Coppice today: which management beyond definitions?
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 14, Pages 257-274 (2017)
doi: https://doi.org/10.3832/efor2562-014
Published: Oct 30, 2017 - Copyright © 2017 SISEF
Review Papers
Abstract
The economical-social change, the competitiveness and “modernity” of fossil fuels, their prompt diffusion are the concurrent factors that heavily reduced the use of coppice firewood and charcoal since the fifties of the last century. Therefore, a shift took place in the last 60 years from the homogeneous area made of intensively managed, young stands to the more and more differentiated standing crops, as for structural features, growing stocks and growth dynamics, even though all of them originated from a common matrix. Nowadays, the former coppice area includes stands managed under lengthened rotations, outgrown coppices, the coppice conversion into high forest. The 2005 National Forest Inventory reported that 87% of standing crops was included in the age-classes 20-40 and over 40 years, with variable percentages according to tree species, from beech up to thermophilous oaks. Here, the basis of historical judgment on the coppice system, the reasons underlying the outgrown coppice establishment, the current standards of cultivation under even doubled rotations, are critically analyzed. The current demand to reduce the use of fossil fuels by renewable bio-energy sources and to face up the effects of climate change (unpredictability, rainfall reduction, higher air temperature, prolonged droughts, water stress, fire risk) give a new boost to the coppice system. Main goals today are to: (i) optimize the capacity of firewood production to reduce the heavy deficit at the country level; (ii) make the best use of the regeneration ability inherent to the system against the more sensitive regeneration from seed in the changing environment. The positive growth trend, the maintenance of resprouting ability as well as of vital stools density in the outgrown coppice area, address to a sustainable increase of rotations up to the age of 50 years, as already highlighted by a few regional regulations. It would allow the recovery of a current volume increment of 1-1.5 M m3 to internal firewood production. Unsuitable stand locations or bio-ecological conditions as well as stands already under conversion into high forest are obviously excluded. The approach to coppice system maintenance within the variable territorial context, the possible innovation and the definition of flexible silvicultural models are then outlined. The useful updating and harmonization of forest regulations are finally recalled.
Keywords
Outgrown Coppice, Silviculture, Dynamics, Innovation, Cultivation Models
Introduzione
Il sistema ceduo, creato, mantenuto e perfezionato con funzioni eminentemente produttive e diffuso in Italia su quasi 3.700.000 ettari ([59]), ha conosciuto il periodo di maggiore espansione a seguito dell’aumento della richiesta energetica con il primo sviluppo industriale, il raddoppio della popolazione tra la seconda metà dell’800 e i primi del ’900, e la realizzazione della rete ferroviaria nazionale (utilizzazione dei querceti, poi mantenuti a ceduo, per la produzione di traversine). I cedui attuali si sono originati quindi in tempi molto diversi: già utilizzati per molti secoli come tali o ricavati dalla conversione delle fustaie soltanto tra il 1800 e 1900 ([1]). I prodotti principali, legna da ardere e carbone vegetale, hanno avuto un target globale e alimentato un mercato vastissimo, dati gli usi primari di destinazione: riscaldamento, cottura del cibo, energia per la produzione. Il cambiamento del contesto economico e sociale, la competitività e la “modernità” dei combustibili fossili, la veloce diffusione del loro uso, ne riducono drasticamente l’utilizzo dopo metà’900. Il processo ha seguito la regola generale che quando un uso non è più economicamente sostenibile, o il prodotto può essere utilmente sostituito o realizzato altrove a un costo minore, lo stesso uso è abbandonato, o mutato ([79]).
Negli ultimi 50 anni, il passaggio è stato quindi da un’area omogenea caratterizzata da boschi molto giovani e da una comune, elevata intensità di gestione (il ceduo) a boschi sempre più differenziati per età, struttura, provvigione, dinamica complessiva, seppure originati da una stessa matrice. L’articolazione dell’area iniziale comprende oggi il bosco ancora governato a ceduo ma con intensità di gestione minore (allungamento, fino al raddoppio del turno e oltre), l’area di post-coltivazione in evoluzione naturale (il ceduo oltre turno), l’area dell’avviamento a fustaia, minoritaria e diffusa soprattutto nella proprietà pubblica. Gli elementi generali dell’evoluzione della selvicoltura e della gestione del ceduo sono trattati in modo ampio e completo in Ciancio & Nocentini ([30], Ciancio & Nocentini ([31]). Fatta eccezione per i diversi aspetti quantitativi e qualitativi della matricinatura ([67], [102], [17], [62], [60], [25], [92]), altri elementi cardine del governo a ceduo con rilevanti conseguenze di medio-lungo periodo, quali la vitalità delle ceppaie e la lunghezza dei turni, non sono stati oggetto di analisi adeguate cui far seguire indirizzi gestionali precisi e organici. La distanza tra l’attualità e l’inizio del secolo scorso è sensibile: in concomitanza con il periodo di massima utilizzazione, i turni minimi erano di circa 12-14 anni per la macchia mediterranea e il leccio e di 8-12 anni per le querce caducifoglie. Niccoli nei primi anni del â 900 descrive tale deriva come “contare le ore” al ceduo. Turni minimi che ancora a metà del secolo scorso erano in molti casi largamente inferiori a quelli oggi vigenti (Tab. 1).
Tab. 1 - Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale (anno 1952) Provincia di Arezzo - Turno minimo dei tagli dei boschi cedui da ceppaia (Art. 53). Nei boschi misti - esclusi i forteti - si adotterà il turno della specie prevalente o di quella più pregiata. (*): Per “forteto” si intende il ceduo misto di corbezzolo, orniello, leccio, scopa, acero, fillirea, ecc. A richiesta degli interessati l’adozione di turni più bassi potrà essere permessa dall’Autorità Forestale, sempre in modo da escludere ogni pericolo di deterioramento, per i cedui di eccezionale vigoria o quando trattasi di soddisfare le esigenze di determinate industrie locali; in questo caso il taglio dei polloni dovrà aver luogo a scelta o dopo un periodo di riposo delle ceppaie.
Cedui di | Turno (anni) |
---|---|
robinia, ontano e nocciolo | 5 |
castagno, cerro e carpino | 10 |
forteto * | 12 |
rovere e leccio | 14 |
faggio trattati a sterzo | 18 |
faggio trattati a raso | 20 |
Temi non entrati, se non episodicamente, nell’ampio dibattito “ceduo vs. fustaia” che ha animato in particolare la fine degli anni ’70 con i contributi - tra molti altri - di Clauser ([34]), Susmel ([99]), Bagnaresi ([10]). L’idea prevalente alla base dei giudizi, talvolta anche molto netti, era comunque piuttosto sul ritorno per via naturale o colturale alla fustaia rispetto al ceduo, considerato retaggio della civiltà rurale di un tempo passato.
Parallelamente, sono stati pubblicati una serie di contributi di soggetto auxonomico e gestionale ([5], [14], [15], [21], [35], [36], [2], [3], [4], [6], [38]) che formulano varie ipotesi sullo sviluppo del ceduo entro e successivamente alle età del turno allora correnti, riportano i primi risultati sperimentali, ne traggono conseguenze e suggeriscono accorgimenti gestionali sempre attuali come il “trattamento a saltamacchione modificato” ([16]).
Ritornando al tema “turno”, il quadro di forte differenziazione sopra descritto trova riscontro anche nella non univocità dei termini utilizzati, con conseguenti incertezze e ambiguità sotto i profili tecnico-gestionale e normativo-autorizzatorio. Successivamente alla crisi iniziata negli anni â 50 del secolo scorso, e in particolare a partire dagli anni ’80, si fa strada, in antitesi al “ceduo a regime” (il ceduo che alla scadenza del turno viene regolarmente utilizzato), il termine “ceduo oltre turno”. A questo termine si accompagnano una serie di sinonimi quali “ceduo fuori turno”, “invecchiato”, “in evoluzione”, “in abbandono”, “in post-coltivazione”… a significare quella quota di superficie non più utilizzata alle età tradizionali e che si poneva come soggetto nuovo e diffuso in tutti gli ambienti di vegetazione, quindi sull’intera gamma di specie governate a ceduo. Ceduo oltre turno e sinonimi sono tutti riferiti al “turno minimo”, fissato precauzionalmente per le varie specie allo scopo di prevenire conseguenze negative da utilizzazioni eccessivamente ravvicinate. Al suo non rispetto corrisponde, infatti, una sanzione.
Quanto sopra si riflette sulle Normative e Regolamenti forestali regionali e locali tuttora imperniati sul “turno minimo”, nonostante che le utilizzazioni dei cedui avvengano oggi tutte ben oltre e, molto spesso, in corrispondenza di età anche doppie. Se la permanenza nella Normativa del “turno minimo” continua ad avere una sua ratio ai fini di prevenire utilizzazioni troppo ravvicinate nel tempo, significative criticità emergono laddove a tale parametro vengano collegate scelte strategiche o comunque di notevole impatto quali ad esempio quella sintetizzabile come “divieto di ceduazione e obbligo di avviamento ad alto fusto” o, sul piano amministrativo, il passaggio da un iter burocratico semplificato (“comunicazione”, “dichiarazione”) ad uno più complesso quale l’”autorizzazione”.
Anche sulla lunghezza del “turno minimo” permangono differenze non trascurabili nelle Normative e Regolamenti forestali regionali e locali vigenti. Solo limitando l’analisi alle specie più diffuse i “turni minimi” variano da 20 a 28 anni per i cedui di faggio, da 14 a 20 anni per i cedui di querce caducifoglie e carpini, da 14 a 25 anni per le querce sempreverdi. Differenze che si ampliano per il divieto di ceduazione e l’obbligo di avviamento ad alto fusto quasi sempre corrispondente a una età pari a 1.5 o 2 e, talvolta, 2.5 volte il “turno minimo”. Divieti e obblighi sono solo in parte mitigati dalla possibilità di deroghe, peraltro non univoche da Regione a Regione o da specie a specie.
Obiettivo di questo contributo è riassumere la dinamica recente, analizzare lo stato corrente del ceduo e, sulla base delle recenti acquisizioni in particolare in ambito bio-ecologico e auxometrico, discutere delle prospettive di selvicoltura e di gestione, dei problemi e delle opportunità con riferimento particolare ai cedui oltre turno.
Entità e distribuzione del fenomeno
Le statistiche più recenti disponibili, riferite all’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio - INFC 2005 ([27]), già datate a oltre dieci anni, rappresentano l’unica fonte su cui basare l’analisi del fenomeno a livello Paese. I dati (Tab. 2) mostrano che nel 2005 soltanto il 13% della superficie era formato da cedui giovani, inferiori ai 20 anni di età, mentre la maggiore quota (quasi l’87%) era compresa, con percentuali diverse secondo le specie, tra le classi 21-40 (47%) e oltre 40 anni (40%). Il faggio era l’unica specie nettamente prevalente nella classe superiore a 40 anni; seguiva il leccio con la presenza maggiore, ma equilibrata, nelle classi 21-40 e oltre 40; roverella, ostrieti-carpineti, cerro, altre latifoglie decidue, erano distribuite in prevalenza (intorno al 50%) nella classe intermedia.
Tab. 2 - Distribuzione delle principali specie governate a ceduo accorpate in tre classi di età. Valori assoluti di superficie e percentuali sul totale della specie o raggruppamento di specie. Sono qui considerate le superfici per cui è determinata l’età, a meno quindi della superficie non classificata (13.4%). Dati da INFC 2005 ([27]).
Specie | ≤ 20 anni | 21 - 40 anni | > 40 anni | |||
---|---|---|---|---|---|---|
ha | % | ha | % | ha | % | |
faggio | 7.728 | 1.8 | 128.512 | 29.2 | 303.994 | 69.0 |
leccio | 26.495 | 8.4 | 146.311 | 46.4 | 142.219 | 45.2 |
roverella | 54.256 | 11.5 | 241.590 | 51.1 | 176.644 | 37.4 |
ostrieti e carpineti | 85.250 | 14.2 | 325.034 | 54.1 | 190.227 | 31.7 |
cerro | 124.999 | 20.3 | 314.835 | 51.0 | 177.230 | 28.7 |
altre latifoglie decidue | 64.095 | 24.4 | 131.689 | 50.1 | 67.236 | 25.5 |
Totale | 362.823 | 13.4 | 1.287.971 | 47.6 | 1.057.550 | 39.0 |
Una tale distribuzione, secondo la lunghezza dei turni minimi tradizionalmente adottati per specie a metà del ’900, esprime lo sviluppo cronologico della cessazione d’uso.
Primi sono i cedui di faggio montani divenuti marginali per posizione e fertilità, poi quelli di leccio tipici degli ambienti costieri e collinari dell’area centro-meridionale della Penisola e montani delle Isole maggiori che costituiscono ancora corpi vasti, così come superfici residuali negli ambienti di più antica colonizzazione.
Un’altra quercia, la roverella, molto diffusa nella fascia altitudinale intermedia collinare e di bassa montagna, condivide per posizione le forme di utilizzazione più antiche. Queste collegavano molto spesso la raccolta periodica di legna da ardere con gli usi multipli della vegetazione e del suolo forestale complementari all’attività agricola e zootecnico/ pastorale. La specie, naturalmente meno produttiva dell’altra quercia decidua (il cerro), ha subìto anche il maggiore deterioramento della produttività legnosa per intensità e durata degli usi multipli applicati. Questi i motivi di un abbandono più precoce rispetto ad altre tipologie di ceduo.
Gli ostrieti-carpineti e i cedui di cerro sono, oltre che tra i tipi più diffusi, tra quelli all’attualità ancora maggiormente utilizzati. La fascia montana intermedia occupata rimane tra le più servite ed accessibili, e la maggiore lontananza fisica dalle attività agricole e zootecniche ha visto prevalere l’uso essenzialmente forestale.
Il tipo complessivamente più giovane è quello delle “altre latifoglie decidue” che comprende specie di buona produttività (aceri, frassini, pioppi, ontano napoletano) e boschi di neoformazione.
In questa analisi non sono compresi i cedui di castagno che, per caratteri propri (diffusione oltre l’areale originario, riconversione a ceduo di molti castagneti da frutto in abbandono colturale, produttività media, varietà di assortimenti e quindi opzioni colturali nell’ambito della forma di governo con conseguente lunghezza molto variabile dei turni), rappresentano una realtà a parte nel panorama generale del ceduo. Nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale (RRN) è stato recentemente pubblicato un documento sulla selvicoltura dei cedui di castagno ([77]) al quale si rimanda per gli opportuni approfondimenti.
Il fenomeno generale che ha interessato il ceduo è bene descritto da indicatori come la massa in piedi per unità di superficie e la massa in piedi totale che consentono di definire i trend in atto e qualificare le produttività medie nazionali e le masse potenzialmente disponibili sulla superficie complessiva per classi di età. Nel 2005, la massa in piedi totale variava da un minimo di 4.2 M m3 per la classe di età fino a 10 anni a 173 M m3 per la classe 41-80 anni, valore corrispondente a oltre il 40 % del totale della massa in piedi (Fig. 1).
Fig. 1 - Massa in piedi ripartita per classi di età del ceduo sul totale della superficie. Dati da INFC 2005 ([27]).
La massa in piedi per unità di superficie cresceva da 114.7 e 148.7 m3 ha-1 per le classi 31-40 e 41-80 (Fig. 2).
Fig. 2 - Massa in piedi per unità di superficie ripartita per classi di età del ceduo. Dati da INFC 2005 ([27]).
I dati inventariali indicano una produttività media non trascurabile con valori di incremento corrente intorno a 4 m3, anche per cedui in età avanzata (classi cronologiche 41-80 e oltre 80 anni).
La rilevanza del fenomeno nel suo complesso è bene sintetizzata dai valori di incremento corrente riferito a tutta la superficie produttiva nazionale della categoria cedui. Nel 2005, su un totale di circa 15 M m3 di incremento totale annuo per le specie qui considerate, circa 6 M m3, equamente ripartiti, ricadono nelle classi 21-30 e 31-40, mentre nella sola classe 41-80 si registra un incremento di 4.8 M m3 (Fig. 3).
Fig. 3 - Incremento corrente ripartito per classi di età del ceduo sul totale della superficie. Dati da INFC 2005 ([27])
La genesi del ceduo oltre turno
Gli elementi principali che hanno portato a turni almeno doppi e a diametri medi di utilizzazione di 10-15 cm sono stati la cessazione della produzione di carbone prima, l’evoluzione dei mezzi di taglio, allestimento, esbosco e trasporto poi e la aumentata forbice tra costi e ricavi. Il punto sul fenomeno in atto all’inizio degli anni 2000 lo fa Hippoliti ([62]) che confronta l’aumento del costo della legna (16 volte) e quello della manodopera (80 volte), pure con un recupero di produttività degli operai per allestimento ed esbosco di circa 4 volte. La letteratura più recente ([95]) conferma questa progressione. Il termine di confronto precedente sono i valori di diametro medio indicati da Di Tella a inizio ’900 per i cedui di faggio e cerro, che “[…] non potendo essere convenientemente utilizzati che a carbone […], devono avere le dimensioni proprie a dare la qualità di carbone cannuolo meglio pagata in commercio, prodotto da polloni di dimensioni variabili da 6 a 10 cm a petto d’uomo. […] I turni a questo scopo fissati sono di 26 anni per il faggio e di 22 per il cerro.”
Ancora, dati sperimentali (Tab. 3) indicano come i valori di diametro medio raddoppiano da 27 a 40 e da 20 a 35 anni, rispettivamente in cedui di faggio e di cerro.
Tab. 3 - Variazioni del diametro medio secondo le età del soprassuolo e la specie. Dati CREA - Foreste e Legno ([52]).
Specie | Campo di età (anni) |
Diametro medio (cm) |
---|---|---|
Faggio | 27 → 40 | 10 → 20 |
Cerro | 20 → 35 | 9 → 18 |
Altri elementi concorrenti al progressivo aumento dei turni: (i) il periodico rallentamento della richiesta di legna da ardere che ha contribuito a posticipare la convenienza economica all’utilizzazione; (ii) la possibilità di disporre al taglio masse superiori per unità di superficie; (iii) i costi di lavorazione inversamente proporzionali alla dimensione dei polloni ([23]); (iv) la biologia di accrescimento che aumenta la massa percentuale del fusto e dei rami grossi sulla biomassa totale con l’incremento delle dimensioni individuali ([62]). Diventano quindi molto diffusi, sia in area pubblica sia privata, cedui di età doppia o anche tripla di quella minima già prevista dalle Prescrizioni di Massima.
Il procedere del fenomeno di formazione del ceduo oltre turno è descritto dal confronto dei dati del primo e secondo inventario nazionale. L’Inventario Forestale Nazionale 1985 ([4]) classificava il 41% dei cedui di cerro, il 73% dei cedui di faggio e il 65% dei cedui di leccio e, complessivamente, il 52% dei cedui ad una età maggiore di 20 anni. Venti anni più tardi l’INFC 2005 qualifica l’89% dei cedui negli “stadi adulto e invecchiato”. La percentuale sale al 93% (58% + 35%) per i cedui di cerro, al 91.8% (53.5 + 38.3) per i soprassuoli di faggio, all’85.6% (51.2 + 34.4) per quelli di leccio.
Sia i tipi “maturi” che quelli di post-coltura sono quindi oggi molto diffusi e interessano tutta l’area originale di coltivazione. Usciti per primi dalla gestione attiva i cedui meno serviti e meno produttivi, sono divenuti poi marginali, ancora per posizione o indirizzo gestionale (ad es., l’inserimento in aree protette), anche quelli di buona fertilità. Le utilizzazioni sono continuate soltanto nelle condizioni di accessibilità migliore e quindi ancora remunerative, pure se con turni allungati per disporre al taglio di masse unitarie più consistenti. Una gestione conservativa “di attesa” per sospensione del trattamento e la soluzione pro-attiva dell’avviamento ad alto fusto, su superfici molto più circoscritte e soprattutto nel demanio, sono andate altrimenti prevalendo già 30 anni fa ([15]).
Le ragioni del ceduo oggi
Il giudizio attuale sulla sostenibilità della forma di governo non può prescindere da un fatto essenziale: le numerose analisi condotte successivamente alla crisi (seconda metà del Novecento), non hanno quasi mai separato gli effetti dell’esercizio del ceduo dalla gestione complessiva operata per secoli sul suolo e sul soprassuolo ([50]).
Nel ceduo si sono storicamente sovrapposti numerosi usi multipli (legna, frasca per foraggio, corteccia da tannino, raccolta della lettiera, dicioccatura, legno morto, prodotti non legnosi e utilizzazione degli arbusti del sottobosco, pascolo, colture agrarie intercalari, ecc.) e forme estreme di trattamento come la capitozza e lo sgamollo, ma anche tecniche sofisticate come il ceduo a sterzo e cure colturali di recupero come il rinfoltimento, la succisione e la tramarratura ([57], [58], [53], [87], [88]).
È pertanto praticamente impossibile distinguere a posteriori gli effetti della forma di governo da quelli collegati alla somma degli usi e dei disturbi complementari operati insieme e per periodi anche molto lunghi sul suolo e sul soprassuolo. Questa è una realtà condivisa con gli altri Paesi mediterranei, dove alcuni fattori (fuoco e pascolo, soprattutto) hanno agito in modo determinante. E questi sono i motivi per cui, accanto a fertilità mantenutesi intatte attraverso parecchi secoli di uso documentato a ceduo ([86]), esistono situazioni di fertilità assolutamente residuale.
Due fattori principali riportano oggi la forma di governo a ceduo di attualità: (i) il rapporto molto sbilanciato tra produzione e consumo interno di legna per energia e (ii) la necessità di provvedere tutte le soluzioni tecniche possibili per gestire gli effetti dei cambiamenti in atto nell’ambiente di crescita, primo tra tutti quello climatico. Attualità raccolta, anche se in forme e contenuti diversi, da alcune recenti iniziative a livello nazionale e internazionale quali, tra le altre, Rete Rurale Nazionale 2014-2020, dalla cui attività scaturisce anche il presente contributo, la COST Action FP 1301 EuroCoppice ([49]), la creazione dell’Unità IUFRO 1.03.01 - Traditional coppice: ecology, silviculture and socio-economic aspects ([65]) e il progetto LIFE14 ENV/IT/000514 Shaping future forestry for sustainable coppices in Southern Europe: the legacy of past management trials ([68]).
Primo fattore: la questione produttiva
La consapevolezza ormai diffusa del non lontano esaurimento dei combustibili fossili, le prove evidenti degli effetti negativi del loro uso sull’ambiente e la necessità di produrre una efficiente funzione di mitigazione attraverso la riduzione del consumo di combustibili fossili, la loro sostituzione con risorse rinnovabili e l’aumento della capacità di sequestro e stoccaggio di carbonio nei suoli e soprassuoli forestali, trovano espressione nei temi emergenti della green economy ([37], [78]).
Tutto questo accade in un mercato globale in cui la richiesta di energia è in crescita costante e tutte le potenziali fonti complementari o alternative al fossile devono essere esplorate, così come è necessario individuare i metodi di gestione più efficienti delle risorse disponibili. Il ceduo rientra quindi con un ruolo di grande interesse accanto alle piantagioni per energia nel dominio allargato dell’arboricoltura e delle piantagioni fuori foresta (short rotation forestry in particolare).
Le statistiche storiche sulla raccolta di legna da ardere ([62], [32], [89]) mostrano un minimo a metà degli anni â 70, mentre le ultime ufficiali disponibili sulla produzione interna ([64]) sono di poco superiori a 6 M m3.
La produzione reale 10 anni fa (5.6 M m3) era stimata essere un terzo di quella potenziale (16.5 M m3) da Ciccarese et al. ([32]). La legna da ardere rappresenta il 70% della produzione legnosa nazionale. Secondo Forest Europe ([56]), il tasso di utilizzazione corrente in percentuale dell’incremento annuale netto nel Paese è uno dei più bassi in Europa: 39.2% contro il 47.3 in Francia, 80.3 in Germania, 55.5 in Spagna ([89]). Anche se la legna da ardere copre soltanto una parte del consumo interno di biomassa legnosa a uso energia in Italia, stimato pari a 21.20 Mt (16.37 - 22.17 Mt secondo [89]) o 19 Mt ([33]), le statistiche di produzione interna ufficiali sono fortemente sottostimate ([39]). Autori diversi quantificano la sottostima intorno al 30%. Le ragioni di questo sono generalmente correlate al carattere cross-settoriale del mercato e alla sua frammentazione. Alla molteplicità delle fonti di approvvigionamento, alla compresenza di differenti sotto-mercati e di utenti finali che rendono il mercato del legno per energia complesso da definire e quantificare (autori diversi in [89]). Il deficit molto elevato di produzione interna rispetto ai consumi rende comunque il Paese fortemente dipendente dalle importazioni.
La situazione corrente porta quindi a riconsiderare da un lato l’utilizzo del bosco ceduo secondo una modello di governo meno intensivo e ripensato nei criteri di pianificazione e nei metodi di realizzazione, dall’altro richiede ipotesi di lavoro basate esclusivamente sulle evidenze maturate dalla gestione, sulle prove sperimentali e sul corpo di conoscenze fin qui acquisite.
L’attenzione si concentra sul campo di età intermedio (21-40 anni) e, cautelativamente, sulla parte iniziale della classe di età successiva (41-80 anni). Classe quest’ultima che ha un notevole peso all’interno della categoria cedui, con una massa totale stimata al 2005 sulla intera superficie molto superiore (173 M m3) a quella delle altre classi, una massa unitaria media di 148.7 m3 ha-1 e incrementi correnti medi variabili tra 3 e 5 m3 ha-1. Ma soprattutto, l’incremento corrente sul totale della superficie che rappresentava al 2005 oltre il 30% dell’incremento corrente di tutta la categoria cedui e pari a quello di tutti dei cedui di età inferiore a 30 anni. Sulla base di questi dati, il campo di età di utilizzazione canonico potrebbe essere ampliato. In questa prospettiva, elementi preliminari al mantenimento della produzione legnosa su una quota parte del ceduo oltre turno sono la verifica (i) dell’efficienza e della dinamica di accrescimento successivamente alle età di tradizionale ceduazione e fino alle età correnti; (ii) del mantenimento o meno della funzionalità (capacità di ricaccio) delle ceppaie.
Efficienza e accrescimento nei cedui oltre turno
Un elemento in particolare, l’età di culminazione dell’incremento medio di volume (età del “turno fisiocratico” o “della massima produzione legnosa”) è il riferimento classico che indica il momento di maggiore convenienza all’utilizzazione del soprassuolo in rapporto alla velocità di formazione della massa legnosa. Dal punto di vista ecologico, questa età separa la fase di accrescimento crescente da quella di rallentamento e quindi di declino che segna la maturità biologica.
Sono stati utilizzati allo scopo i dati di andamento incrementale provenienti da 16 siti di monitoraggio di lungo periodo distribuiti nel gradiente latitudinale e costituiti da tre delle specie principali governate a ceduo, cerro, leccio e faggio (Tab. 4). Il campione copre un campo di età da 44 a 75 anni. I soprassuoli a prevalenza di cerro che comprendono aree da sub-costiere fino agli ambienti tipici pre-appenninici hanno valori di culminazione compresi tra 35 e 60 anni. Quelli di leccio, ubicati in ambiente costiero nelle regioni centrali e montane in Sardegna, mostrano una risposta più articolata: culminazioni nell’intervallo 40-60 anni e due casi di non-culminazione tra 65 e 70 anni. Il campione relativo ai cedui di faggio, di ambiente pre-alpino e appenninico, comprende un unico caso di culminazione intorno a 60 anni e tre di culminazione non avvenuta tra 60 e 75 anni.
Tab. 4 - Andamento auxonomico dai siti di monitoraggio di livello II ICP-Forests (Rete nazionale) e siti di monitoraggio CREA - Foreste e Legno ([52]).
Specie dominante |
Sito | Età soprassuolo (anni) |
Incremento corrente volume (m3 ha-1 anno-1) |
Incremento medio volume (m3 ha-1 anno-1) |
Età di culminazione Im Vol. SI/NO (anni) |
---|---|---|---|---|---|
Cerro(7 siti) | Emi1 | 60 | 2.8 | 4.0 | Si ≈ 50 |
Laz1 | 50 | 4.3 | 4.2 | No ≈ 50 | |
Mar1 | 50 | 5.6 | 5.9 | Si ≈ 50 | |
Sic1 | 65 | 3.0 | 3.5 | Si ≈ 60 | |
Tos.Vas. | 47 | 1.8 | 6.6 | Si 44 | |
Tos.Cas. | 55 | 3.6 | 7.5 | Si 35 | |
Tos.Pop. | 44 | 1.4 | 3.6 | Si 35 | |
Leccio(5 siti) | Tos1 | 65 | 3.8 | 4.0 | Si ≈ 60 |
Tos2 | 70 | 4.8 | 3.6 | No | |
Laz2 | 65 | 5.5 | 3.5 | No | |
Sar1 | 65 | 4.0 | 4.3 | Si ≈ 60 | |
Sar.Isc. | 55 | 0.9 | 4.1 | Si ≈ 40 | |
Faggio(4 siti) | Emi2 | 60 | 6.3 | 5.4 | No |
Lom3 | 60 | 9.0 | 5.7 | No | |
Pie1 | 75 | 6.8 | 4.6 | No | |
Tos.Cat. | 67 | 6.5 | 7.5 | Si ≈ 60 |
Gli andamenti incrementali indicano che non esiste un problema di senescenza nel campo di età osservato, comprensivo e oltre le età massime presumibilmente interessate dal mantenimento delle utilizzazioni a ceduo. Si ribadisce quindi che il termine cedui “in invecchiamento” utilizzato anche nei recenti Inventari ha soltanto il significato cronologico di superamento delle età minime di utilizzazione e non esprime alcun tratto biologico.
Anche altre variabili di tipo bio-ecologico indicano che non esiste un problema di senescenza nel campo di età osservato. I valori medi del rapporto tra massa fogliare e lettiera totale, misurato in cedui oltre turno da 40 a 60 anni, variano dal 60% al 70% per il leccio ([7]), dal 65% all’85% per il cerro ([42], [41]), dal 70% all’80% per il faggio ([43]). Nel complesso, questi sono valori tipici di soprassuoli efficienti, ancora giovani e produttivi, nonché nettamente superiori a quelli di boschi adulti e maturi (50-55%), generalmente caratterizzati da una maggiore aliquota delle componenti non fogliari.
Mantenimento della capacità di ricaccio delle ceppaie
La facoltà di emettere gemme da cui si originano polloni, definita anche longevità biologica, è specie-specifica, di norma inversamente proporzionale all’età della ceppaia ed alla lunghezza dei cicli di coltivazione.
Le specie, ordinate per capacità pollonifera, vedono prime le querce decidue (cerro e roverella). Per queste, si riporta una prima riduzione (10-25%) tra 70 e 80 anni.
Un’altra quercia, il leccio, mantiene piena capacità almeno fino a 45-50 anni. Altre fonti allungano il periodo oltre 50-60 anni. Da evidenziare che molti dei densi forteti della Maremma Toscana e dei cedui di leccio della Sardegna derivano da leccete di alto fusto tagliate alla fine dell’800. Facoltà pollonifera indefinita è riportata per il carpino nero, mentre un ridotto potere di ricaccio oltre 35-50 anni è riportato per il faggio. La carenza di dati in letteratura è sottolineata dalle fonti anonime citate, riferite a conoscenze sperimentali acquisite con la coltivazione, quindi altrettanto valide, mentre pochi sono gli studi dedicati. Esiste poi una casistica “grigia” assolutamente interessante di tagli oltre turno autorizzati per motivi diversi, capace di produrre ulteriori dati su specie, età, capacità di ricaccio. Una raccolta di informazione organizzata a livello regionale potrebbe utilmente integrare le conoscenze relative, insieme alle osservazioni tecniche del gestore successive al taglio.
Soggetto di interesse diretto per il mantenimento della ceduazione su una quota parte di soprassuoli oltre turno è il numero di ceppaie dominate che, progressivamente con l’età, portano soltanto polloni morti. Tale aspetto non sembra essere un problema per il leccio. Densità variabili da 2125 a 4225 ceppaie ad ettaro sono riportate da Amorini et al. ([7]) per cedui di 45 anni in Sardegna, mentre in cedui di 55 anni nel Parco Naturale della Maremma la densità varia da un minimo di 1150 a un massimo di 5733 ceppaie ad ettaro ([75]). Analisi specifiche sulla riduzione del numero di ceppaie vive con l’età sono riportati in Tab. 5 per due siti di monitoraggio (i) a prevalenza di cerro e (ii) di faggio. La riduzione progredisce in modo sensibile in entrambi e l’esito corrente è funzione della consistenza iniziale. I numeri finali di densità sono ancora sufficienti per il cerro, mentre iniziano ad essere ridotti per il faggio. Una densità intorno alle 800-1000 ceppaie per ettaro può essere ritenuta ancora utile per entrambe le specie in condizioni di fertilità medio-buona.
Tab. 5 - Riduzione del numero di ceppaie in funzione dell’età. Dati CREA - Foreste e Legno ([8], [9], Fabbio & Bertini, dati non pubblicati).
Specie | no. ceppaie vive ad ettaro età (anni) | ||||
---|---|---|---|---|---|
Cerro | 3254 (20) | 2554 (32) | 2312 (38) | 1682 (44) | 1184 (62) |
Faggio | 1160 (27) | 936 (37) | 824 (47) | 744 (57) | 670 (67) |
Oltre gli incrementi legnosi sostenuti misurati alle medesime età, si ribadisce come la densità di ceppaie portanti polloni vivi sia un elemento preliminare da verificare nei cedui oltre turno che si intendano ri-sottoporre a ceduazione.
Elemento complementare alle capacità di ricaccio è quello dell’emissione di nuove radici insieme alla dismissione delle branche radicali più vecchie, ossia l’esistenza o meno di un turnover radicale collegato alla ceduazione. Il ricambio quasi completo delle radici vive entro l’età della prevista rotazione (1-24 anni) in un ceduo di faggio è riportato da Amorini et al. ([6]). Lo studio evidenzia il sincronismo tra lo sviluppo delle masse fuori terra e radicale, a significare lo stretto collegamento funzionale con la componente aerea, almeno per la specie e il campo di età osservati (1-43 anni) nel caso di studio.
Secondo fattore: la variazione climatica
Il cambiamento ambientale in corso (arricchimento della CO2 atmosferica, deposizione azotata e di solfati, riscaldamento e infedeltà climatica, aumento del livello di ozono) coinvolge una serie di fattori concorrenti e/o contrari che agiscono sui cicli bio-geo-chimici producendo azioni e retroazioni sulle relazioni suolo-albero-atmosfera ([94], [11], [80], [96]).
La variazione climatica in particolare manifesta già effetti evidenti sugli ambienti naturalmente sensibili quali quelli mediterranei e quindi sulle foreste ([93], [24], [40], [61], [19], [55]). L’aumento della temperatura media, la diminuzione della quantità di precipitazione, la maggiore irregolarità della sua distribuzione e quindi lo stress idrico ([90]), l’aumento probabilistico di eventi estremi dalla scala locale a quella continentale come l’ondata di calore 2003 sono lo scenario atteso ([29]).
Il principio consolidato di Gestione Forestale Sostenibile, costruito su un insieme bilanciato di fattori noti, ma soprattutto sul concetto di uno stato stazionario (steady state e climax climatico), va in crisi quando la variabile ambiente aggiunge un livello di incertezza non quantificabile né predicibile ([97]). La transizione introduce uno stato dinamico verso una nuova condizione (punto di arrivo) o viceversa un perenne cambiamento? E quale la sua velocità? ([52]).
Si configura così il passaggio dalla Gestione Forestale Sostenibile alla Gestione Forestale Adattativa che incorpora nel metodo di lavoro la non predicibilità e il rischio di gestione ([81], [47], [69], [66], [13], [83]). Il concetto è qui applicato alla variazione del clima ([22]).
Gli attributi della forma di governo a ceduo - primo fra tutti la garanzia di rinnovazione naturale, poi semplicità di gestione, flessibilità, reversibilità, resilienza e resistenza ai disturbi incluso il fuoco, elevata variabilità spazio-temporale degli habitat, lunghezza ridotta dei cicli di coltivazione rispetto alla fustaia - rappresentano tutti elementi positivi se riferiti alla capacità di adattamento. Le analisi in letteratura lo confermano: la gestione dell’acqua in situazioni di disponibilità limitata in cedui di quercia ([98]), la maggiore tolleranza all’aridità dei ricacci rispetto ai semenzali di rovere ([85]). La capacità di ricaccio è uno degli elementi alla base del paradigma della resilienza e della natura auto-successionale post-disturbo dei cedui mediterranei ([48], [70]). Le potenziali variazioni fisiologiche indotte in cedui mediterranei di leccio al variare dell’esposizione mostrano la capacità di acclimatazione alla maggiore aridità in termini di potenziale di fotosintesi e di efficienza di uso idrico ([46]). Una analisi di lungo periodo sui flussi di CO2 condotta in un ceduo di cerro soggetto a carenza idrica stagionale ([12]) rivela il ripristino della capacità netta di sequestro di carbonio già nel secondo anno dopo la ceduazione, a significare la elevata resilienza del sistema al disturbo della raccolta. Dedotta la massa legnosa utilizzata a fine turno, la forma di governo è associata ad un sequestro netto di carbonio non inferiore a 1.3 t C ha-1 anno-1 integrato sull’intero ciclo.
Produzione legnosa per energia
Esiste la possibilità concreta di ridurre il deficit interno attraverso il mantenimento della ceduazione su una quota, limitata in via cautelativa, di cedui oltre turno. Questa soluzione è supportata dalla dinamica incrementale e biologica dei sistemi fino alle età attualmente monitorate. Il campo di età di utilizzazione a ceduo potrebbe essere ampliato allineando l’età massima di possibile raccolta nell’intorno di quelle dei casi osservati (Tab. 4) di avvenuta culminazione dell’incremento medio di volume (età media: cerro 46 anni; faggio 60 anni; leccio 53 anni), che peraltro coincidono con i limiti superiori già indicati da alcune normative regionali, ovvero orientativamente fino a 50 anni e con l’ovvia esclusione delle situazioni inidonee e dei popolamenti già avviati ad alto fusto. Questo consentirebbe di mantenere la gestione a ceduo sulla quota iniziale della classe 41-80 anni con un recupero parziale di circa 1-1.5 M m3 dell’incremento corrente sul totale della superficie, stimato nel 2005 per la classe 41-80 anni pari a 4.8 M m3. Una serie di prove sperimentali da condurre anche su classi di età fino ai 60 anni, con l’obiettivo specifico di verifica della vitalità, capacità di ricaccio e di accrescimento nei primi 2-3 anni (indicatori precoci dello sviluppo possibile per la successiva durata del ciclo) potrebbe recuperare alla funzione di produzione una quota ancora maggiore della massa maturata ad oggi nel ceduo oltre turno. Schemi semplici, bene organizzati, potrebbero dare le prime risposte entro pochi anni, in un tempo quindi relativamente ridotto. Le specie maggiormente interessate sono quelle che dimostrano le culminazioni più ritardate (Tab. 3), ma anche le prime uscite, per motivi diversi, dall’area di ceduazione ordinaria e quindi più presenti nella classe di età 41-80 anni (Tab. 1). Il recupero possibile, verificato con dati sperimentali, sarebbe estremamente utile dove per esempio esistono superfici anche molto vaste e accorpate, scarsamente differenziate per classi cronologiche e struttura per la sospensione contemporanea delle utilizzazioni. Ovviamente, il mantenimento futuro della ceduazione sarebbe attuato con turni più brevi delle età attuali, nell’intorno massimo di 50 anni, come sopra ipotizzato.
A questo proposito, anche dai documenti finali della Azione COST FP1301 EuroCoppice emerge che, per alcune tra le specie più diffuse trattate a ceduo, tali soglie sono già vigenti in altri Paesi europei quali Francia, Polonia, Regno Unito, Albania, Slovenia, Macedonia, Ucraina ([71]).
Adattamento alla variazione climatica
Il cambiamento in corso impone di rendere disponibili ai tecnici gestori tutta la gamma di strumenti utile ad affrontare l’incertezza corrente, la non-predicibilità, il rischio di gestione collegati. La disponibilità della rinnovazione agamica accanto a quella da seme rappresenta, insieme alla serie di attributi propri del ceduo, un elemento importante per risolvere eventuali criticità nella fase più delicata per la perpetuità del bosco, proprio negli stessi Paesi mediterranei dove storicamente è stata più praticata la forma di governo e dove oggi è maggiore la deviazione del clima.
Ulteriori elementi positivi sono la possibilità di scegliere i contesti ottimali al mantenimento della coltivazione per giacitura, fertilità, accessibilità/viabilità (elementi determinanti), l’azzeramento degli usi multipli storici, la minore intensività, la maggiore conoscenza del funzionamento bio-ecologico (fattori guida, fattori limitanti, retroazioni) e della dinamica di accrescimento delle masse aerea e radicale ([51]).
Rimangono alcuni punti da definire: come contestualizzare la nuova gestione nell’ambito di quella esistente, e quali i modelli colturali e le innovazioni proponibili.
Contestualizzazione della gestione
Il mantenimento della pratica di ceduazione di soprassuoli oltre turno può avvenire in ambiti territoriali dove la forma di governo è prevalente e in parte ancora praticata, così come interfacciarsi con tipologie di altofusto.
Non cambiano, in ogni caso, i passi canonici a definire le basi della gestione e il metodo di realizzazione.
- Lettura preliminare del territorio dalla scala di popolamento a quelle di compresa e di paesaggio. Analisi della variabilità fisica, della composizione, struttura e articolazione dei tipi di vegetazione presenti.
- Determinazione del grado e tipo di protezione che è necessario assicurare al suolo in rapporto alla topografia e giacitura dei luoghi, ma anche alla natura del substrato.
- Analisi dello stato corrente, determinazione dell’evoluzione recente, previsione dello sviluppo possibile secondo scenari e livelli di gestione diversi, da ottimizzare secondo le funzionalità prevalenti individuate.
- Nel caso specifico, verificare dove sostenibile continuare e/o riproporre la ceduazione sulla base delle superfici, specie componenti, età correnti, densità di ceppaie, stato di fertilità. Proseguire viceversa con l’avviamento o lasciare spazio all’evoluzione di post-coltura.
- Sviluppo delle relative interfacce e connessioni fisiche tra le scelte possibili senza necessariamente, come in passato, delimitare le relative superfici in modo netto. Queste possono invece utilmente compenetrarsi valorizzando la elevata variabilità, non solo fisica ma anche di fertilità e composizione esistente, anche per tratti circoscritti, nella maggiore parte dei nostri ambienti forestali. Significativi a questo proposito sono i dati e le indicazioni derivanti da esperienze condotte in Casentino - Toscana (Box 1).
- Valutazione delle relazioni spaziali tra le forme diverse di gestione in rapporto al livello di accessibilità, quindi alla viabilità di servizio esistente e/o implementabile e necessaria alla gestione che si va a disegnare.
- Formalizzazione dei contenuti della funzione prevalente sostenibile (che associa quindi le altre su un livello localmente subordinato) sulle singole superfici, ciascuna delle quali può includere anche tipi forestali diversi, ma idonei alla funzione attribuita. Funzioni diverse si associano a livello superiore a comprendere e riassumere il concetto generale di “multifunzionalità” attesa. Il soggetto diventa quindi il territorio e non le singole tessere che lo compongono. Le funzioni del bosco si attuano in modo complementare già all’interno della stessa forma di governo. Il ruolo di “accumulatori di carbonio” dei soprassuoli oltre turno ([18], [20]) si integra con quello di produzione legnosa rinnovabile di quelli in coltivazione, coniugando le funzioni emergenti di mitigazione e quella di sostituzione del combustibile fossile.
- Definizione dei metodi attuativi di ciascuna forma di gestione, proposizione di tutti gli accorgimenti utili a migliorare il modello colturale individuato attraverso il monitoraggio delle soluzioni adottate, le esperienze e i risultati della ricerca applicata in una strategia complessiva di tipo adattativo.
Box 1 - Integrazione tra gestione a ceduo e conversione ad alto fusto: l’esempio del Casentino, Toscana (Bresciani 2016).
Il Casentino è una valle appenninica a forte vocazione forestale: a fronte di una superficie totale di 82.6 km2, 56.7 km2 (69%) sono boscati. La Regione Toscana detiene il 20% della superficie boscata, lo Stato il 3% mentre i privati il restante 77%. Annualmente si utilizzano in media 1500 ha, con un volume totale utilizzato di circa 132.000 m3 di legname, cui corrisponde una produzione lorda vendibile a ciglio strada di 7.5 M di euro. Il numero di addetti nel settore delle utilizzazioni forestali in Casentino è stimato in 300 unità.
Seppure la vallata sia ricca di fustaie, l’importanza del ceduo è testimoniata dalle superfici annualmente utilizzate che si aggirano in media intorno ai 600 ha nelle fustaie (principalmente diradamenti) e ai 900-1000 ha nei cedui. Di questi ultimi, circa un 20% è rappresentato da interventi di diradamento di soprassuoli transitori in conversione a altofusto di proprietà pubblica, la cui realizzazione è spesso appaltata a privati tramite gara. In questi soprassuoli la produttività lorda nelle utilizzazioni si aggira in media intorno a 10-12 mst/operaio/giorno, contro una produttività nei cedui di 6-7 mst/operaio/giorno. Tale divario, oltre alle dimensioni degli assortimenti, è dovuto al fatto che: (i) le utilizzazioni nei cedui in conversione possono essere effettuate anche in estate, stagione nella quale si verificano le condizioni più favorevoli per il lavoro in bosco e in montagna; (ii) l’esbosco e il carico di assortimenti lunghi e di grosso diametro avviene senza movimentazione manuale, con riduzione di costi e di rischi. Il prezzo in piedi in soprassuoli transitori di faggio e cerro si aggira intorno a 2 euro al quintale, valore pressoché doppio rispetto a quanto spuntato nei cedui. Infine, la dimensione degli assortimenti ottenuti dai soprassuoli transitori, non comporta problemi nelle fasi successive di lavorazione, dal momento che moderni impianti di lavorazione di legna da ardere sono in grado di trattare anche grosse pezzature con produttività elevate.
Nel complesso i dati raccolti in Casentino, dimostrano che l’integrazione tra le diverse opzioni, con l’avviamento ad alto fusto o la post-coltura gestiti dai soggetti pubblici e il governo a ceduo dominante tra i proprietari privati, laddove operata e correttamente pianificata a scala territoriale, comporta non solo benefici sotto il profilo ambientale, ma anche sinergie a livello economico-sociale. L’integrazione in termini di calendario silvano, con le ditte boschive impegnate in inverno nel ceduo e nel periodo estivo nei diradamenti dei soprassuoli transitori, rappresenta un’opportunità in più per le ditte di utilizzazioni forestali, con positivi ritorni anche in termini di differenziazione degli assortimenti e mitigazione delle fluttuazioni del mercato, ridando una giusta prospettiva a una scelta, quella dell’avviamento a alto fusto di cedui di proprietà pubblica, spesso avversata o non adeguatamente apprezzata.
Il quadro attuale, letto a una scala intermedia, appare variabile dall’insieme di situazioni di recente formazione, alla forte omogeneizzazione prodotta da un abbandono precedente e generalizzato del bosco.
Un rinnovato interesse produttivo offre l’opportunità di contribuire alla tessitura del mosaico paesaggistico, alla creazione di habitat specifici, di tipi, livelli e modelli di diversità ([72], [73], [74], [63]) collegati anche, nel caso del ceduo, agli stadi successionali precoci nelle tagliate.
Quanto alla diversità arborea specifica a scala di popolamento, questa è maggiore nei cedui dominati da querce, dove numerose possono essere le specie tolleranti dell’ombra presenti nel piano accessorio. Un numero medio di 6 (2-13) specie arboree sono registrate in cedui a prevalenza di querce ad età comprese tra 45 e 85 anni ([54]). Mentre nel ceduo a regime la brevità dei turni tende a mantenere intatto questo tipo di diversità, nei cedui oltre turno la tendenza comune osservata è quella alla riduzione con l’incremento di età per la copertura continua esercitata dal piano superiore. Soltanto l’accesso precoce al piano dominante garantisce nel lungo periodo il mantenimento di diversità specifica individuale. Nei cedui avviati, sono i diradamenti a governare la presenza di specie diverse, di regola sempre selezionate quando nel piano principale e rilasciate in quello accessorio quando non interferiscono con le periodiche operazioni di taglio ed esbosco.
Innovazioni nei modelli colturali
L’innovazione possibile nel modello di coltivazione attuale, sia per il ceduo in essere che per quello proposto (oltre turno) comprende elementi tecnici diversi. Primi fra tutti, i criteri di selezione-qualità e quantità con forte riduzione del numero e collocazione variabile sulla superficie della matricinatura (ceduo semplice, matricinatura per gruppi, combinata per pedali e gruppi - [17], [60], [25], [92]). Poi, forma, estensione, regolarità e contiguità delle tagliate. Soluzioni mirate alla creazione di variazioni dendro-strutturali sulla superficie quali rilasci di fasce o piccoli gruppi di altofusto (“isole”) fino all’applicazione di tecniche di “selvicoltura d’albero” ([84], [76]), così come il mantenimento di tratti in invecchiamento naturale, consentono di realizzare una maggiore coerenza ecologica che valorizza la variabilità naturale di contesto e crea un valido mosaico colturale.
L’individuazione di tipi strutturali intermedi tra i cedui e le fustaie, la necessità di ricorrere a tutta la gamma di tecniche colturali in modo spazialmente eterogeneo e flessibile per mantenere la funzionalità nel gradiente altitudinale delle faggete centro-appenniniche sono riportate da Urbinati et al. ([101]). Terzuolo et al. ([100]) descrivono la nuova Regolazione regionale in Piemonte del sistema di “governo misto”. Motta et al. ([82]) riferiscono della autorizzazione, nella stessa regione, a realizzare il taglio a scelta colturale in cedui di faggio oltre turno che abbiano superato l’età massima prescritta per la ceduazione. Sono questi tutti esempi recenti di formalizzazione delle idee, sviluppo dei metodi e attuazione concreta della selvicoltura.
Altri aspetti di rilievo, emersi nel recente convegno organizzato dalla Rete Rurale Nazionale e dal CREA sul tema dei cedui oltre turno, riguardano: (i) i contenuti regolatori a livello regionale (PSR) che necessitano di nuove misure dedicate a governare e correggere la situazione corrente di forte omogeneizzazione cronologico-strutturale ed elevata sotto-utilizzazione del bosco; (ii) la rilevanza economica e sociale dei cedui oltre turno e le opportunità offerte dai PSR; (iii) il recupero della funzione produttiva all’interno delle foreste del Demanio ([23], [26]); (iv) gli aspetti di meccanizzazione delle operazioni di taglio, allestimento ed esbosco che consentono oggi la comparazione di una gamma ampia di soluzioni nei diversi ambienti e condizioni di lavoro ([91]) .
Una notazione infine su un fattore di crescente interferenza, diffuso e importante per la pratica della ceduazione: il danno ai ricacci da parte della fauna ungulata, capace di compromettere anche l’intero ciclo di coltivazione ([25], [44], [28]) impone una riflessione oggettiva sui fondamenti della gestione faunistica corrente e sulla necessità di correttivi ([45]).
Con i nuovi standard di coltivazione, la certificazione delle produzioni diventa infine un risultato conseguibile anche per il governo a ceduo. Questa acquisizione sarà sicuramente complicata dalla estrema frammentazione di un’ampia parte della proprietà, dato che la certificazione sottintende la presenza e la collaborazione attiva dei proprietari.
Conclusioni
La scelta di mantenere la coltivazione a ceduo in aree in abbandono colturale è basata su motivazioni solide, di interesse generale e quanto mai attuali. La stessa opzione è supportata dalla conoscenza delle dinamiche correnti di post-coltura e proietta garanzie maggiori sia per ridurre il deficit produttivo interno attuale, che a limitare i problemi di rinnovazione e favorire la vitalità del bosco in ambienti sensibili alla variazione climatica.
Tale determinazione non deve essere quindi percepita come l’interruzione di un percorso positivo iniziato, ovvero come “abbandono sinonimo di ripristino dove utilizzazione è sinonimo di sfruttamento”, né come intervento demolitivo sulla vegetazione esistente. È questa una retorica che ha non ha base biologica alcuna e parecchi secoli di coltivazione sostenibile del ceduo sono lì a dimostrarlo.
In natura tutto è dinamico, non esiste conservazione tout court, salvo (forse) per habitat relitti capaci di perpetuarsi senza input esterni. L’apparente mantenimento di fisionomie che provengono da una coltivazione interrotta varia in realtà continuamente nei parametri qualitativi/quantitativi che descrivono questi sistemi, così come evidenziato dai siti di monitoraggio di lungo periodo. Proprio il bosco semi-naturale nella sua accezione di maggiore intensività di coltivazione, il ceduo appunto, assume - dopo sessanta anni di crisi - un collocazione precisa perché il mutato contesto economico/ambientale rende questo sistema antico nuovamente utile ed attuale. La garanzia di rinnovazione naturale, oltre le altre qualità già richiamate, né fa la forma di governo a maggiore rapporto output/input energetico e con un grado di resilienza relativamente elevato ai cambiamenti climatici. Scelta gestionale in grado comunque di essere riconsiderata nel tempo a fronte di eventuali ulteriori cambiamenti di scenario, cosa altresì più complicata nel caso delle fustaie e dei soprassuoli avviati ad altofusto.
Le scelte complementari, avviamento e post-coltura, trovano spazio e collocazione nella variabilità di ambienti che caratterizzano la maggiore parte dei contesti nazionali. L’applicazione impone scelte flessibili, sistemi combinati per rinnovazione e struttura, criteri colturali di natura adattativa, quindi il loro monitoraggio e aggiustamento per passi successivi secondo gli obiettivi attesi. Approccio peraltro raccolto da alcune Regioni e che potrebbe opportunamente essere esteso a scala nazionale.
Queste considerazioni pongono il tema di una revisione complessiva della materia gestione dei cedui sotto il profilo tecnico e normativo-autorizzatorio orientata ad armonizzare gli indirizzi a livello regionale e locale. Le differenze attuali, talvolta non adeguatamente supportate, sono fonte di incertezze, ambiguità e appesantimenti burocratici. Una revisione è stata proposta anche a livello europeo ([49]). Il tutto per produrre un quadro normativo condiviso su alcuni punti chiave del governo a ceduo e aggiornato sul piano tecnico-scientifico, tenendo nel dovuto conto le esperienze già avviate da alcune Regioni. Rientrano tra i punti chiave i “turni minimi”, la cui revisione dovrebbe andare a contenere le differenze tra Regioni per la stessa specie, così come il “campo di età di utilizzazione a ceduo” che potrebbe individuare una soglia massima comune di possibile raccolta intorno a 50 anni, sulla base sia dei risultati auxonomici che di quanto già previsto in alcune Regioni. Accanto a questo, dovrebbero essere armonizzate le procedure amministrative per la realizzazione degli interventi, prevedendo nell’arco di età previsto, percorsi semplificati (dichiarazione, comunicazione) e limitando l’autorizzazione ai casi non contemplati.
Questa attività di revisione normativa, che si ritiene esiziale per il conseguimento degli obiettivi strategici sopra richiamati, potrebbe essere conseguita attraverso la ripresa di specifici tavoli a livello istituzionale per valutare eventuali, possibili forme di sostegno alla attuale e futura programmazione PSR. Tavoli ai quali le Regioni possano portare sia la casistica “grigia” assolutamente interessante dei tagli oltre turno autorizzati, sia gli esiti delle esperienze più avanzate in tema di flessibilità di gestione e sistemi combinati, elementi che possono utilmente integrare le conoscenze tecnico-scientifiche.
Ringraziamenti
Lavoro realizzato nell’ambito del Programma Rete Rurale Nazionale - Scheda 22 Foreste “Miglioramento sostenibile delle produzioni forestali nazionali” - 2.1.1 Valorizzazione dei boschi cedui stramaturi in ambiente appenninico”, con il contributo parziale del Progetto LIFE14 ENV/IT/000514 Shaping future forestry for sustainable coppices in southern Europe: the legacy of past management trials - LIFE FutureForCoppiceS.
References
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