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Book Review: Disasters and their relation with forests - Three case studies to support extreme events management

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 18, Pages 15-19 (2021)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3764-018
Published: Jan 27, 2021 - Copyright © 2021 SISEF

Book Reviews

Abstract

This book review is a reworked and translated version of the synthesis from the report “Forest-related disasters - Three case studies and lessons for management of extreme events” by H. van Hensbergen and J. Cedergren, published by the Food And Agriculture Organization (FAO) of the United Nations. The volume describes the complex relationship between disasters and forests, defining the multiple roles that trees play during environmental disasters and how much this affects human activities. After a brief general introduction, the description continues through the analysis of three catastrophic events that occurred since the beginning of this century. The chronicle and the analysis of repercussions on forests and population of the storm Gudrun (Sweden, 2005), the Tohoku tsunami (Japan, 2011) and the firestorm in central Chile (Chile, 2017) are reported. From the synthesis of the three experiences, some lessons of management of extreme events are drawn, reported as a strategic suggestion to face, from a forestry point of view, the planning and reaction to catastrophic emergencies involving forests and trees.

Keywords

Forests, Disaster, Catastrophe, Emergency, Fire, Storm, Tsunami

 

Viene proposta, qui di seguito, una sintetica rivisitazione del report:

Van Hensbergen H, Cedergren J (2020). Forest-related disasters - Three case studies and lessons for management of extreme events. Forestry Working Paper No. 17, FAO, Rome, Italy, pp. 114. - ⇒ https:/­/­doi.org/­10.4060/­cb0686en

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2005 ha definito un disastro come “una grave interruzione del funzionamento di una comunità o di una società, a qualsiasi scala, a causa di eventi pericolosi che influiscono sulle loro condizioni di esposizione, vulnerabilità e capacità, che porta a uno o più dei seguenti effetti: perdite e/o impatti umani, materiali, economici e ambientali”.

I disastri determinano una notevole perdita di risorse economiche. Per esempio nella prima metà del 2019, nel mondo sono avvenuti circa 370 eventi catastrofici che hanno causato una perdita di 42 milioni di USD e la morte di circa 4200 persone. Tuttavia, sulla base delle osservazioni degli ultimi 30 anni è possibile affermare che:

  • non esiste una tendenza globale in termini di perdite economiche normalizzate causate da catastrofi negli ultimi decenni;
  • nonostante l’aumento del numero di eventi alluvionali verificatisi dagli anni ’90, le perdite economiche normalizzate derivanti dalle inondazioni sono diminuite significativamente nello stesso periodo;
  • sono invece aumentate significativamente le perdite causate da eventi convettivi (tempeste), molto probabilmente a causa del riscaldamento globale;
  • gli investimenti strategici, soprattutto nella prevenzione delle inondazioni fluviali, sembra abbiano ripagato molte volte il loro costo.

I disastri e le foreste 

È noto che le foreste sono normalmente soggette a disturbi che ne determinano la variazione del grado di copertura ([9]). Questi disturbi, che sono il motore della biodiversità che le foreste conservano, sono distribuiti lungo un gradiente che va dai disturbi a piccola scala (a livello di albero) fino ai disturbi “catastrofici” con superfici di centinaia, migliaia o addirittura milioni di ettari che in un brevissimo lasso di tempo risultano privi di copertura ([4], [8]). Tuttavia, nella letteratura scientifica è possibile trovare molteplici studi che confermano che tutti questi disturbi hanno un loro effetto positivo sulla biodiversità sia a breve termine - soprattutto i disturbi a scala medio-piccola - sia a lungo termine - in conseguenza dei disturbi di ampia scala definiti spesso come “disastri” ([17]).

Nonostante la comune percezione, i “disastri forestali” fanno dunque parte dell’ecologia e dell’evoluzione delle foreste. Tuttavia, durante e dopo i disastri forestali sono i rischi collegati al nostro rapporto con le foreste e le loro risorse che assumono un ruolo determinante. Le cause sono spesso originate da eventi naturali (cicloni, tempeste, vulcani, terremoti) ma possono assumere configurazioni assai complesse a causa delle interazioni tra gli elementi che entrano in gioco durante il disastro e del grado di preparazione ad affrontare l’emergenza che la popolazione locale ha predisposto.

Un elemento comune a molti disastri forestali è il fuoco. Gli incendi possono essere causa, concausa, effetto e/o conseguenza indiretta di molti disastri che avvengono in aree forestali. Sicuramente il rischio di incendi è maggiore laddove, anche a causa di disastri, si verificano abbattimenti diffusi di alberi e foreste. In questi casi, l’accumulo e la continuità del combustibile aumenta la probabilità che gli incendi siano di forte intensità e quindi difficilmente controllabili. Anche il ruolo della gestione forestale è molto dibattuto, anche se i grandi incendi forestali hanno una minore ricorrenza in foreste maggiormente gestite, spesso per il maggiore livello di sorveglianza e per la migliore viabilità che permette di intervenire più velocemente ed efficacemente nelle azioni di contrasto.

Durante le forti alluvioni, spesso associate a cicloni e tempeste, molti alberi vengono abbattuti e trascinati a valle dall’acqua, costituendo un elemento che aumenta i danni provocati dal disastro. L’urto del legname con cose e persone, la creazione di barriere che impediscono il deflusso controllato dell’acqua, l’ostruzione di vie di evacuazione e la necessità della loro rimozione - una volta cessata l’emergenza - sono solo alcuni degli effetti che gli alberi determinano durante questi disastri.

Altro elemento ricorrente nei disastri forestali è il vento. Durante le tempeste gli alberi vengono abbattuti in gruppi più o meno grandi. Questo aspetto non è secondario se si considera l’ingente problema di dover sgomberare la grande quantità di materiale legnoso spesso lasciata al suolo da una forte tempesta.

Le foreste forniscono beni e servizi ecosistemici e conseguentemente ad un disastro la loro capacità di fornire tali servizi può essere più o meno gravemente compromessa.

Il principale bene che forniscono le foreste è il legno. Sebbene, dopo un disastro questo bene sia spesso ancora disponibile, nella maggior parte dei casi può risultare non più idoneo al suo uso ordinario ([6]), può essere deprezzato, può eccedere la capacità di processare volumi di legname improvvisamente disponibili perché abbattuti ([3]). In quest’ultimo caso, prevedere una risposta organizzativa in termini di viabilità e capacità di stoccaggio delle risorse legnose può limitare significativamente le perdite economiche conseguenti al disastro.

Se dopo un disastro una parte delle risorse legnose può spesso essere recuperata, la capacità di una foresta di fornire beni non legnosi viene generalmente compromessa per un periodo più o meno lungo. In alcuni casi, quando il disastro provoca dei cambiamenti irreversibili nel bosco colpendo gravemente il suolo e le sue caratteristiche (ad es., eruzioni vulcaniche, tsunami etc.), i beni e i servizi ecosistemici forniti originariamente possono essere persi per periodi lunghissimi.

Il report FAO classifica i disastri forestali in funzione della velocità di insorgenza, della scala territoriale alla quale avvengono e della loro intensità (Tab. 1).

Tab. 1 - Schema di classificazione dei disastri connessi alle aree forestali (Fonte: [16]).

Insorgenza Intensità Scala
Piccola
(< 100.000 ha)
Media
(< 500.000 ha)
Grande
(> 500.000 ha)
Rapida bassa Inondazione, tsunami, tempesta - -
media Tempesta, inondazione Tsunami Ciclone
alta Valanga, tornado, eruzione vulcanica, incendio, frana Tempesta, tsunami Ciclone, tsunami
Lenta bassa - Malattia/ deperimento Malattia/ deperimento
media - Siccità Siccità
alta Colata di fango Eruzione vulcanica, inondazione, incendio Eruzione vulcanica, inondazione, incendio

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Di seguito sono descritti tre eventi disastrosi: una tempesta avvenuta nel Nord Europa (2005), uno tsunami in Giappone (2011) ed un vasto incendio in Cile (2017). In tutti e tre i casi l’impatto degli eventi è stato di alta intensità. La tempesta e lo tsunami sono stati disastri a rapida insorgenza (solo 20 minuti nel caso dello tsunami), mentre l’incendio ha impiegato quasi un mese per svilupparsi. L’area colpita dallo tsunami è stata relativamente limitata (circa 40.000 ettari, di cui circa il 10 per cento ha riguardato aree forestali), mentre sia le aree incendiate che quelle danneggiate dalla tempesta hanno superato i 100.000 ettari. Il bilancio delle vittime dello tsunami è stato di circa 20.000 persone. Il fuoco e la tempesta hanno causato 11 vittime ciascuno.

La tempesta Gudrun, nord Europa (2005) 

La tempesta Gudrun si è originata intorno alle 18 UTC del 7 Gennaio 2005 ad ovest dell’Irlanda ed ha poi proseguito in direzione Est-Nord-Est verso la penisola Scandinava e il Mar Baltico per dissipare la sua energia ben 6 giorni dopo in Russia dopo aver attraversato Regno Unito, Norvegia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania. Tuttavia la fase più violenta della tempesta si è conclusa il 9 gennaio nei pressi di San Pietroburgo. Sebbene l’evento non sia stato tecnicamente un vero e proprio ciclone, i venti hanno soffiato con una velocità pari a quella di un ciclone di classe 1 (120-140 km h-1 - [13]). Casi come la tempesta di Gudrun non sono rari in Nord Europa, tanto che la letteratura riporta un tempo di ritorno di circa 7 anni in quest’area e i paesi coinvolti sono interessati ogni circa 15 anni da eventi analoghi. La maggior entità dell’evento è avvenuta in Svezia che è stata allertata circa 36 ore prima, e 30 ore prima di essere colpita dalla tempesta, le centrali elettriche potenzialmente interessate avevano già attivato le squadre di emergenza.

Durante la tempesta la distribuzione elettrica ha subito numerose interruzioni. Sebbene le linee principali non hanno subito danni significativi, la distribuzione periferica è stata danneggiata da alberi e rami spezzati dal vento. La temperatura particolarmente calda della tempesta ha impedito il congelamento del suolo rendendo ancora meno stabili gli alberi ([14]).

I danni alle risorse forestali sono stati stimati in circa 272.000 ha di superficie forestale colpita e un volume legnoso abbattuto di circa 75 milioni di m3. Circa l’80% degli alberi erano abeti rossi con apparato radicale superficiale. L’abete rosso era stato favorito per via della sua maggiore resistenza ai danni causati dalle alci e i danni sono stati localizzati prevalentemente nelle particelle adulte.

Dopo la tempesta, dal punto di vista forestale, la maggiore emergenza è stata rappresentata dal recupero del legname atterrato. La capacità dei proprietari forestali locali è stata abbondantemente saturata e per questo mezzi e personale sono stati richiesti dai paesi vicini come Finlandia, Germania, Polonia e paesi baltici. Le operazioni si sono rivelate particolarmente urgenti per evitare che le pullulazioni primaverili di coleotteri scolitidi avvenissero in presenza di una enorme quantità di legno atterrato.

I danni causati dalla tempesta si sono manifestati anche sul tasso di accrescimento delle foreste colpite. Come conseguenza di una riduzione di circa 33 milioni di m3 di provvigione, l’incremento delle foreste danneggiate è risultato 1.8 milioni di m3 minore rispetto alle aree circostanti non danneggiate da Gudrun. Inoltre qualche anno dopo la tempesta è stata registrata una distribuzione sbilanciata delle classi di età con una prevalenza delle classi stramature e di quelle giovani e una mancanza delle classi intermedie. Gli interventi di diradamento sono stati sospesi per concentrarsi sull’asportazione del materiale abbattuto da Gudrun.

Nei tre anni successivi c’è stata una perdita delle produzione stimata in 3 milioni di m3 per effetto della riallocazione delle risorse negli apparati radicali sollecitati dal forte vento, mentre 1.5 milioni di m3 è stata la perdita stimata causata dalle pullulazioni di bostrico dopo Gudrun ([11]).

Oltre ai danni economici la popolazione ha subito impatti sociali molto forti soprattutto a livello psicologico. Il cambiamento del paesaggio ha disorientato le persone, le perdite economiche hanno causato forti depressioni degenerando in casi estremi anche nel suicidio. Anche la presenza di lavoratori stranieri venuti per asportare il legname ha causato problemi di incomprensione sia linguistica che culturale. Infine, l’enorme quantità di legname immessa sul mercato ha causato un crollo dei prezzi e forti ripercussioni economiche nelle attività forestali delle aree non colpite dalla tempesta.

Infine, dopo la tempesta i sussidi concessi per riforestare le aree danneggiate sono stati impiegati per ripristinare le specie preesistenti (abete rosso in prevalenza) senza nessun apparente cambio di consuetudine, soprattutto su pressione delle maggiori imprese forestali.

Il disastro causato da Gudrun ha avuto risvolti sulla politica e sulla governance svedesi. Infatti, sebbene il governo abbia riconosciuto che la reazione all’emergenza era stata adeguata, si sono verificate alcune lacune e sono stati apportati dei miglioramenti all’organizzazione delle squadre di emergenza. In particolare sono state evidenziate carenze nel flusso di informazioni tra autorità e pubblico e nei sistemi di condivisione delle situazioni di pericolo. Questi due aspetti hanno portato ad un rapido aggiustamento della governance in caso di crisi ambientale in Svezia, tanto che, due anni dopo, in occasione della tempesta “Per”, il sistema ha risposto più efficacemente sotto tre aspetti: consapevolezza dei ruoli delle singole unità e squadre, maggiore cooperazione tra di esse, maggiore coordinamento pubblico-privato, che ha agevolato la fase di ripristino post-evento.

Lo tsunami di Tohoku, Giappone (2011) 

L’11 marzo 2011 un terremoto di magnitudo 9.0 si è verificato circa 130 km al largo delle coste della regione di Tohoku nel nord-est del Giappone.

L’allarme tsunami è stato dato dopo appena 3 minuti dal servizio meteorologico giapponese, e dopo 20 minuti una fascia costiera di circa 2.000 km è stata colpita da onde altissime che, in alcuni punti, hanno raggiunto i 40 m. Circa 20.000 persone sono morte o scomparse, 130.000 case e 78 ponti distrutti; la marea ha raggiunto zone interne fino a 6 km dalla costa in pianura e fino a 15 km lungo il fiume Kitakami; 3660 ha di foresta costiera sono stati inondati, di cui 1.072 hanno subito un danno di entità superiore al 75% ([7]).

Sebbene il governo avesse previsto nella zona un sisma di magnitudo 7.4 in una finestra temporale di 30 anni, avesse un piano di segnalazione del terremoto e degli eventuali tsunami, avesse preparato la popolazione con esercitazioni e avesse costruito barriere fisiche artificiali e naturali (piantagioni arboree), la sottostima dell’entità dell’evento ha causato danni ingenti a cose e persone ([7]).

I danni agli alberi sono stati di diversa intensità a seconda della loro posizione (gli alberi sui rilievi sono stati risparmiati, quelli al piede dei versanti sradicati) e della loro funzione (quelli usati come barriere allo tsunami hanno resistito di più di quelli piantati come barriere all’aerosol marino). In generale, i fusti hanno subito una rottura in funzione dell’altezza dello tsunami. Con un fronte alto 3 m i fusti si sono spezzati al di sotto dei 20 cm, la soglia di rottura è salita a 30 cm per un fronte di 5 m di altezza. Tuttavia, molti alberi risparmiati dalla rottura del fusto sono morti nelle settimane successive per la modificazioni del suolo e delle sue caratteristiche. In alcuni casi il suolo è stato letteralmente scarificato, mentre nella maggior parte dei casi il livello di salinità ha superato la soglia di tolleranza degli alberi ([5], [15]).

Tuttavia gli alberi hanno funzionato da elementi di mitigazione. Il Giappone ha una tradizione secolare nell’uso di barriere forestali contro gli tsunami. A queste barriere tradizionali si sono aggiunte di recente quelle artificiali più costose, ambientalmente più impattanti e socialmente meno accettate ([15]). Tuttavia, la varietà delle situazioni e delle configurazioni di queste barriere ha permesso di poter valutare elementi positivi e negativi da implementare nelle strategie future. In particolare, le caratteristiche che hanno funzionato hanno permesso di trarre alcune considerazioni conclusive descritte di seguito.

  1. Le barriere naturali devono essere precedute da una barriera artificiale o essere molto larghe. In questo secondo caso gli alberi della parte frontale della barriera vengono divelti e, incastrandosi tra i fusti della seconda parte, rallentano il flusso della mareggiata.
  2. Gli alberi devono avere buona parte del fusto libero da rami: infatti, se la chioma viene interessata dal fronte dello tsunami la probabilità di essere divelti aumenta.
  3. Nelle barriere naturali ci sono alcuni punti critici (i piedi dei dossi su cui sono piantati gli alberi) che devono rimanere liberi dalla vegetazione per evitare la scarificazione del terreno e l’abbattimento degli alberi.

L’incendio del Cile centrale (2017) 

A differenza di terremoti, tsunami e tempeste, gli incendi hanno generalmente un avvio molto lento. L’incendio che ha colpito il Cile centrale tra Gennaio e Febbraio 2017 si è innescato lentamente (almeno due settimane) ed è durato più di un mese tra l’inizio e la fine. Questo incendio è stato uno dei più forti mai registrati, il suo fronte di fiamma ha raggiunto (durante la sua massima intensità) i 113.000 kW m-1, il più intenso mai misurato fino a quel momento.

Il Cile centrale ha un clima mediterraneo con un basso regime pluviometrico durante l’estate (da Ottobre a Marzo) che coincide con la stagione di maggiore incidenza degli incendi forestali. Nell’estate 2016-2017 il periodo di siccità è stato particolarmente marcato, tanto da costringere il governo cileno a dichiarare lo stato di allerta e a stanziare per quell’area 5 milioni di USD per misure di prevenzione degli incendi boschivi. Inoltre, la siccità ha raggiunto livelli molto elevati tanto che il contenuto idrico della parte fine del combustibile forestale è stata stimata intorno al 5%, valori che hanno preoccupato soprattutto nelle aree di interfaccia urbano/forestale ([1]). Tra Novembre e Dicembre molti incendi avevano iniziato a colpire la zona con un tasso di 10-20 focolai al giorno, impegnando le forze di lotta attiva. Tuttavia, tra il 14 e il 21 Gennaio il ritmo degli incendi è incrementato a 20-30 al giorno, superando la capacità delle squadre impegnate nello spegnimento. Alla già delicata situazione si è aggiunta l’eccezionale ondata di calore che ha colpito l’area il 25 Gennaio, creando le condizioni ideali per una vera e propria tempesta di fuoco (firestorm). Sebbene all’esterno degli incendi il vento soffiasse a 10-20 km h-1, all’interno le raffiche hanno iniziato a raggiungere i 100/130 km h-1 a causa dei moti convettivi causati dall’incendio stesso. In meno di 14 ore sono andati in fiamme oltre 140.000 ha. Il 60% dell’area interessata dal fuoco era costituita da rimboschimenti di specie esotiche, il 20% erano boschi naturali, il 18% macchia mediterranea, il resto campi e arbusteti ([2]). L’energia del fronte di fiamma è stata quasi 30 volte superiore a quella che è possibile contrastare con lo spegnimento diretto usando qualunque tecnologia disponibile. L’incendio è stato spento solo il 7 febbraio grazie alla concomitanza di condizioni climatiche più fresche e all’arrivo delle precipitazioni.

Per lo spegnimento sono stati impiegati mezzi e forze provenienti da 17 paesi (inclusa la Spagna) e hanno riguardato 15.973 persone, 135 mezzi d’opera, 10 elicotteri e 100 veicoli ([10]).

Visto il suo lento e complesso sviluppo, non è stata chiarita l’esatta dinamica delle cause dell’incendio. Tuttavia 40 persone sono state arrestate, principalmente per negligenza, alcuni di questi per piromania.

Grazie ad una efficace attività di evacuazione solo 11 persone hanno perso la vita nell’incendio. Tuttavia, 7.157 persone sono state in qualche modo danneggiate dell’incendio e 1.644 case completamente distrutte. Ingenti sono stati i danni alle infrastrutture di comunicazione e all’agricoltura. Circa 100 vigneti di alta qualità sono stati danneggiati direttamente, mentre molti altri hanno perso la produzione a causa dei depositi di fuliggine. Complessivamente sono stati stimati danni per 300 milioni di USD, e le attività di spegnimento sono costate oltre 100 milioni di USD. Complessivamente sono stati percorsi da incendio oltre 500.000 ha di vegetazione (375.000 ha di bosco); molte di queste aree presentavano habitat rari o di alto valore naturalistico.

Dopo l’incendio è stato realizzato un piano strategico che ha riguardato la mitigazione nel lungo periodo degli impatti sociali, finanziari e ambientali dell’incendio. Dal punto di vista forestale e ambientale, particolare attenzione è stata posta nella produzione di semenzali adatti al ripristino della vegetazione, che peraltro è parzialmente già adattata al passaggio del fuoco. Infatti, buona parte della vegetazione ha ricacciato spontaneamente dopo l’incendio, mentre l’emergenza più grave ha riguardato l’erosione del suolo, che è aumentata a causa della forte riduzione della copertura forestale. Pertanto, i maggiori sforzi si sono concentrati in opere di ingegneria naturalistica e sistemazioni idrauliche. Anche i rimboschimenti realizzati successivamente hanno avuto come finalità principale la stabilizzazione dei versanti. Infine, il recupero del legname è stato possibile su 2.200 ha (dei 9.000 previsti), mentre sulla restante superficie il legname si è deteriorato prima di poter essere recuperato.

L’effetto dell’incendio sulla politica e la governance cilene non è stato lineare e ancora c’è un forte dibattito sulla strategia da affrontare. Tuttavia il ricorso alle piantagioni di specie esotiche altamente infiammabili come pini ed eucalipti è stata molto criticata a favore di specie indigene che si sono dimostrate più resistenti al fuoco, come confermato dal fatto che in queste ultime aree l’incendio è stato più controllabile. Queste evidenze sono state implementate da parte dei servizi forestali cileni in una nuova politica di rimboschimento, che prevede anche indicazioni sulla modalità di distribuzione spaziale delle piantagioni e sulla discontinuità del combustibile forestale.

La lezione appresa 

La lezione appresa dai disastri descritti può essere riassunta in tre punti principali:

  • Per essere efficaci, le risposte ai disastri legati alle foreste richiedono una pianificazione preventiva. Ciò include la formazione di singoli soccorritori, di squadre di soccorso e di gerarchie appositamente costruite per rispondere alle emergenze. La formazione dovrebbe essere basata su simulazioni realistiche e dovrebbe avere un alto livello di ridondanza in modo che il sistema rimanga resiliente anche se parte del personale chiave non è in grado di svolgere il proprio compito. In molti casi la disponibilità di attrezzature ingegneristiche a livello regionale, comprese le attrezzature forestali da dispiegare rapidamente nei siti interessati dal disastro, costituirebbe un sicuro vantaggio.
  • Una parte importante della pianificazione è la strutturazione delle informazioni geografiche sull’ubicazione delle risorse critiche. Nel contesto delle catastrofi legate alle foreste, ciò dovrebbe includere i dettagli di contatto del personale forestale chiave, l’ubicazione delle attrezzature forestali, le principali vie di accesso ai luoghi interessati dal disastro e i siti per lo stoccaggio del legname.
  • Le condizioni che portano a catastrofi legate alle foreste non sono modificabili dall’uomo. Tuttavia, le aree soggette a pericoli naturali sono generalmente ben note e gli eventi stessi hanno probabilità variabile di verificarsi in qualsiasi momento. Ciò significa che, sebbene non sia possibile prevedere l’ora esatta dell’evento, la scala (spaziale e temporale) e il rischio possono essere stimati.

In conclusione, le foreste e gli alberi hanno un molteplice ruolo prima, durante e dopo i disastri stessi. Gli alberi possono sia mitigare il danno causato dal disastro, sia aggravare situazioni già critiche. Infatti, gli alberi possono essere un ostacolo alle esondazioni e agli tsunami diventando, a volte, anche dei rifugi temporanei. Allo stesso tempo, però, dopo il disastro gli alberi abbattuti sono un delicato elemento da gestire e contribuiscono a creare situazioni di maggior pericolo come incendi, barriere al deflusso delle acque o alle evacuazioni, substrato per infestazioni epidemiche di patogeni etc. Per questo motivo, il contrasto e la gestione delle catastrofi dovrebbero essere parte della formazione forestale.

Infine, un importante richiamo è fatto dal report FAO sull’uso dell’aggettivo “naturale” associato alla parola “disastro”. Secondo Smith ([12]), infatti, sebbene la causa di molti disastri sia naturale il loro impatto dipende in maniera sostanziale da fattori socio-economici. Pertanto bisognerebbe evitare di usarlo come camuffamento ideologico della componente sociale (e quindi prevedibile) degli eventi catastrofici.

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