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Le foreste e il sistema foresta-legno in Italia: verso una nuova strategia per rispondere alle sfide interne e globali

Forest@ - Rivista di Selvicoltura ed Ecologia Forestale, Volume 15, Pagine 41-50 (2018)
doi: https://doi.org/10.3832/efor2796-015
Pubblicato: Mag 03, 2018 - Copyright © 2018 SISEF

Commenti & Prospettive

Abstract

Forest cover in Italy has increased three-fold in slightly more than a century. In 2018 the area covered by forest will be, for the first time since long, larger than that covered by active cultivation. In the same time, the stewardship of forest ecosystem services such as biodiversity provision, hydrogeological protection, and landscape conservation has increased. More than 27% of Italian forests are included in protected areas; 86% of forests is subject to limitation of use connected to soil protection and water cycle regulation, and 100% is under the landscape conservation law. Italy is also home of one of the largest economies of wood transformation, but 80% of the raw material is imported, which implies several environmental, socio-economic, and ethical issues, both domestically and abroad. The conditions are ripe to plan for a responsible management of the natural capital in the country’s forests. A forest management that is active, shared, and conscious of domestic and global implications will be the best chance to maintain and improve the ecosystem services provided by forests in Italy.

Keywords

Forest Cover, Forest Ecosystem Services, Natural Capital, Wood Harvesting

L’aumento della superficie forestale in Italia 

In Italia le foreste, la più grande infrastruttura verde del paese, sono in aumento da diversi decenni. Dopo aver raggiunto un minimo storico tra il XIX e il XX secolo (12% circa di coefficiente di boscosità) sono andate gradualmente aumentando fino a raggiungere quasi il 40% della superficie territoriale, secondo l’aggiornamento al 2017 dell’Inventario dell’Uso delle Terre d’Italia - IUTI ([35]). Dal 1990 a oggi i boschi hanno guadagnato oltre un milione di ettari, in media 800 m2 di nuove foreste al minuto, con un contemporaneo miglioramento strutturale dei boschi esistenti, che hanno visto incrementare la loro densità e la loro biomassa (Fig. 1).

Fig. 1 - Alpi biellesi (BI). In questi ultimi decenni l’espansione delle foreste è avvenuta soprattutto nella fascia alto-collinare e montana creando una matrice uniforme che, a fronte dei fattori positivi, ha anche dato origine ad una banalizzazione del paesaggio e creato i presupposti per la diffusione di incendi forestali di elevata magnitudo.

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Nel 2018, per la prima volta dopo secoli, il territorio nazionale coperto da foreste ha superato quello utilizzato a fini agricoli. L’espansione del bosco è stata principalmente provocata dall’abbandono dei territori divenuti marginali per l’agricoltura e dalla riduzione dell’utilizzo dei pascoli per attività zootecniche, ed è avvenuta in contemporanea a una graduale diminuzione delle utilizzazioni forestali. Pur tenendo presente l’ampio margine di incertezza che caratterizza le informazioni disponibili sui prelievi nei boschi italiani, si può ipotizzare che attualmente nel nostro paese si utilizzi circa un quarto dell’incremento annuo: su circa 4 metri cubi di legname ad ettaro che si accumulano ogni anno in foresta per i processi di accrescimento, solo 1 viene utilizzato per la produzione di diversi assortimenti legnosi (ma soprattutto per legna da ardere). Questo tasso di prelievo è il più basso dell’Europa continentale (e il più basso in assoluto in Europa dopo Cipro), dove la media è superiore al 50% ([21]).

La naturale ricostituzione ed espansione del bosco è stata accompagnata negli ultimi decenni da una particolare attenzione alla conservazione e valorizzazione degli aspetti naturalistici. Le foreste migliori sono state oggetto di protezione fin dagli anni ’70 e, ad oggi, oltre il 27% delle foreste italiane è soggetto a regimi particolari di tutela: dalle Riserve integrali dei Parchi nazionali e regionali, fino alle aree inserite nella rete europea Natura 2000 ([32], [20]). L’Italia è uno dei paesi europei con la più alta incidenza di foreste con vincolo naturalistico (Tab. 1) a fronte di una media europea del 21%. Ma anche nei boschi non compresi in aree protette il regime di tutela è tra i più rigorosi d’Europa: un proprietario forestale (pubblico o privato) non ha mai la piena disponibilità del bene, ma l’utilizzo della foresta è sempre subordinato all’interesse pubblico ([46]). Infatti, fin dal 1923 la maggior parte delle foreste italiane (attualmente l’86.7%) è soggetta al vincolo idrogeologico che riconosce alle foreste un ruolo importante nella regimazione delle acque e impone per questo prescrizioni e limitazioni alle modalità di gestione. Fin dal 1985 il 100% delle foreste (caso unico in Europa) è anche soggetto a vincolo paesaggistico. Questa politica ha quindi portato l’Italia ad avere un patrimonio forestale che, a confronto con quello di altri paesi europei (Tab. 1), ha alti gradi di protezione e naturalità.

Tab. 1 - Principali indicatori su dinamica e struttura delle foreste, potenzialità produttiva, naturalità e grado di protezione. Fonte: Ministerial Conference on the Protection of Forests in Europe - Forest Europe, Liaison Unit Madrid, State of Europe’s Forests 2015 (⇒ http:/­/­www.foresteurope.org/­docs/­fullsoef2015.pdf). (‡): Riferito non al totale ma alle sole foreste vocate alla produzione (FAWS). (†): La superficie forestale spagnola comprende la dehesa (2.3 M ha), pascoli con copertura rada di leccio e sughera. (n.d.): non disponibile.

Indicatore Francia Germania Italia Spagna Regno
Unito
UE
Copertura forestale (%) 32.1 32.8 37.8 55.4 13.1 33
Crescita annuale superfice foreste 1990-2015 (%) 0.69 0.04 0.81 1.16 0.5 0.4
Biomassa (Volume cormometrico, m3 ha-1) 168.3 320.8 148.9 65.8 207.4 163
Crescita annuale dello stock biomassa 1990-2015 (%) 1.3 1.1 1.9 2.4 2.3 1.4
Incrementi medi annui (m3 ha-1 anno-1) ‡ 4.8 10.9 4.1 2.4 7.6 3.9
Prelievi/incremento annuo (%) 47.3 80.3 39.2 55.5 50.5 66.2
Area con piani di gestione (%) 100.0 100.0 19.2 19.5 43.8 70
Contributo attività forestali al Valore Aggiunto nazionale (%) 0.12 0.11 0.04 0.10 0.03 n.d.
Foreste con 1 specie dominante (%) 27.4 n.d. 30.1 18.1 n.d. 32
Foreste con 2-5 specie (%) 70.3 n.d. 68.1 57.4 n.d. 64
Foreste con > 6 specie (%) 2.3 n.d. 1.8 24.5 n.d. 4
Foreste a rinnovazione artificiale (%) n.d. 10.9 4.5 6.8 49.4 27
Foreste naturali senza disturbo antropico (%) 0.0 0.0 1.0 0.0 n.d. 4
Foreste seminaturali (%) 88.4 100.0 92.3 84.2 n.d. 87
Piantagioni fuori foresta (%) 9.1 0.0 9.1 15.8 n.d. 9
Necromassa (m3 ha-1) n.d 20.6 9.2 n.d. 3.9 11.5
Foreste soggette a vincolo di protezione naturalistico (Parchi e Natura 2000) (%) 17 21 27 8 4 21
Aree di protezione del suolo, acque e altri servizi ecosistemici (vincoli non di carattere naturalistico) (%) n.d. 48.2 99.9 36.0 n.d. n.d.
Aree gestite per conservazione in situ di risorse genetiche (%) 0.07 0.29 0.67 0.27 0 0.23

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Invecchiamento o abbandono? 

Questo quadro, apparentemente molto favorevole dal punto di vista delle politiche di protezione passiva, mostra anche alcune criticità ([53]). L’espansione delle foreste è avvenuta soprattutto nella fascia alto-collinare e montana a causa della crisi del settore primario, che un tempo era non solo il motore dello sviluppo economico e del lavoro, ma anche un importante presidio per la manutenzione del territorio. Una delle conseguenze sfavorevoli delle recenti dinamiche socio-economiche è stata, di riflesso, l’intensificazione agricola e la crescente urbanizzazione dei fondovalle, delle pianure e delle zone costiere, con tutto ciò che ne consegue in termini di perdita di sostenibilità ([52], [54]). Inoltre, l’avanzamento del bosco a scapito di fasce ecotonali e spazi aperti (come le praterie tutelate ai sensi della Direttiva Habitat), così come la chiusura delle radure e l’omogeneizzazione strutturale e compositiva dei popolamenti, possono in alcuni contesti esercitare effetti negativi a carico della biodiversità ([47], [2], [25], [9], [38]). Tale riferimento concettuale ha trovato recente riscontro anche nelle dichiarazioni di specialisti, da sempre molto critici verso una selvicoltura troppo orientata alla sola produzione, quali quelle di Jerry Franklin su Science ([15]) che mettono in evidenza come, all’interno di un comprensorio forestale, il valore ecologico degli ambienti più aperti e delle prime fasi di insediamento del bosco (early seral stages), sia dopo un disturbo naturale sia dopo una utilizzazione forestale, è altrettanto importante di quello delle fasi più mature (late seral stages).

L’abbandono delle attività selvicolturali può avere effetti negativi anche sull’esposizione ai rischi naturali. Per quanto riguarda gli incendi, la cui frequenza e intensitàè prevista in aumento negli attuali scenari climatici ([55]), è noto dagli anni ’80 il “paradosso del fuoco”: la lotta senza quartiere a ogni incendio ha generato, sia negli Stati Uniti che in Europa, un aumento della massa legnosa e della continuità orizzontale e verticale del combustibile, cosa che, all’inevitabile passaggio del fuoco, contribuisce a generare incendi più intensi ed estesi ([6], [58]). Un fenomeno simile può avvenire in seguito all’abbandono delle attività selvicolturali e nelle diverse aree di ricolonizzazione naturale: nei grandi incendi del 2017 in Piemonte, ben l’11% della superficie bruciata era occupata da boschi secondari in espansione spontanea su ex terreni agricoli (fonte: IPLA, dati non pubblicati).

Gli impatti economici di questa situazione sono significativi e in crescita al punto che i costi della lotta aerea per lo spegnimento degli incendi sono arrivati a superare la spesa programmata (e non sempre effettivamente sostenuta) per le misure forestali 8.5 e 8.6 dei Piani di Sviluppo Rurale, ovvero degli unici investimenti pubblici attualmente previsti per il miglioramento della gestione forestale e l’aumento della resilienza dei boschi ([49]). Secondo una logica consolidata nel nostro Paese, la spesa pubblica per la prevenzione è tristemente inferiore ai costi per la (parziale) riparazione del danno, senza conteggiare i costi ambientali ad esso collegati.

Allo stesso modo, foreste che non siano attivamente gestite, in particolar modo quelle abbandonate dopo un’intensa gestione precedente (ad esempio, fustaie non diradate o cedui non ordinariamente gestiti) possono attraversare fasi strutturali caratterizzate da una scarsa efficacia nel contrastare alcuni fenomeni di dissesto idrogeologico (Fig. 2), come la caduta massi ([31]), determinando un aumento del rischio per le persone che abitano o frequentano la montagna ([41], [7]).

Fig. 2 - (a) Particella forestale (Ludrin, TN) nella quale da decenni non si fanno interventi selvicolturali. In questo caso la scelta gestionale è stata quella di lasciare questa parte della foresta alla dinamica naturale per valorizzare gli elementi di naturalità (con pagamento di indennizzo al Comune proprietario). (b) Bosco ceduo invecchiato (Coazze, TO) in cui il non intervento sta provocando problemi di dissesto sul versante e quindi non è opportuno lasciare il popolamento alla dinamica naturale, ma occorre intervenire per mantenere la stabilità e la funzione protettiva del versante .

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Questi esempi rendono chiaro il ruolo che la gestione forestale sostenibile può assumere in determinate situazioni nel mantenere elevati livelli di biodiversità, tanto nel paesaggio quanto nel singolo bosco, nell’aumentare la resilienza e resistenza dei popolamenti agli eventi estremi (si pensi ad esempio all’elevata vulnerabilità dei rimboschimenti di pino o alla problematica delle specie aliene invasive - [39], [56]) e nel garantire che la foresta continui a fornire beni e servizi in grado di migliorare la qualità della vita delle persone ([37], [59]).

Questo non significa che l’evoluzione naturale svolga sempre un ruolo negativo: l’invecchiamento e lo sviluppo naturale di foreste che sono state in passato pesantemente modificate dalla mano umana può generare spesso situazioni di alto valore ecologico-strutturale, favorevoli alla bellezza del paesaggio e soprattutto alla biodiversità, con grandi alberi e accumulo di legno morto, e con la comparsa di fasi senescenti o di crollo molto complesse dal punto di vista strutturale ([30], [43]). In Italia non esistono foreste primarie, perché il 100% della copertura forestale è stato utilizzato e modificato dall’uomo da più di 2000 anni ([42]). Esistono però lembi di boschi vetusti, che svolgono un ruolo fondamentale dal punto di vista ecologico-funzionale ([4]), e che rappresentano possibili modelli di riferimento per guidare le scelte gestionali in popolamenti della stessa categoria forestale ([43]).

È dunque estremamente importante distinguere l’incuria e l’abbandono, che possono comportare degradazione, alterazione o banalizzazione di alcuni habitat e non sempre un arricchimento in termini di biodiversità, dalla dinamica di invecchiamento naturale quale scelta gestionale consapevole, monitorata e orientata. Le situazioni di ricolonizzazione e di invecchiamento vanno valutate caso per caso: laddove ricolonizzazione spontanea o invecchiamento compromettono la funzione prioritaria che l’uomo desidera dal bosco (ad esempio, conservazione di specie vegetali o animali di ambienti aperti, aree ad alta pericolosità per incendi, caduta massi nella vicinanza di insediamenti), la gestione attiva può indirizzare la struttura del bosco verso caratteristiche più appropriate, mentre in altri casi si può privilegiare la dinamica naturale (anche al di fuori dell’oltre 27% di foreste che già godono di elevata tutela naturalistica).

Filiere locali, conseguenze globali 

Va poi attentamente considerato il tema delle filiere economiche legate al bosco. L’Italia è uno dei più importanti paesi del mondo nella trasformazione del legname. La “filiera legno”, cioè l’insieme delle attività imprenditoriali dalla gestione al taglio del legname e sua trasformazione nel prodotto finito, genera l’1.6% del PIL e dà lavoro ad oltre 300.000 persone, senza considerare l’indotto (fonte: ISTAT). Il nostro Paese è uno dei più importanti produttori ed esportatori di mobili e ha una consolidata capacità produttiva nel settore cartario e del packaging, tutte attività economiche coerenti con i principi-guida della “circular bio-economy” ([26]), cui l’Unione Europea (UE) ha aderito pienamente per la sua strategia di sviluppo al 2030. A questi processi su larga scala va aggiunto il trend positivo del mercato delle costruzioni in legno, con una produzione in aumento del 7.7% dal 2010 al 2014, anno in cui si attestava intorno ai 602.5 M € ([34]). Questo comparto ha assunto un ruolo particolarmente significativo anche nell’ambito della ricostruzione post-sisma in Appennino, come dimostrato ad esempio dal progetto “Amate Amatrice”, presentato dall’architetto Stefano Boeri ([3]).

Tuttavia, la capacità produttiva del settore industriale e artigianale si è mantenuta e consolidata non nella logica di un “sistema foresta-legno” nazionale, progettato e pensato al pari di quello agricolo, ma con un progressivo divario tra la domanda interna di materie prime e le attività forestali produttive, che ha avuto come conseguenza la crescente dipendenza dall’importazione di legname e semilavorati dall’estero. L’Italia è diventata la seconda importatrice netta di prodotti legnosi in Europa (dopo il Regno Unito), per un valore complessivo di 3 miliardi di euro (oltre l’80% del fabbisogno è importato dall’estero secondo dati di Ferderlegno-Arredo e Conlegno). Questo processo di destrutturazione del sistema ha riguardato innanzitutto le imprese boschive e di prima trasformazione industriale, ma anche le filiere di diversi prodotti forestali non legnosi, come castagne, funghi, pinoli, sughero; tutti prodotti che nel passato vedevano l’Italia avere un ruolo di eccellenza e che spesso potrebbero ancora rappresentare grandi opportunità per le strategie locali di sviluppo dell’economia delle aree interne.

Questa contraddittoria situazione di espansione della foresta sul territorio nazionale e di progressivo aumento della dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di prodotti forestali comporta il verificarsi di problemi di carattere (a) ambientale, (b) sociale ed economico e, certamente non da ultimo, (c) etico.

(a) A differenza di quanto avviene in Italia e negli altri paesi ad alto tasso di sviluppo economico, le foreste del sud del mondo sono soggette ancora a forti processi di degrado e deforestazione ([57], [23]), direttamente proporzionali all’aumento della popolazione (Fig. 3) e inversamente proporzionali al Prodotto Interno Lordo ([18] - Tab. 2). Per degrado si intende diminuzione o perdita della capacità di erogare i servizi ecosistemici richiesti, mentre per deforestazione si intende la perdita “permanente” della copertura forestale. La deforestazione in Italia è vietata dalla legge, con limitate eccezioni soggette ad un iter autorizzativo che coinvolge tre ministeri (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) e che, nei casi particolari in cui viene autorizzata, prevede comunque delle compensazioni. In Italia la deforestazione è mediamente (1990-2008) di circa 7000 ha all’anno (a fronte di un aumento di superfice forestale di circa 37000) ed è dovuta prevalentemente a costruzione di grandi infrastrutture, urbanizzazione e, in minor misura, agricoltura ([16]). L’UE è consapevole di questo problema e ha infatti emanato il Regolamento 995/2010 sulla Due Diligence che richiede una tracciatura di tutto il materiale legnoso venduto nella UE. Ciononostante, la Commissione Europea stima che il 25% del legname importato in Europa sia di origine illegale ([19]). Sebbene sia certamente auspicabile che la biodiversità venga conservata su tutto il pianeta, le foreste tropicali rappresentano uno degli hotspot di biodiversità più importanti della Terra ([44]). Poiché le foreste tropicali sono caratterizzate da una resilienza molto più bassa rispetto alle foreste temperate ([28], [23]), la loro perdita e il loro degrado comportano pesanti impatti negativi sia sulla biodiversità globale che sul cambiamento climatico. Diversi lavori scientifici hanno infatti dimostrato come l’importazione di legname possa provocare l’esportazione di impatto ecologico ([40]) ed emissioni di CO2 in atmosfera ([33]) in altri Paesi, anche perché il trasporto di grandi quantità di legname su lunghe distanze richiede un significativo consumo di combustibili fossili.

Fig. 3 - Andamento dell’aumento di popolazione confrontato con la copertura forestale a livello mondiale (a) ed in Italia (b). Come si può notare, a livello mondiale l’aumento della popolazione è inversamente proporzionale alla variazione di copertura forestale, mentre in Italia questo andamento si è modificato a partire dall’inizio del XX secolo a causa di immigrazione e riduzione delle terre coltivate, espansione del bosco ed aumento delle importazioni di legname ([1], [61]).

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Tab. 2 - Variazione della copertura forestale (M ha) 1990-2015 per gruppi di paesi a diverso reddito pro-capite medio (reddito alto > 12746 US$, medio-alto 4126-12745 US$, medio-basso 1046-4125 US$, basso <1045 US$ - [63]).

Reddito Superficie forestale 1990 Superficie forestale 2015 Variazione %
Alto 1 809 1 830 1.2
Medio-alto 1 259 1 228 -2.5
Medio-basso 591 533 -9.8
Basso 464 398 -14.2

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Analizzando i volumi delle importazioni, l’insieme dei Paesi fornitori e il grado di illegalità che li caratterizza, è stato ipotizzato che l’Italia sia il primo importatore europeo di legname di origine illegale ([12], [29]). Una parte consistente, anche se non maggioritaria, di tali importazioni proviene da Paesi tropicali. Il risparmio nell’utilizzo delle foreste in Italia, oltre ad avere costi ambientali domestici legati all’abbandono, comporta quindi anche un danno ambientale a scala globale.

(b) Gli scenari per i prossimi decenni ([23]) evidenziano una riduzione della disponibilità di legname sul mercato globale, sia perché le risorse mondiali stanno diminuendo, sia perché molti Paesi in via di sviluppo ricchi di foreste si stanno comprensibilmente e correttamente organizzando per aumentare i livelli di trasformazione interna dei prodotti forestali. Di conseguenza, nel prossimo futuro non saremo in grado di mantenere gli attuali tassi di approvvigionamento dall’estero. Parallelamente a un incremento delle strategie di riciclo e di riuso del legno, in cui l’Italia è già oggi particolarmente virtuosa (vedi sotto), dovremo quindi valorizzare la produzione legnosa domestica, pur entro i limiti dettati dalla non sempre grande vocazione produttiva delle foreste italiane, e dalla necessità di mantenere l’erogazione di tutti i servizi ecosistemici richiesti alle foreste (inclusa la biodiversità e il sequestro del carbonio). Per incrementare la produzione legnosa italiana sarà quindi probabilmente necessario intensificare la produzione fuori foresta o in quelle porzioni di territorio maggiormente vocate da un punto di vista biofisico e adeguatamente servite da infrastrutture che consentano le utilizzazioni a costi ragionevoli. Si tratta quindi di progettare una “intensificazione sostenibile” nell’uso delle risorse, prevedendo, nei piani forestali di competenza regionale, di destinare porzioni di territorio prioritariamente a protezione diretta ed a conservazione della biodiversità, e altre in cui valorizzare la produzione, sempre nel rispetto dei criteri di sostenibilità (Fig. 4). In un’ottica di pianificazione, questo significa nuovamente saper distribuire sul territorio le funzioni prioritarie del bosco e i criteri gestionali più adeguati a garantirle, al fine di massimizzare l’erogazione complessiva di servizi ecosistemici, bilanciando quelli in antitesi tra loro ([60]).

Fig. 4 - Gestione del bosco e prelievo legnoso in Italia sono molto diversificati da regione a regione sia dal punto di vista delle modalità esecutive e sia dal punto di vista dell’intensità del prelievo. Uno dei distretti forestali che ha il più alto tasso di prelievo è la Provincia Autonoma di Trento (che ha una copertura forestale del 55%) che coniuga una alta produttività con la conservazione della biodiversità e l’erogazione dei servizi ecosistemici richiesti. Nelle foto (a) catasta di legname e (b) il bosco dove è stato fatto l’intervento (Tesero, TN, 2017) che ha previsto un prelievo di 600 m3 di legname su di una superficie complessiva di 10 ha.

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(c) Come già sottolineato, la deforestazione e il degrado delle foreste interessano soprattutto Paesi in via di sviluppo, nei quali il legname viene spesso tagliato illegalmente, in zone di conflitto o in assenza di norme o controlli che tutelino l’ambiente e la sostenibilità forestale. Questa attività impoverisce ulteriormente le popolazioni locali e contribuisce ai flussi migratori da questi paesi ai paesi più ricchi che importano il legname ([27]). Dall’altro lato, esiste anche una responsabilità nel garantire un equo sviluppo a livello nazionale, con particolare riferimento alle aree montane ed alle aree interne ([5]). Già la legge 97 del 1994 (Legge sulla montagna) richiamava la necessità di adottare per la montagna “formule di tutela e di promozione delle risorse ambientali che tengano conto sia del loro valore naturalistico che delle insopprimibili esigenze di vita civile delle popolazioni residenti”. Più recentemente, il problema è stato affrontato soprattutto dall’Agenzia per la Coesione Territoriale. Se vogliamo permettere ai territori montani ed alle aree interne di combattere la marginalizzazione sociale ed economica ed evitarne l’abbandono o la museificazione, dobbiamo promuovere un’economia che valorizzi, insieme ad altre risorse locali, anche quelle forestali: un insieme di filiere multifunzionali dal punto di vista sia biofisico che economico, che consentano di mantenere in vita anche il patrimonio culturale locale legato alla gestione forestale e alle attività di trasformazione dei prodotti forestali ([36], [48]). Limitarsi alla protezione passiva delle foreste e dei territori montani, oltre ai problemi già citati, richiederebbe interventi di compensazione per il mantenimento del tessuto economico-sociale e dei servizi ecosistemici non erogati (si pensi alla necessità di mantenere il mosaico di forme d’uso diverse del territorio) che avrebbero costi elevatissimi, anche umani e culturali, incrementando lo spopolamento in questi territori, rischiando di alimentare una politica assistenzialistica e accentuando la trasformazione degli abitanti in meri custodi passivi. A tutto ciò va aggiunto il valore storico-culturale di pratiche, attività e usi consuetudinari che costituiscono un bene immateriale di eccezionale importanza in svariati contesti rurali, nonché la prova tangibile dell’antico connubio tra uomo e natura nel nostro paese ([51]). Anche nelle foreste, il “valore relazionale” della natura è elemento costitutivo e peculiare alla base del sentimento di appartenenza alla collettività ([10], [50]).

Opportunità per una filiera legno multifunzionale e sostenibile 

L’utilizzo del legname nelle attività produttive del paese dovrebbe essere anzitutto ispirato da una scala di priorità legata ai principi della bioeconomy ([8]): riduzione dell’intensità dell’impiego delle materie prime grezze, miglioramento dell’efficienza, estensione del ciclo di vita dei prodotti, gerarchia negli usi del legno con preferenza per quelli legati ai materiali rispetto all’energia, selezione delle risorse per ottimizzare la resa dei singoli assortimenti, approccio “a cascata” con il riciclo e il riuso delle materie prime e l’impiego delle biomasse a fini energetici solo quando non ci sono alternative migliori ([13]). L’Italia ha raggiunto un livello record su scala europea nel riciclaggio di prodotti legnosi a fine ciclo (Tab. 3), tanto da diventare esportatrice netta di questi prodotti. Di fatto, se si esclude l’importazione, la produzione industriale italiana di prodotti finiti in legno utilizza più materiale proveniente dalle fasi finali della filiera (riciclo e riuso) che dalle foreste nazionali, che pure costituiscono una delle poche materie prime naturali disponibili e rinnovabili nel nostro Paese. È questa una condizione paradossale: da un lato il sistema ha, cosa certamente positiva, un’elevata circolarità, dall’altra c’è l’aspetto negativo legato alla scarsa valorizzazione delle risorse forestali del paese. In effetti, l’offerta interna di legname si è “specializzata” nella legna da ardere, ovvero nell’assortimento a minor valore aggiunto, non di rado collegato a una economia informale e ad operatori boschivi non adeguatamente formati (da qui anche il problema della scarsa attendibilità dei dati statistici su queste attività). Nella sostanza l’Italia sta seguendo una direzione opposta a quelle indicate nella Strategia forestale dell’UE che afferma che “nel settore forestale, l’uso efficiente delle risorse equivale a ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente e sul clima nonché a dare priorità alle produzioni forestali dal maggiore valore aggiunto, a creare più posti di lavoro e a contribuire a un migliore bilancio del carbonio. L’uso “a cascata” del legno risponde a questi criteri” ([14], p. 6).

Tab. 3 - Il materiale legnoso grezzo per l’industria italiana del legno nel 2016 (metri cubi equivalenti, dati in migliaia)*. Per l’approvvigionamento interno dell’industria italiana che produce segati, pannelli, paste-carta, mobili, imballaggi e altri prodotti legnosi industriali semilavorati e finiti il recupero-riuso costituisce una fonte di materiale grezzo molto più significativa del legname prelevato dai boschi nazionali. (*): Per facilitare la lettura i dati sono stati trasformati in metri cubi equivalenti utilizzando i fattori di conversione UNECE ripresi da: ⇒ https:/­/­www.unece.org/­fileadmin/­DAM/­timber/­meetings/­forest-products-conversion-factors.pdf. Fonti: FAO (⇒ http:/­/­www.fao.org/­faostat/­en/­#data/­FO) e UNECE (⇒ http:/­/­www.unece.org/­forests/­fpm/­onlinedata.html). Il dato della produzione di cippato, particelle e scarti in legno è di fonte RILEGNO.

Materiale Produzione Import Export Consumo
apparente
Legname grezzo ad uso industriale
dai tagli
2 364 2 911 170 5 105
Cippato, particelle, scarti in legno
da riutilizzo
1 063 179 198 1 044
Fibre di pasta cartaria recuperate 8 446 13 2 8 456
Carta da macero 24 620 1 319 7 372 18 567
Totale materie prime grezze (da foreste e da ri-usi) per le produzioni industriali 36 496 4 422 7 742 33 173

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L’utilizzo del legno permette inoltre di ridurre in modo significativo le emissioni di CO2 in atmosfera, quando questo viene prelevato utilizzando corretti criteri selvicolturali e impiegato al posto di materiali che, per essere prodotti, generano più emissioni di CO2 a parità di peso e caratteristiche. È il caso dell’alluminio, della plastica per imballaggi, di molti prodotti a base di petrolio sostituibili con bioplastiche, prodotti tessili (viscosa), e molti altri prodotti bio-chimici. E anche il caso del cemento armato nel settore edile, la cui produzione genera il 5% di tutte le emissioni mondiali (la seconda industria a maggiore tasso di emissioni in assoluto). Sostituire il cemento armato con il legno in edilizia è possibile, anche per edifici ad ampio sviluppo verticale. Il legno così impiegato continua a trattenere a lungo il carbonio che ha immagazzinato durante il suo ciclo vitale; se prelevato in maniera responsabile, ha quindi un’impronta di CO2 molto più bassa del materiale che sostituisce ([11]). Ciò è facilmente dimostrato dal fatto stesso che i prodotti in legno con ciclo di vita medio-lungo dovranno essere contabilizzati in base all’Accordo di Parigi nelle misure nazionali per la mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

Nel fornire materiale ed energia per questi usi “di sostituzione”, la gestione forestale sostenibile assicura inoltre che la foresta continui il suo ciclo anche dopo il taglio, favorendo come primo obiettivo la rinnovazione naturale. In questo modo, una nuova generazione di alberi continuerà ad assorbire carbonio al posto di quella vecchia, riducendo il rischio che il suolo (che contiene circa la metà del carbonio immagazzinato negli ecosistemi forestali) resti scoperto a lungo e perda il carbonio immagazzinato al suo interno a causa della respirazione eterotrofa o dell’erosione. In alcune situazioni, “ringiovanire” la foresta senza intaccare i boschi vetusti o i boschi che hanno particolare valore naturalistico può anche aumentare la sua capacità di mitigazione, perché gli alberi giovani assorbono carbonio più velocemente e efficacemente di quelli grandi e vecchi, che talvolta possono trasformarsi in emettitori netti di CO2, anche nelle foreste temperate europee ([45]).

Infine, nel rispetto del principio dell’uso “a cascata” delle risorse affermato dalla Strategia forestale dell’UE, un aumento sostenibile dell’impiego di legno per fornire materiali di sostituzione avrebbe come effetto secondario un aumento della disponibilità di biomasse legnose per produrre energia (scarti “secondari” di lavorazione in segheria e residui “primari” delle utilizzazioni forestali in bosco), in particolare termica e da cogenerazione, sostituendo alcune fonti fossili a più alto tasso di emissione di CO2. L’Italia deriva attualmente il 17.4% del proprio consumo energetico da fonti rinnovabili ([22]), e tra queste il 20% sono biomasse legnose (fonte: Piano di Settore per le Bioenergie del MiPAAF), per un consumo di 25.5 Mt utilizzate nel 2016 (fonte: Strategia Energetica Nazionale 2017). Di questi, il 60% viene attualmente utilizzato per consumi residenziali (15.9 Mt di legna da ardere e 1.9 Mt di pellet). L’imminente revisione della Strategia europea per l’energia rinnovabile richiederà probabilmente un aumento della percentuale di energia ricavata da fonti rinnovabili fino al 30% del fabbisogno energetico totale. L’intensificazione sostenibile della gestione forestale può contribuire al raggiungimento di questo obiettivo, a patto di avviare una decisa strategia di ammodernamento degli impianti per evitare conseguenze negative a carico della qualità dell’aria - il parco installato degli impianti a biomassa presenta un fattore emissivo medio di PM10 pari a 400 g GJ-1, quando le apparecchiature che impiegano gasolio o GPL o gas hanno un fattore emissivo medio compreso fra 0 e 4 g GJ-1 (fonte: Strategia Energetica Nazionale 2017).

L’UE è consapevole di tutte queste potenzialità e sta agendo per coglierle, con una prospettiva riassunta dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 28 aprile 2015 “Una nuova strategia forestale dell’UE: per le foreste e il settore forestale” ([14]) in cui sono richiamate tutte le problematiche precedentemente discusse (Box 1). Tale strategia è supportata nella sua implementazione da un ampio set di criteri e indicatori di gestione forestale sostenibile a scala europea che tengono conto della complessità di funzioni, beni e servizi connessi alla risorsa forestale (Fig. 5), affiancati da indicatori che analizzano il livello di naturalità degli ecosistemi forestali consentendo di monitorarne lo status attuale e le possibili future variazioni ([17]).

Box 1 - Punti salienti della “Nuova strategia forestale dell’Unione Europea: per le foreste e il settore forestale” con particolare riferimento alla situazione del comparto forestale Italiano relativamente alle sfide globali ed al miglioramento nell’uso delle risorse ([14]).

Sfide globali - Protezione dell’ambiente e cambiamento climatico

(78) La gestione forestale sostenibile incide positivamente sulla biodiversità e sull’attenuazione delle conseguenze del cambiamento climatico e può ridurre il rischio di incendi forestali, di danni da attacchi parassitari e di malattie; (79) L’Unione si è prefissa per il 2020 l’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici, compresa l’impollinazione, di preservare gli ecosistemi e i relativi servizi e di ripristinare almeno il 15% degli ecosistemi degradati; aggiunge che l’Unione ha inoltre convenuto che la gestione forestale deve essere sostenibile, che le foreste, la loro biodiversità e i servizi che offrono devono essere protetti e rafforzati nei limiti del fattibile, e che la resilienza delle foreste ai cambiamenti climatici, agli incendi, alle tempeste, alle infestazioni di parassiti e alle malattie deve essere migliorata; sottolinea inoltre che è necessario sviluppare e attuare una strategia rinnovata per le foreste dell’Unione che tenga conto sia delle numerose esigenze, sia dei vantaggi delle foreste e che contribuisca a un approccio più strategico alla protezione e al miglioramento delle stesse, anche attraverso una loro gestione sostenibile; (83) Gli Stati membri sono esortati a definire la loro politica forestale in modo da tenere pienamente conto dell’importanza delle foreste in termini di protezione della biodiversità, prevenzione dell’erosione del suolo, garanzia di cattura del carbonio, purificazione dell’aria e mantenimento del ciclo dell’acqua; (88) Esiste profonda preoccupazione per il ritmo della deforestazione in tutto il mondo e specialmente nei paesi in via di sviluppo, spesso a causa dell’abbattimento illegale di alberi; (92) I siti Natura 2000, grazie alla presenza di straordinarie risorse naturali, è possibile produrre beni e servizi forestali di grande valore ambientale e culturale.

Efficienza nell’uso delle risorse - Il legno come materia prima sostenibile (gestione sostenibile delle foreste)

Il Parlamento Europeo: (32) mette in evidenza che l’uso del legno e di altri prodotti a base di legno come materie prime rinnovabili e non dannose per il clima, da un lato, e una gestione sostenibile delle foreste, dall’altro, svolgono un ruolo importante per il conseguimento degli obiettivi sociopolitici dell’UE, come la transizione energetica, la mitigazione e l’adeguamento al cambiamento climatico e la realizzazione degli obiettivi previsti dalla strategia Europa 2020 e di quelli relativi alla biodiversità; osserva che la mancata gestione attiva delle risorse forestali sarebbe in contrasto con la realizzazione di tali obiettivi; (33) sottolinea che le foreste sottoposte a gestione presentano una capacità di assorbimento di CO2 superiore a quella delle foreste non gestite ed evidenzia l’importanza della gestione sostenibile delle foreste nell’ottimizzazione del potenziale di cattura del carbonio delle foreste dell’UE; (34) è convinto che le foreste non debbano essere considerate soltanto come serbatoi di carbonio; (39) riconosce il valore del legno destinato a fini energetici quale mezzo per combattere la povertà energetica, contribuire agli obiettivi in materia di energia rinnovabile del quadro 2030 per il clima e l’energia e aprire nuove opportunità commerciali; (41) ritiene che una gestione forestale sostenibile debba fondarsi su principi e strumenti generalmente riconosciuti e accettati, come i criteri e gli indicatori per una gestione sostenibile delle foreste, che devono sempre essere applicati all’intero comparto, a prescindere dall’utilizzo finale del legname; (45) ritiene che i piani di gestione forestale, o gli strumenti a essi equivalenti, possano rappresentare altrettanti strumenti strategici importanti in vista dell’attuazione di misure concrete a livello delle singole imprese, della pianificazione a lungo termine e dell’applicazione di una gestione sostenibile delle foreste europee; sottolinea, tuttavia, che l’attuazione delle misure concrete contenute in siffatti piani a livello di azienda forestale deve rimanere soggetta alle normative nazionali; (47) plaude a una netta separazione tra i piani di gestione forestale e i piani di gestione di Natura 2000.

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Fig. 5 - Indicatori di gestione forestale sostenibile (in nero) e indicatori complementari (in blu) a livello pan-Europeo e in relazione alla filiera foresta-legno ([62]).

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Come già discusso, rispetto agli obiettivi ambientali proposti dall’UE, l’Italia è all’avanguardia, specialmente nella protezione di habitat e biodiversità, grazie ad una estesa rete di Parchi e di siti Natura 2000 (per i quali è previsto piani di gestione ad hoc e misure sito-specifiche per la conservazione degli habitat e delle emergenze naturalistiche), e alla adesione, sia a livello nazionale che delle singole Regioni e Province autonome, ai principi della gestione forestale sostenibile, della conservazione del profilo multifunzionale delle foreste ([24]), e degli accordi internazionali sulla mitigazione dei cambiamenti climatici. Al contrario, le nostre principali carenze riguardano l’efficienza dell’uso nelle risorse, il grado di sviluppo della bioeconomia, il ruolo sociale delle foreste nella aree rurali, l’attenzione alle conseguenze nei Paesi in via di sviluppo, e la diffusione della pianificazione forestale (ferma al 19% dei boschi italiani) che, secondo le indicazioni dell’UE, è uno strumento insostituibile per garantire la quantità e la qualità dei servizi ecosistemici forniti dalla foresta, la loro sostenibilità e la loro erogazione continua nel tempo. A tal fine si sottolinea che:

  1. la pianificazione multilivello (aziendale - territoriale - regionale) è fondamentale per prevedere e orientare lo sviluppo dei popolamenti in relazione ai loro servizi ecosistemici ritenuti prioritari, in accordo con tutti i portatori d’interesse locali e in ottemperanza del quadro normativo di riferimento;
  2. pianificare non è necessariamente sinonimo di “tagliare”. Il pianificatore ha sempre la possibilità di scegliere opzioni diverse in accordo con le funzioni e servizi che una data foresta è chiamata a svolgere in quel territorio e con le aspettative locali, le esigenze nazionali e globali;
  3. la pianificazione forestale deve rappresentare un momento di sintesi tra esigenze diverse di offerta di servizi ecosistemici, per bilanciare le diverse necessità dell’uomo con le capacità e il funzionamento dei popolamenti forestali;
  4. il raccordo tra le diverse scale geografiche, da quella aziendale a quella nazionale e internazionale, rappresenta la condizione essenziale per il raggiungimento degli obiettivi globali e la loro attuazione sul territorio;
  5. la scala locale (aziendale o comprensoriale) rappresenta il livello attuativo delle politiche internazionali, e restituisce al decisore informazioni ed esiti con cui verificare e migliorare le politiche stesse, secondo la logica della gestione adattiva e scientificamente basata che garantisca l’effettivo raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità (nel tempo e nello spazio).

Conclusioni 

In questi ultimi decenni le foreste italiane hanno visto una forte espansione. Accanto a questa espansione le foreste hanno acquisito, nell’immaginario collettivo, un ruolo importante dal punto di vista ambientale e paesaggistico. Ad esse viene richiesta l’erogazione di sempre più numerosi servizi ecosistemici che possono migliorare la qualità della vita e il benessere complessivo del nostro paese. Attualmente non valorizziamo tutte le potenzialità di questo capitale naturale e questo comporta una serie di problemi di carattere ambientale, socio-economico ed etico. In questo nuovo contesto, totalmente diverso da quello che aveva motivato una politica di rigido controllo delle risorse nel passato, il criterio generale di riferimento della politica forestale nazionale non può più essere vietare o limitare fortemente le attività di prelievo per proteggere e ricostruire un patrimonio degradato, ma deve essere quello di gestire il patrimonio, valorizzandolo economicamente e culturalmente, anche per ridurre i costi della sua tutela, aumentare l’efficacia della conservazione e della fornitura dei servizi ecosistemici, e renderlo più resiliente ai cambiamenti climatici in corso e futuri. La pianificazione forestale, anche in base alle indicazioni dell’UE, è lo strumento insostituibile sia per garantire l’attuazione degli obiettivi naturalistici e paesaggistici, sia l’erogazione, nel tempo e nello spazio, degli altri servizi ecosistemici. Abbiamo la responsabilità di gestire questo capitale naturale in modo attivo, partecipato, consapevole delle conseguenze locali e globali, e attento a mantenerne il ruolo multifunzionale.

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