si rinnova facilmente, in prevalenza misto alla carpinella, a quello di fustaia adulta, pura o mista alla roverella, all’orniello, al carpino nero, ecc. nei tratti più freschi e più fertili nella valle del Fiume Sava (Fig. 3). Una pesante utilizzazione è stata eseguita negli anni 1941-1942, probabilmente con un taglio a scelta degli alberi con diametro superiore a 25-30 cm; il materiale venne destinato per imballaggi, per legna da ardere e per travature, ancora oggi esistenti in alcuni fabbricati di Fontegreca; non risultano eseguite altre utilizzazioni. Negli anni âÂÂ50 del secolo scorso era ancora diffusa la pratica di effettuare delle energiche spalcature alle piante di cipresso fino a ridurre la chioma ad un piccolo pennacchio ([57]) con la conseguenza di favorire l’emissione di rami epicormici (Fig. 4). I locali impiegavano la ramaglia per riscaldamento, per innesco d’accensione del fuoco e i rami più grossi come sostegno delle colture orticole. In tempi recenti la cipresseta è stata utilizzata come spazio per manifestazioni folcloristiche.
Fig. 1 - Fontegreca (CE). Località Monte dei Cipressi con l’impluvio del Fiume Sava. Panoramica del bosco di cipresso comune, varietà orizzontale, subspontaneo, impropriamente chiamato dai locali Zappino, sovrastante l’abitato di Fontegreca. Con un quadratino rosso è segnato l’oliveto riportato in catasto con lo zoonimo Zappini; con linea rossa è segnata la vicinale (sentiero) denominata Zappini, con tratteggio rosso la strada comunale, oggi provinciale, per Gallo Matese, con linea blu invece la vicinale (rotabile) Campo collegata alla vicinale Zappini (foto: Fiorucci).
Fig. 2 - Fontegreca. Particolare della cipresseta. Stato di modesto sviluppo su terreno arido, superficiale, roccioso. In primo piano rinnovazione spontanea (Foto: Fiorucci).
Fig. 3 - Fontegreca. Particolare della cipresseta nel tratto vallivo. Fustaia allo stato puro, di buon portamento e sviluppo (Foto: Fiorucci).
Fig. 4 - Fontegreca. Cipresseta. Irrazionali spalcature eseguite dai cittadini fatte sospendere negli anni ’50 del secolo scorso. In secondo piano il sentiero Zappini. A destra muro di sostegno sulla strada comunale oggi provinciale Fontegreca-Gallo Matese (Foto: Fiorucci).
Gambi ([35]) definisce subspontanee tutte le cipressete esistenti in Italia. Recentemente il Gruppo di lavoro Interreg Medocc - Progetti CypMed e MedCypre ([25]) ha definito come naturalizzate tali cipressete. L’Istituto per la Protezione delle Piante (CNR) di Firenze ha eseguito, a mezzo di marcatori molecolari nucleari, ricerche per quantificare la diversità genetica fra le popolazioni naturali di cipresso e per identificare la più probabile origine di quelle italiane. Fineschi & Vendramin ([34]), hanno messo a confronto 22 popolazioni degli areali primario e secondario di Cupressus sempervirens, delle quali 11 campionate nell’areale primario (4 a Creta e 7 in Turchia) e 11 campionate nell’areale secondario italiano (7 nel Trentino, 3 in Toscana e 1 in Campania e precisamente a Fontegreca). Da questa ricerca emerge che le popolazioni naturali cretesi e turche possiedono alti livelli di diversità genetica mentre le popolazioni italiane, a causa della loro probabile origine artificiale, sono caratterizzate da un livello di diversità genetica significativamente più basso. I tre gruppi di popolazioni cretesi, turche e italiane risultano significativamente differenziati fra loro ed anche tra le popolazioni italiane quella di Fontegreca, pur appartenendo allo stesso gruppo italiano, è piuttosto differenziata dalle altre. Le cipressete italiane si accostano maggiormente ad una popolazione greca (Skaphia, nell’Isola di Creta) e ad una turca (Altinkaya, litorale turco sud-occidentale), fatto che potrebbe far supporre che l’introduzione del cipresso in Italia sia avvenuto con materiale proveniente da queste due popolazioni. Tuttavia Raddi et al. ([57]) hanno proposto di approfondire le ricerche sull’origine del popolamento di Fontegreca, che, pur appartenendo al gruppo italiano, si differenzia da questo e da quelli naturali esistenti in Turchia ed a Creta; questi Autori infatti ipotizzano che la cipresseta di Fontegreca sia un’area residuale di una vasta popolazione naturale che occupava un areale esteso dalla Turchia all’Italia. L’ipotesi della presenza di relitti di cipressete sui primi contrafforti del massiccio del Matese non ha trovato risposta nelle ricerche d’archivio, né si conoscono riferimenti bibliografici a sostegno di questa ipotesi.
Etimologia del vocabolo zappino
L’etimologia del vocabolo “zappino”, impiegato localmente in relazione al bosco di Fontegreca, è complessa e qui si tenta di analizzare le informazioni disponibili. Di Fusco ([31]) ipotizza che il cipresso di Fontegreca sia chiamato zappino, derivando dal francese sapin = abete, termine che sarebbe stato volgarizzato dai locali in zappino, forse per la morfologia degli alberi simile a quella degli abeti; il termine sarebbe stato introdotto durante l’occupazione napoleonica del Regno di Napoli. Gualdi & Tartarino ([41]) e così Mignone ([49]) avanzano la stessa ipotesi che però non sembra accettabile dato che il vocabolo zappino è attestato da Trutta già dal 1776 ([69]). Iandolo ([44]) comprende zappino o zappin (= tintura per reti) fra le parole dialettali napoletane tramite il francese sapin, da collegare all’accusativo latino sapinu(m) oppure direttamente da tale lemma. Sembra più ragionevole supporre che zappino derivi dal latino sap(p)inus, trasformato, nel corso dei secoli, in zappino ([19]). Secondo Hofmann ([43]), per Plinio il Vecchio (morto nel 77 d.C.) il termine sa(p)pinus (anche sapius o sapium) ha più significati: pigna di pino domestico, strobilo di abete, pino in genere, parte inferiore del tronco di pino e di abete (vedi anche [30]). Vitruvio, con maggiori dettagli, indica con [pars] sap(p)inea la porzione del fusto di abete bianco e di abete rosso tagliata a 20 piedi (= m 5.90) da terra, liscia e diritta, impiegato come legname d’opera, e con [pars] fusterna la parte superiore provvista di nodi ([30], [55]). Secondo Di Berenger, Servio Mauro Onorato (IV secolo d.C.) affermava: “una specie di abete, adatta alle navi, che comunemente chiamano sappino”; sempre Di Berenger cita Salmasio (Claude de Saumaise, XVII Secolo), che nel commento alle opere di Plinio affermava che “sapino è una specie di pino”.
Il lessico Magnae Derivationes di Uguccione da Pisa, pubblicato nell’anno 1200 ([18]), sotto la voce “Sapio” riporta: “Sapinus una specie di abete, purché somigli al pino nel legno, nelle foglie e nel frutto; onde sapinetum è il bosco sacro ove crescono gli abeti”. Nel Milione di Marco Polo sono segnalate delle navi costruite con legno chiamato “abeta” e “zapino” ([11]). Nel Declarus di Senisio del 1348 ([48]) si legge: “Sapinus una specie di albero che è chiamato zappinu, che è simile al pino nel frutto e nella foglia”. Secondo quanto appare in “I Fatti di Cesare”, scritto anonimo inedito del secolo XIV stampato a cura di Banchi ([6]), i soldati romani avrebbero abbattuto querce, zappini e cipressi nel bosco sacro dei Messaliotes per provvedere alla costruzione di macchine belliche per l’assedio di Marsiglia nel 49 a.C.
Ginanni ([38]) ricorda che i raccoglitori di pigne di Ravenna (pinajoli) chiamano pino sapino o gerone, il pino che si distingue dal domestico per i frutti subventanei (di oscuro significato), molto piccoli e senza pinoli e per il fusto con migliori caratteristiche tecnologiche molto ricercato per costruzioni.
Più attendibile appare la proposta che fa derivare sapinus da sapa o sap = succo, linfa, resina, attestato da Hofmann ([43]), il quale indica sapa = umore degli alberi degli antichi latini, e da Quattrocchi ([56]), il quale, con riferimento a sapinus, riporta il gallico sap (secrezione da un tronco lesionato) aggiunto a pinus da cui sappinus = resina-pino o pece-pino. Nel Medioevo si sarebbe diffuso, come indicazione generica, il termine sappinus e successivamente za(p)pino, za(p)pinus e vari altri termini simili a tutte le specie legnose resinose (abeti e pini), presenti nel territorio. Secondo Celata ([19]) la prima attestazione scritta di zappino risale alla prima metà del XIII secolo, ma in effetti si deve retrodatare la comparsa del termine all’anno 969: nel Cartularium 149 (raccolta di atti di compravendita) del Chronicon Casauriense del monaco Johannes Bernardi ([10]) si rileva che un certo Lupone dona al Monastero di Casauria i terreni situati nelle contrade Zappino ed altre lungo la piana del Fiume Pescara (testo traslitterato secondo caratteri moderni nel 1796 da L. A. Muratori).
Savastano ([62]) segnala Pinus brutia, come zappino di Aspromonte (Calabria) il pino calabrese, ma forse si tratta di Pinus halepensis e consegue alla nota confusione di Tenore nella classifica di Pinus brutia, che non esiste spontaneo in Calabria ([52], [3]). Nell’isola di Pantelleria esistono 930 ha di pinete spontanee, di cui 830 ha di pino marittimo e 100 ha di pino d’Aleppo, da considerarsi relitti di antiche e più estese fitocenosi ([1]). Nel lessico locale il vocabolo zappinu indica il pino marittimo, mentre il pino d’Aleppo è chiamato deda ([59]). In Sardegna il pino d’Aleppo, che cresce spontaneo ([5]), è chiamato campingiu, pinu, oppino, burdu, ma non zappino ([15]), mentre alla Maddalena i pescatori chiamano zappinu la tintura formata da acqua e da polvere rossa ricavata dalla corteccia di pino d’Aleppo per tannare le reti ed anche per la cura dei geloni delle mani e dei piedi. Il vocabolo fu importato da pescatori di Pozzuoli (Napoli) che nel Settecento si trasferivano, prima stagionalmente e poi in modo stabile, alla Maddalena per la pesca ([65]). Nel Gargano il pino d’Aleppo, chiamato u zappine, era impiegato anche per la produzione di carbone ([26]). Nella riserva naturale di Monte Barone nella Foresta Umbra si trovano due pini d’Aleppo, ritenuti i più grandi ed i più vecchi d’Italia, lo Zappino dello Scorzone, del diametro di cm 160 e dell’altezza di m 20 e lo Zappino di Don Francesco, del diametro di cm 130, vecchi rispettivamente di 700 e di 500 anni ([75]). Nella pineta di Linguaglossa (CT) il pino laricio è chiamato zappino ([36]); è qui presente un esemplare alto 31 metri con il diametro di 1.64 m e dell’età presunta di 300 anni, chiamato localmente u’ zappinazzu ([8]).
Il vocabolo zappino è entrato anche nel diritto e precisamente nei documenti redatti nel 1822 dall’Amministrazione Forestale di Napoli per l’applicazione della legge 18/10/1819; si prescrivevano per i boschi dell’Etna modalità di taglio dei “pini silvestri” (= pini larici), detti volgarmente zappini ([41]); nella tabella B allegata alla successiva legge 21/08/1826 i tronchi di zappino, ritraibili dai boschi dello Stato, la cui utilizzazione doveva essere autorizzata da agenti della Real Marina, spuntavano i prezzi più alti ([50]).
Vi sono numerosi altri riferimenti allo zappino: Zampino = Abete bianco (Pistoia - [30]); Sap = Abete bianco (Piemonte - [33]); Zappino = Pino marittimo (Sicilia - [30]); Zapèn = Pino marittimo (Romagna -[63]); e infine Zapinus = Larice a Venezia, con attestazioni del 1262 e 1407 ([49]).
Zappino nella toponomastica di origine da specie arboree
I fitonimi, in particolare quelli legati a specie arboree, sono molto comuni. Anche lo zappino ha lasciato numerose tracce in varie regioni d’Italia, talvolta anche in zone ove la pianta resinosa è da tempo scomparsa ed i locali ne hanno perso la memoria. Nella contrada Tre Confini al di sopra dell’Alta Valle di Canneto attorno ai m 1800 s.l.m. in Comune di Picinisco (FR) è segnalato da Terracciano ([68]) e da Giacobbe ([36]) il bosco Zaffineto di pino laricio. Il toponimo Zaffinete o Zappinete si ritrova nella pineta di pino nero Villetta Barrea in Comune di Opi (AQ), nelle contrade Costa Camosciara e Caccia Grande ([28], [36]) ed in quella del Comune di Civitella Alfedena (AQ - intervista personale). La contrada Zappineti si trova in Comune di Villetta Barrea (AQ - [36]), prossima a Picinisco (FR). In Comune di Castellabate (SA) esiste la “Torre degli Zappini”, toponimo derivante dalla presenza antica del pino d’Aleppo, in località Pagliarola a Tresino. Il Casale Zappini, ora quartiere Zappino del Comune di Campagna (SA), nel tardo medioevo ([46], [47]), fu uno dei primi insediamenti alla confluenza dei Fiumi Tenza e Atri, così da formare un’iscla (latino medioevale: insula = isola) que vocatur Zappini, come si legge in un documento del 1056. La Valle del Tanzi collegava il Casale Zappini dell’antica Campagna con l’ampio retroterra montagnoso e boscoso fino ai confini con l’Irpinia e forse anche oltre, a mezzo di una impervia viabilità pedonale per semitam que ducit jntus furestam (a mezzo di sentiero che conduce fin dentro la foresta).
Tali toponimi testimoniano diffuse attività connesse anche alla cantieristica navale e quindi la necessità di un deposito di tronchi di abete e/o di pino (zappini) alla fine dell’impervio percorso attraverso la Valle del Tenza, prima di farli fluitare nei vicini Fiumi Tenza e Sele per imbarcarli poi alla foce alla volta dell’arsenale di Amalfi e di altri porti della Lucania e del Nord-Africa, come attesta il geografo arabo Al-Idrisi del XII secolo ([70]). Il bosco Zappino in località Ca’ Zappino presso il Lago di Lesina nel Gargano è un bosco litoraneo, costituito da pino d’Aleppo, olivastro, alloro, lentisco, mirto, ginepro, ecc. Il toponimo Ca’ Zappino sarebbe stato dato da coloni o profughi veneziani e si riferisce ad una masseria ma con riferimento al citato bosco di pino d’Aleppo ([39]) Nel parco dell’Etna abbiamo Monte Nero degli Zappini e la contrada Zappinato o Sciara dello Zappino. Vinciguerra ([72]) segnala in Comune di Adrano la Casa degli Zampini. Ovviamente i due vocaboli si riferiscono alla presenza del pino laricio.
In Comune di Linguaglossa (CT) nella pineta di laricio si incontra la contrada Zappinaccio ([54]) che trae origine da uno zappino di grosse dimensioni: u’ zappinazzu. Nello stesso Comune si trova la contrada Zappinello. In comune di Pimonte (NA) esiste la contrada Zappino ed il sentiero Zappino. Nel medioevo era noto, presso l’abitato di Pimonte, l’Oppidum Pino. Nell’Isola di Ischia (NA) è presente la contrada Zappino, attestata fin dal 1440 in antichi atti notarili ([45]). Se ne ignorano le origini. Il Rivo Zappino divide il territorio del Comune di Sorrento da quello di Massa Lubrense in Provincia di Napoli. È probabile che le ultime tre contrade derivino dalla presenza nel passato di piante o di boschi di pino perché nella zona è diffuso il lemma zappino collegato alla presenza di pino d’Aleppo.
Zappino nella toponomastica di origine diversa dalle specie arboree
Per il termine “zappino” si possono però ipotizzare anche etimologie differenti da quelle finora esposte. Sempre il compilatore del Chronicon Casauriense, Johannes Bernardi ([10]), registra che nel 1000 i fratelli Senebaldus, Scifredus e Widon ricevettero dall’Abate Gisleberto di Casauria un “poium (poggio o altura) cum Bosco de Zappino“ e terreni per 500 moggi per costruirvi un Castellum (sinonimo di Castrum). Nell’atto di concessione dei terreni era citato “poium cum bosco de Zappino”, forse una delle prime attestazioni dell’etimo boscus o buscus (dal greco βοσκoς = pascolo = boscaglia oppure dal germanico busk o bos con eguale significato) indicante più la macchia cespugliata che non il bosco vero e proprio, e che la contrada Zappino fosse almeno in parte coperta da cespugli. Dato che è difficile collegare zappino alla presenza di piante di pino non segnalate dal compilatore del Chronicon Casauriense o da altra letteratura, si può supporre, come da caso simile segnalato da Staffa ([67]) per le vicine campagne teramane, che il poium, venisse destinato al pascolo in prevalenza delle capre ([66]); da tale ambiente potrebbe essere derivato lo zootoponimo Zappino da zap o zappe (= caprone, capra, capretto) da popolazioni longobarde e slave presenti nel territorio.
Casale Zappino (attestato come “de loco Zappino”) è una frazione oggi disabitata del Comune di Bisceglie, zona per la quale non sono stati rintracciati sicuri riferimenti a specie arboree (vedi capitolo “Etimologia del vocabolo Zappino”). Nell’anno 1074 in Comune di Bisceglie (BA) fu concesso a 44 persone de loco Zappino di trasferirsi a Bisceglie con una concessione rilasciata dal vescovo Dumnello di Bisceglie ([13]). Il Casale Zappino era costituito da una Chiesa eretta attorno all’anno 1000 con annessa torre di epoca posteriore. Protettrice del Casale è la Madonna dello Zappino con poteri miracolosi per la pioggia. In comune di Ailano (CE) esiste la località denominata Li Zappini; con sentenza in data 02/07/1810 della Suprema Commissione Feudale di Napoli fu riconosciuta al Barone Rajola Pescarini del vicino Comune di Ailano la proprietà del bosco di cipressi in località Li Zappini della superficie di tomoli 17 (circa 5 ha), ora coltivato ad oliveto. Sempre nel Comune di Ailano è noto il Fosso Zappini che nasce dalla montagna Coste del Comune di Ailano, a confine con la cipresseta sopra ricordata e confluisce in sinistra del fosso Ciprino. Nell’abitato di Ailano una strada è stata intestata a Zappini e la contrada Zappini compare nella Toponomastica del Comune di Ailano ([71]). Nel confinante Comune di Gallo Matese il Catasto Provvisorio Murattiano del 1816 registra un piccolo coltivo denominato Pero Zappino.
Altri sviluppi di sa(p)pinus
Secondo gli etimologisti francesi sappine avrebbe dato origine a sapin (= abete), come derivazione da sap(p)inus, formato dal celtico sap (= resina che cola, succo, linfa, resina d’abete) e per estensione anche abete con resina. Per Abies pinsapo Boiss. (abete di Spagna o abete pinsapo) si è diffusa l’etimologia da sapo (= abete) e quindi pino-abete, ma appare più attendibile l’ipotesi che fa riferimento a sapo = jabon = sapone, in quanto dalla corteccia dell’abete si estraeva una sostanza impiegata per fabbricare il sapone; infatti l’abete pinsapo è chiamato dagli spagnoli anche pino jabonero ([58]). Anche in Italia, allorché si faceva il sapone in casa, si aggiungeva una dose di pece greca, detta anche colofonia, derivata dalla resina del pino, per dare la possibilità al sapone di fare la schiuma durante il lavaggio.
Il vocabolo Zappino ha dato origine a molti cognomi in Italia; 144 Zappino e 87 Zappini sono riportati nell’elenco degli abbonati al telefono fisso. Fra gli Zappino del passato si segnala Giovanni Antonio Zappino, nobile di Cosenza; è noto lo stemma di famiglia (Fig. 5), rappresentato da scudo rosso, con leone coronato rampante su tronco di pino sradicato, sormontato da stella, con elmo di nobile ([16]); in Francia si trova il lemma sapinus nel nome di due Comuni: Le Seppey en Chartreuse ([76]) nel Dipartimento Isère e Le Seppey en Haute Savoie ([74]) nel Dipartimento omonimo, con lo stemma rappresentato da tre abeti, in linea con l’etimologia del nome. È noto in Francia Fort du Seppey sulle Alpi. Il vocabolo ha anche dato origine al cognome Seppey, esistente in Francia, in Svizzera ed in Spagna ([51]). È stato dato il nome di “sapinico” ad uno degli acidi resinici componenti la colofonia, sottoprodotto della distillazione della resina.
Fig. 5 - Stemma nobiliare del XV secolo della famiglia Zappino, originaria della Calabria ([16]).
Origine della cipresseta di Fontegreca
Il termine cupressus, che deriva dal noto mito greco di Kυπαρίσσος = Ciparisso (Fig. 6), divulgato, nel primo decennio d.C. da Publio Ovidio Nasone con il poema “Le Metamorfosi”, è sempre citato tal quale nella lingua latina nel testo degli autori classici consultati (Catone, Columella, Varrone, Plinio, ecc.) ed è stato adottato da lingue moderne. Nell’antico Egitto era considerato simbolo dell’immortalità come emblema della vita eterna dopo la morte ed era diffuso (Fig. 7) attorno alle abitazioni dei personaggi di riguardo ([61]). Nell’ambiente greco-romano si era diffusa la credenza che nell’aldilà il cipresso fosse un punto di riferimento per il percorso che doveva seguire l’anima degli iniziati al culto misterico orfico, per presentarsi al giudizio della coppia Ade e Persefone.
Fig. 6 - Mito di Ciparisso. In alto Ciparisso uccide per errore il suo cervo addomesticato. Sulla destra Ciparisso, amato da Apollo, racconta al Dio l’accaduto. Sulla sinistra Ciparisso in fase di trasformazione nell’albero di cipresso. A terra sono sparse numerose galbule. Immagine di tipo narrativo decorata su piatto in maiolica di cm 25 da Giorgio Andreoli, noto ceramista di Gubbio (PG) nel 1525 circa. Il piatto è decorato a lustro, con pregevoli effetti di iridescenza, una tecnica antica perfezionata da Andreoli, legata al suo nome, rimasta segreta. Collezione privata ([77]).
Fig. 7 - Dal libro dei morti di Nakhte, personaggio della Corte del Faraone della XVIII dinastia (1550-1070 a.C.). A destra Nakhte con sorella e moglie rendono omaggio al Dio Osiride per entrare nel suo regno dei morti. Alle spalle la Dea Maat della giustizia con in mano la croce ansata, simbolo della vita e dell’immortalità. Al centro il giardino della casa di Nakhte con piscina e piante ornamentali (cipresso, palma e vite) di notevole valore simbolico: il cipresso era simbolo dell’immortalità come emblema della vita eterna dopo la morte; la palma era il simbolo della bellezza, dell’armonia e della fecondità; il vino (uva) era considerato la bevanda dei defunti. Il papiro è del British Museum di Londra ([61], testo rielaborato ed integrato da Fiorucci).
Con l’editto del 380 di Teodosio, che riconobbe il Cristianesimo religione di stato, molti boschi sacri furono distrutti, ma poi prevalse la sostituzione cristiana alle tradizioni ed alle forme rituali pagane dell’epoca; rimase pertanto l’usanza di piantare cipressi attorno alle dimore degli eremiti, nei luoghi di culto e di sepoltura e nei cimiteri come simbolo di vita che continua anche dopo la morte, oppure di associare nelle agiografie l’immagine del cipresso, come per esempio nell’affresco del monastero rupestre di Varlaam in Grecia, la Madonna in attesa del figlio, circondata da garofani e da cipressi, simbolo, questi ultimi, dell’eternità ([17]).
Il primo nucleo abitativo di Fontegreca si formò attorno al Santuario S. Maria dei Cipressi (Fig. 8), situato sul pendio di destra della valle del Sava, nascosto alla vista di chi osserva dalla sottostante pianura; fu costruito da un gruppo di eremiti nel VII secolo, secondo consuetudine conforme, anche come posizione solitaria e rupestre, a quella dei monaci nel V-VII secolo nel Mezzogiorno d’Italia, per onorare il ritrovamento di un immagine della Madonna in una grotta; poiché la valle era poco o affatto visibile da lontano fu chiamata Fossaceca (cioè valle nascosta); successivamente e progressivamente l’abitato si estese nella parte inferiore, più facilmente accessibile e più assolato, oltre che visibile.
Fig. 8 - Fontegreca. Santuario Madonna dei Cipressi, nel mezzo della cipresseta ([57]).
Si potrebbe ipotizzare che la cipresseta di Fontegreca derivi da una piantagione effettuata in epoca storica per uno dei motivi sopra esposti. L’attuale formazione si sarebbe comunque evoluta molto lentamente, tenuto conto, come è noto, che il cipresso non si rinnova allo scoperto, come per esempio a fianco delle fasce frangivento e che lo spargimento del seme, per altro generalmente di modesta germinabilità, è molto limitato e che può affermarsi e svilupparsi solo sotto copertura più o meno forte ([42], [27]); già Catone nel 2° sec. a.C. consigliava di coprire le semine di cipresso in vivaio con graticci oppure con paglia. Analoga origine può avere avuto la cipresseta di circa 5 ettari esistente ai primi del 1800, oggi sostituita da oliveto nella contrada un tempo chiamata Li Zappini nel vicino Comune di Ailano.
La cipresseta di Fontegreca ed il presunto fitonimo Zappino
Il cipresso di Fontegreca è chiamato zappino solamente dai locali, come segnalato per la prima volta da Trutta fin dal 1776; zappino è riportato nel Dizionario Abruzzese e Molisano di Giammarco ([37]), come variazione di chjappina, probabilmente riferito a zappino degli abitanti di Fontegreca, nel passato compresa nella Regione Molise, ma non risulta documentato in altri atti. Zappino è stato segnalato per la prima volta nella letteratura forestale da De Rosa ([29]), il quale ha anche riferito che le più antiche informazioni documentate attestano la presenza della Selva dei Cipressi (e non della Selva degli Zappini), come nel rilievo del 1506 (più esattamente “relevio” del 1506, che era una tassa di successione ante litteram, di origine normanna).
Ciarlanti ([21]) descrive per la stessa località una bella selva solo di alti e folti cipressi, che comincia verso dove ha principio il fiume detto Sava; non è esatta l’affermazione di Viti ([73]) sul presunto fitonimo Zappini dal citato Ciarlanti, che parla di cipressi e non di zappini; inoltre la denominazione Madonna dei Zappini riportata nello stesso testo non trova riscontro nella letteratura.
Negli atti ufficiali del passato consultati nell’Archivio di Stato di Caserta il termine zappino è sempre riferito a località e non al cipresso, che è sempre segnalato tal quale. Giacinto Martucci, Commissario della divisione dei demani delle province di Napoli e di Terra di Lavoro, dispose nel 1811, in applicazione della citata legge eversiva della feudalità, che la selva di cipressi, venisse compresa fra i terreni, soggetti a diritto di uso civico essenziale, da assegnarne per 2/3 al feudatario Duca di Laurenzana e per 1/3 al Comune di Fontegreca. Il Martucci riferì inoltre che nel libro dell’Informazione dei Relevi del 1506 (non rintracciato nell’Archivio di Stato di Caserta) la selva di cipressi non aveva la qualità di riserva e che gli abitanti vi esercitavano i loro diritti; la riserva o la difesa era un luogo, istituito con il consenso di tutti i cittadini e con l’assenso del Re, chiuso all’esercizio degli usi civici. Nello stesso anno i periti demaniali Ciorlano, Valentino e Nardolillo, incaricati di individuare i demani comunali, feudali ed ecclesiastici in Comune di Fontegreca, misero in evidenza la presenza del demanio ecclesiastico di S. Maria di Cipressi, “vestito parimenti di alberi di cipressi, atti soltanto al pascolo di animali caprini e pecorini”. Nella relazione dei periti demaniali Mancini, Forti e Assalone in data 10/08/1812, inviata al Martucci, si rileva la citazione di Selva dei cipressi o la Selva detta de’ cipressi, gravata dal diritto di uso civico degli abitanti di Fontegreca. Qualche anno prima (22/09/1810) fu segnalato, tra l’altro, il demanio ecclesiastico della Chiesa di S. Maria de’ Cipressi tra i terreni gravati da diritto di uso civico.
Il comune di Fontegreca con lettera in data 16/02/1834, n.29, indirizzata all’Intendenza della Provincia, fa riferimento al taglio annuale degli alberi della Montagna de’ Cipressi. Nel Catasto Provvisorio Murattiano di Fossaceca, approvato dal Consiglio comunale in data 25/10/1816 e depositato presso l’Archivio di Stato di Caserta, ho rilevato che è spesso riportata la località Zappinelli (diminutivo di Zappini) costituita da querceti, seminativi, vigneti, arbusteti, casa rurale, appartenenti a 12 proprietari privati (ASC, 1° Sezione) e che in località Castello è riportato il bosco di cipressi, di proprietà della Cappella di S. Maria dei Cipressi; nella stessa località la Mensa Arcipretale possiede un bosco di cipressi (ASC, 3° Sezione). Risulta anche che il Barone Laurenzana di Napoli possiede un bosco di cipressi in località Zappini; il Beneficio di S. Pietro possiede un bosco di cipressi in località Sorgenza; e 3 proprietari privati possiedono 3 boschi di cipresso in località Zappini; abbastanza diffusa è la località Zappini, costituta da oliveti e orti secchi, appartenenti a 20 proprietari privati (ASC, 4° Sezione).
Per Terracciano ([68]) “il cipresso copioso si vede ed in bella vegetazione nei boschi tra Capriati a Volturno e Prata Sannita”. Terracciano segnala i due Comuni, posti a confine uno (Capriati) a sinistra di chi guarda la montagna e l’altro (Prata) in destra della dorsale ove si trova Fontegreca. Il Regolamento, approvato dal Comune di Fontegreca nel 1912, stabilisce che l’esercizio di uso civico può essere esercitato dai cittadini di Fontegreca nel bosco Montagna e Monte Cipressi. Buontempo ([14]) attesta che alla data dell’entrata in vigore delle leggi eversive della feudalità del 02/08/1806 sussisteva nel Comune di Fontegreca il diritto di legnare e pascere in diverse contrade tra le quali figurava quella di Selva dei Cipressi. Vi era inoltre il demanio feudale con alberi di cipresso in beneficio al Duca di Laurenzana ed il demanio ecclesiastico della Chiesa S. Maria dei Cipressi, detto anche Santangelo, in beneficio alla Mensa Arcipretale di Fontegreca. Il Commissario per la liquidazione degli usi civici di Fontegreca, con decreto in data 27/03/1935, fa riferimento a Selva dei Cipressi quale terreno di origine feudale assegnato a Categoria A da utilizzarsi convenientemente come bosco o pascolo permanente. Banti ([7]) per il toponimo si attenne a quello di Monte dei Cipressi, riportato dal Catasto. Sulla tavoletta 161 III N.E. dell’IGMI del 1946, è indicato il Santuario Madonna dei Cipressi.
Il primo nucleo di abitanti di Fossaceca si formò dopo la caduta dell’Impero Romano da eremiti e/o da pastori di Gallo e di Letino; è probabile che già allora fosse in vigore l’uso promiscuo del territorio fra più popolazioni, che durò ufficialmente fino ai primi decenni dell’ottocento, allorché la promiscuità fu sciolta in applicazione della prammatica del Regno Borbonico del 23/2/1792 e della successiva legge come da Decreto di Giuseppe Bonaparte del 10/03/1810. La prima testimonianza di Fossaceca risale all’anno 881, come si rileva dal Chronicon Volturnense del 1130 del monaco Giovanni dell’abbazia di San Vincenzo al Volturno (IS), secondo Villani ([71]).
Sono stati rilevati per il territorio italiano i seguenti nomi vernacoli del cipresso con varie corruzioni: cipress, arcipresso, cipressa, cipressu, zipressu, ciparsu oppure di ciappina o acciappina in Abruzzo ([2]); è anche tautologica la Cipresseta degli Zappini, segnalata da Panconesi et al. ([53]), se gli autori intendono attribuire zappino al cipresso, come sembra anche da altre citazioni. In altre Regioni gli antichi toponimi, derivati spontaneamente da formazioni boscate di sappinus, si sono formati in genere con l’aggiunta del suffisso latino -etum o -atum (in lingua volgare -eto o -ato o -ete, come Zappineto, Zappinato, Zappinete o Zaffinete). Talvolta il vocabolo è rimasto come complemento di specificazione, come nel caso di Ca’ [di] Zappino. All’impianto del Catasto, negli anni venti del secolo scorso, era indicato come Monte dei Cipressi il versante esposto a sud-est e, più precisamente, la particella 71 del foglio 1 attraversata dalla strada per Gallo Matese e dalla strada comunale (in realtà un sentiero) ed in parte dal Fiume Sava (Fig. 9); il toponimo Zappini e non il nome collettivo zappineto, semanticamente più corretto (sempre se zappini doveva riferirsi alla cipresseta) è riportato, sempre all’impianto del catasto, sulla particella 172, foglio 1, di ha 0.44 di superficie, a coltura di vecchi olivi, situata a confine dell’area attuale della cipresseta, su terreno ripido e terrazzato (Fig. 10). Nel Catasto Onciario del 1742 è segnalato un appezzamento di terreno, sterile ed incolto, nei pressi del Colle della Sorgenza, in luogo detto Li Zappini (ASN, pag. 139). Tali discordanze fanno sospettare che per Fontegreca zappino, riferito al cipresso, sia un grossolano eteronimo in quanto non derivato spontaneamente dal latino sap(p)inus, ma che sia stato importato da immigrati o da pastori di Fontegreca o di Gallo Matese o di Letino, che frequentavano contrade laziali, campane e pugliesi, ove il termine zappino, riferito al pino, era ed è ancora abbastanza diffuso.
Fig. 9 - Fontegreca. Parte superiore finale della vicinale Zappini, costituita da impervio sentiero che collega la strada vicinale Campo alla strada comunale, oggi provinciale, per Gallo Matese (Foto Fiorucci).
Fig. 10 - Fontegreca. Località Zappini, toponimo riportato sulle attuali mappe catastali. Oliveto terrazzato con muri a secco e con ciglioni erbosi, di proprietà degli eredi Cuculo-Gianfrancesco, della superficie di ha 0.44 (Foto Fiorucci).
Infine non si può escludere, tenendo anche conto che in nessuna regione d’Italia risulta l’attribuzione di zappino al cipresso, che il toponimo possa derivare da zappe o zappo (= caprone), che secondo Sever Pop, linguista rumeno dell’Università di Lovanio (Belgio), segnalato da Gualazzini ([40]), avrebbe radici preromane (vedi il sabino sappu = caprone in [78]), in ambiente pastorale comune alle popolazioni illiriche, balcaniche ed a quelle del bacino settentrionale del Danubio e che sopravvive oggi a Nord del Danubio, in Romania, in Albania, in Dalmazia e a Trieste. Per la presente indagine sono state rilevate presenze nelle Marche, nel Lazio e in Calabria. Il Dizionario Abruzzese e Molisano di Giammarco ([37]) riporta zappe (plurale zappja) per le provincie de l’Aquila, Campobasso, Avellino e Caserta, zuappe per Campobasso e sappe per l’Aquila con eguale significato di caprone. Du Cange, nel Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis (1678), segnalato da Di Vasto & Trumper ([32]), ipotizzava per caprone la derivazione dal raro zoonimo latino sappus/zappus per un confronto fra i rebbi della zappa e le corna dell’animale (caprone).
Secondo Di Vasto & Trumper ([32]), Gerhard Rohlfs è stato il primo ad ipotizzare l’origine dell’etimo zappe o zappo dal grido di richiamo delle capre da parte di pastori illirici e balcanici (zapp o tsap o sap o ciapciap); tale ipotesi è riportata nel Dizionario Etimologico della Lingua Italiana (DELI) di Cortellazzo & Zolli ([24]), nel Dizionario Garfagnino di Bertozzi ([12]) e nel Diccionario Critico Etimologico Castellano y Hispanico (vol. 6) di Corominas & Pascual ([22]), con l’indicazione di zappo = chivo = capretto nei dialetti dell’Italia centrale. Sempre Di Vasto & Trumper ([32]), con riferimento al Glossario di Kassel del VIII/IX secolo (Vaticano n. 1468 del 900 - CGL 1888-1929: Hyrcus caper zappus dicitur, “il caprone è detto zappus”) fanno derivare l’attrezzo agricolo zappa dal raro zoonimo tardo latino sappus/zappus = caprone, per un raffronto morfologico fra i rebbi della zappa bicornuta e le corna ricurve dell’animale, perché nel passato queste erano impiegate anche per zappare la terra, ed infine per l’antico grido di richiamo del caprino simile al suono zap oppure ciap-ciap anche per lingue balcaniche come ipotizzato da Rohlfs ([60]); gli autori suddetti segnalano inoltre che sappus aveva anche il significato di “becco piccolo di un anno” (cioè capretto) ed aveva dato origine alla parola latina medioevale sapa o sappa e poi zappa in volgare.
Cortellazzo ([23]) fa derivare zappa da zappus, attestato nel 1366 come latino medioevale, con il significato di caprone, esempio di derivazione dal nome di animale a quello di attrezzo. Analogo sviluppo si ha nel mediogreco con τζαππος (zappos, animale) che dà origine a τζαππα (zappa, attrezzo agricolo), secondo Du Gange, segnalato da Di Vasto & Trumper ([32]).
Sappiamo che nei secoli XV-XVI si era verificata in alcune regioni dell’Italia centro-meridionale un’immigrazione di popolazioni di lingua greca e albanese provenienti dai Balcani in seguito alla penetrazione turca ([4]); nel Pollino cosentino gli abitanti dei Comuni di Acquaformosa e San Basile, che parlano l’arbërëshe, chiamano il caprone cjap (pronuncia ziap), con una certa assonanza con zappe, mentre la zappa è chiamata shat ([9]).
Si ritiene che fra le tracce linguistiche, lasciate dai Longobardi e dagli associati popoli slavi (germani, sassoni, avari, bulgari, ecc.), che si insediarono nel medioevo nell’Italia centro-meridionale in modo sparso e discontinuo o dai sopra citati gruppi balcanici del XV e del XVI secoli vada compreso l’etimo zappe = caprone con relative varianti dialettali (zappe, zappi, zappitte, zuoppe, zappo, zappitto, zappp, sappu, ecc.), senza escludere che in qualche comunità l’etimo possa avere avuto origini preromane ([40]) dal latino sappus/zappus (= caprone) oppure dal sabino sappu con eguale significato ([78]).
Il lemma ha dato origine a vari toponimi, collegati alla presenza di caprini o all’impervietà o alla scadente potenzialità agricola del territorio, come, per esempio, Colle Zappitto in Comune Settefrati (FR), Monte Zappi in Comune di Marcellina (Roma), Pero Zappino in Comune di Gallo Matese (CE), Zappini e Fosso Zappini in Comune di Ailano (CE), Zappini, Strada Zappini, Zappinelli in Comune di Fontegreca (CE).
Significative le attestazione del Glossario di Sella ([64]), Documento 1366 Montalboddo (oggi Ostra in Provincia di Ancona) con il suffisso al genitivo (carnes zapporum et agnorum = carni di capretti e di agnelli) e Documento Cori (LT) 1600 con il suffisso all’accusativo (pecudinos et zappinos = ovini e caprini); nel dialetto di Cori (LT) è ancora presente zappo = caprone ([20]).
Conclusione
Si può quindi ritenere che il vocabolo zappini, con il significato di caproni o capretti o caprini, sia stato attribuito nel passato nel caso specifico al terreno utilizzato come pascolo o come stazzo di caprini e alla strada o sentiero stretto e ripido (sentiero da capre), percorso da caprini per Gallo o per Letino, e successivamente per estensione attribuito erroneamente al cipresso presente nella stessa località.
L’attribuzione di zappino al cipresso da parte degli abitanti di Fontegreca non appare giustificata per motivi filologici, storici, per mancanza di motivazioni e per insufficienza di valide attestazioni; appare più verosimile che si tratti di uno zoonimo formatosi su un termine latino o balcanico. L’errata attribuzione potrebbe essere stata determinata da elementi immigrati o locali che frequentavano per la transumanza contrade ove era ed è ancora diffuso il vocabolo zappino riferito al pino; questi elementi avrebbero attribuito alla sconosciuta sempreverde il nome di zappino e, per estensione, avrebbero assegnato il nome della contrada al cipresso.
L’etimo sa(p)pinus o sapius o sapium meno frequenti, di sicura origine latina, è legato a singole piante o a formazioni di pini, ma anche di abete e larice ed alle pine di alcune specie. Troppi errori sono stati fatti nel passato nella toponomastica con l’italianizzare i nomi delle contrade o con la sostituzione da parte di molti Comuni di nomi, talvolta indecenti o offensivi, per spontanee corruzioni trasmesse oralmente; pertanto riteniamo opportuno conservare, per rispetto della tradizione, le vere corruzioni vernacolari derivanti dal linguaggio popolare dei nostri antenati e chiamare il cipresso, nella letteratura e negli atti ufficiali, come derivato dal greco e dal latino e/o, meglio ancora, secondo la nomenclatura binomiale latina.
References
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