The search for well-being in natural environments: a case study in the Covid-19 era
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 18, Pages 41-48 (2021)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3878-018
Published: Jul 04, 2021 - Copyright © 2021 SISEF
Research Articles
Abstract
Since March 2020, the COVID-19 pandemic has changed lifestyles in relation with the external environment, in particular nature. The permanence in natural environments, the relationship with the outside and with the green that surrounds us reveal, in general, important elements of personal and collective well-being, both during the usual daily life but also and above all in the current pandemic crisis, that has dramatically changed everyone’s life habits and has disrupted interpersonal relationships and the relationship with the outdoor world, often observed from a window. As part of the CNR FOE-Nutrage project “Nutrizione, Alimentazione e Invecchiamento attivo”, subtask 3.6.4 “Well-being search in natural environments”, a case study was conducted with the aim of investigating, through desk analysis and field surveys, the relationship between the environment and well-being on a sample of people over 65 years of age - considered at high risk during the current COVID-19 pandemic - residing mainly in Calabria (southern Italy) and Lombardia (northern Italy). The overall vision integrated good lifestyles and permanence in natural environments with the perspective of disease prevention and maintenance of the psycho-physical health. Results showed that the sample interviewed, despite having changed during the lockdown of March-April 2020 the type of environment frequented and reduced the time spent outside, did not give up walking, attending outdoor spaces and taking care of the house greenery (plants and terraces) for their psycho-physical well-being. The study is part of a vision extensively investigated by the scientific literature on the influence of environmental factors on the psycho-physical well-being of people, and, in particular, on the importance of ecosystem services and of the “Green-care”.
Keywords
Well-being, Environment, Active-aging, Ecosystem Services, Green Care, Covid-19
Introduzione
L’ambiente in cui ci si muove, sia in senso fisico che in senso relazionale, ha un forte impatto sul livello di benessere personale e collettivo, e non riveste pertanto un mero ruolo di elemento neutro che fa da sfondo ai comportamenti o alle relazioni tra individui. L’organizzazione dello spazio esterno, in un quartiere o in una città, può ad esempio stimolare il cammino, così come le attività da svolgere fuori casa e la socializzazione piuttosto che l’isolamento.
La relazione persona-ambiente, quest’ultimo inteso sia come ambiente costruito o manufatto (città, strade, case e uffici) che come ambiente naturale, è al centro degli studi di diverse discipline tra cui la psicologia ambientale, la geografia, l’architettura, la sociologia, l’antropologia, l’ecologia, l’economia, la fisiologia, la medicina.
Sebbene non esista una definizione universalmente accettata di spazio verde urbano, soprattutto in relazione al suo impatto sul benessere ([46]), in Europa è stata utilizzata prevalentemente quella dell’Atlante Urbano Europeo ([9]) secondo cui il verde urbano include aree verdi pubbliche utilizzate in prevalenza per attività ricreative come giardini, zoo, parchi e aree naturali e foreste suburbane o aree verdi delimitate da aree urbane gestite o utilizzate a fini ricreativi. Il verde urbano può essere inteso pertanto in senso esteso considerando tutti quegli spazi che possano svolgere funzioni tipiche degli spazi verdi, quindi dove si possa passeggiare, giocare, trascorrere del tempo all’aria aperta, meditare e semplicemente sostare. L’ambito d’intervento, ai fini dello studio presentato, comprende spazi verdi pubblici di ogni tipologia, ma anche gli spazi privati ad uso collettivo quali gli spazi verdi condominiali che hanno rappresentato, durante il periodo di lockdown per la pandemia da Covid-19, luoghi importanti ai fini del benessere e del contenimento dello stress e della ricerca di socialità. L’esperienza di chiusura forzata ha portato ad estendere e ampliare la dimensione di ambiente esterno, considerando anche gli spazi domestici all’aperto come luoghi capaci di contenere il disagio derivante dall’isolamento e provare a produrre benessere.
Come è noto esiste un vero e proprio legame nei confronti dei luoghi in cui si vive, con la costruzione di mappe cognitivo-ambientali, lo sviluppo di affetti e preferenze e di ansie e stress ([25]). L’ambiente, interno o esterno che sia, diventa “casa” quando ci si sente a proprio agio, si consolidano i ricordi e si vivono emozioni e relazioni percependo protezione, sicurezza, possibilità di espressione della propria identità, spazio in cui coltivare relazioni significative, senza minacce e pericoli.
Con l’avanzare dell’età si assiste a una diminuzione dell’esplorazione dello spazio fisico esterno e ad un consolidamento dei percorsi abituali, si instaura anche un investimento affettivo più marcato sull’ambiente, sullo spazio della propria casa e sugli oggetti e, i risvolti emotivi del rapporto persona-ambiente diventano particolarmente importanti.
L’espressione “invecchiamento attivo” o “active aging” è stata adottata per la prima volta nel 2002 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano”. La predisposizione di ambienti sani e favorevoli alla salute e al benessere per tutte le età corrisponde all’area prioritaria 4 delle politiche OMS “Creare comunità in grado di rispondere alle sfide e ambienti favorevoli alla salute” ([47]).
È un approccio che si basa sul riconoscimento dei diritti delle persone anziane e dei principi di indipendenza, partecipazione, dignità e realizzazione personale. Un approccio che non vede la persona anziana come un soggetto passivo e contrasta le rappresentazioni della vecchiaia come contenitore di malattia, uscendo dalla generalizzazione che considera le persone anziane come una categoria omogenea. L’arco temporale in cui si collocano le persone anziane e le differenze soggettive implicano esigenze profondamente diverse e i fattori di rischio che intervengono nel processo d’invecchiamento, con la loro variabilità, rendono questa stagione della vita un fenomeno estremamente individuale ed eterogeneo. L’età anagrafica, se privata del suo significato di “indicatore temporale”, può lasciare spazio ad un interessante caleidoscopio di “età situazionali” ([32]).
Il tempo libero quotidiano e permanente di molti soggetti anziani non è sempre occasione di vita partecipata, ma è spesso tempo libero in quanto “liberato dal lavoro” e, in seguito a questo, spesso privato generalmente anche da compagnie, relazioni sociali, affetti. Un connotato comune della condizione senile è quindi la solitudine.
L’Italia ha la popolazione più vecchia d’Europa con il 22.8% del totale che ha più di 65 anni a fronte del 20.3% medio in Ue. Secondo i dati pubblicati da Eurostat riferiti al 2019 ([10]) nel nostro Paese sono 13.78 milioni le persone che hanno oltre 65 anni, ma tra queste oltre la metà (7 milioni) ne ha più di 75. Nel contesto attuale, inoltre, va ricordato che la popolazione anziana è considerata a più alto rischio di contrarre il coronavirus.
Solitudine ed isolamento sociale possono essere considerate condizioni rischiose per la longevità delle persone così come il fumo di sigarette, l’assunzione di alcol e gli stili di vita alimentari non equilibrati, con tutti i conseguenti possibili effetti. Al contrario, individui con relazioni sociali soddisfacenti hanno una possibilità di sopravvivenza di quasi il 50% maggiore rispetto a chi mantiene relazioni sociali povere, insufficienti, non adeguate ([24]).
Inserire l’anziano/a in attività di tipo formativo per alimentare prospettive nuove ed una nuova creatività rientra in una logica di life-long learning, che riconosce e accoglie le specificità (individuali, di genere, sociali, culturali) di questa età della vita.
La recente pandemia ha fatto balzare agli occhi di tutti la diffusa, difficile, condizione delle persone anziane in una società ove crescono l’esclusione sociale, l’indifferenza e le disuguaglianze. L’esperienza drammatica del Covid-19 ha alimentato una percezione di precarietà, paura, mancata tutela. Le persone anziane sono state intimate di restare a casa; hanno assistito in solitudine allo sconfortante numero di morti, anziani come loro, spesso senza ricevere un supporto o una rassicurazione da parte della comunità. Si ritiene che ciò avrà delle conseguenze sul futuro di questa generazione, la quale, attraverso la permanenza in ambienti naturali, anche in ambito urbano, percepiti come salubri e rassicuranti, avrebbe potuto terapeuticamente ri-attivarsi.
Le città vedono oggi spesso degrado, intolleranza, incuria, mancanza di sicurezza, insidie alla salute derivanti dal traffico e dall’inquinamento: aspetti che nel vissuto dell’età anziana sono acuiti dalla perdita progressiva di autonomia e dalla solitudine. Tali criticità peggiorano nella cosiddetta “città diffusa” ([17], [18]), caratterizzata da dispersione dell’edificato, riduzione del verde a causa del consumo di suolo, mobilità veicolare privata e carenza di infrastrutture per la mobilità alternativa, lontananza dai servizi e dai luoghi di studio e di lavoro, condizioni che rendono ancora più difficile la vita delle persone anziane, sia in termini identitari che di accesso a beni comuni e servizi.
Una città “age friendly” ([29]) ripensa gli spazi pubblici in rapporto a una pluralità di forme di utilizzo, evitando la segregazione per fasce d’età; stimola la creazione di condizioni di accessibilità, sicurezza, percorribilità della propria struttura urbana; incoraggia il mantenimento di corretti stili di vita attraverso la rinaturalizzazione urbana e l’offerta di occasioni quotidiane di socializzazione e di contatto con la natura (come percorsi pedonali verdi e protetti, orti urbani, micro-parchi di quartiere); promuove la partecipazione di tutte le sue componenti sociali, predisponendo adeguati strumenti che facilitino l’ascolto e l’espressione di esigenze, desideri, progetti; valorizza il sapere delle persone anziane, che custodiscono la memoria storica dei luoghi e delle attività tradizionali, anche in relazione alla tutela del patrimonio culturale (materiale e non) e alla promozione di stili di vita sostenibili.
In tal senso si muovono le iniziative che incoraggiano a vivere la città e gli spazi verdi senza segregazioni o marginalizzazioni sociali. In particolare si segnala “l’agricoltura sociale” che si sta affermando in città come in campagna e che può indirizzare verso un modello di welfare in cui la tutela ambientale, la valorizzazione delle persone e l’integrazione sociale possano trovare la loro massima espressione. Per anziani/e l’esperienza nelle fattorie sociali si trasforma in un’occasione di aggregazione e di reinserimento socio-lavorativo.
Analogamente gli “orti condivisi”, appezzamenti di terreno medio-piccoli collocati in città, spesso in quartieri o aree più degradate, gestiti dal comune o da associazioni senza scopo di lucro, possono essere considerati parte integrante di questo nuovo modo di fare eco-socialità aggregata.
Influenza dell’ambiente sul benessere psico-fisico: servizi ecosistemici e “green-care”
L’influenza dell’ambiente sul benessere e sul recupero psico-fisico delle persone è stata inizialmente indagata a partire dagli anni ’80 con studi su pazienti, specie se ricoverati ed anziani, che frequentavano strutture sanitarie ([14], [40]).
L’ambiente architettonico, l’esposizione alla luce e ai rumori, la presenza di verde, la percorribilità degli ambienti, possono contribuire all’esito positivo del trattamento delle/i pazienti in modo significativo ed avere un’influenza sulla salute per la semplice ragione che la luce, il design e l’atmosfera dell’ambiente modificano la reazione emotiva allo stress ([3], [33]).
La presenza di verde riduce la percezione di stress e produce modificazioni positive della pressione arteriosa e dell’attività cardiaca ([41]). Anche semplici pannelli con foto di paesaggi naturali e di boschi sono in grado di produrre effetti benefici rispetto a pareti spoglie o con immagini generiche. Lo stesso dicasi per i video che proiettano filmati di ambienti naturali rispetto a normali programmi televisivi ([42]) o fotografie che raffigurano scene di natura ([45]).
Il rapporto tra ambiente e benessere ed in particolare tra ambienti naturali e benessere psico-fisico rientra tra i benefici catalogati come servizi ecosistemici (dall’inglese ecosystem services), definiti dal Millenium Ecosystem Assessment ([26]) “i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano”. Il MEA descrive quattro categorie di servizi ecosistemici: supporto alla vita, regolazione, approvvigionamento, culturali. In particolare, le funzioni “culturali” contribuiscono al mantenimento della salute umana e al benessere e riguardano i “benefici non materiali che le persone ottengono dagli ecosistemi attraverso l’arricchimento spirituale, lo sviluppo cognitivo, la riflessione, la ricreazione e l’esperienza estetica, inclusi ad es. sistemi di conoscenza, relazioni sociali e valori estetici” ([37]). La salute ed il benessere possono essere considerati come effetti cumulativi dei servizi ecosistemici.
La domanda di servizi ecosistemici culturali è in forte aumento in Europa come conseguenza diretta di processi come l’urbanizzazione, i cambiamenti nello stile di vita e l’aumento della consapevolezza ambientale, sia da parte degli operatori di settore che della società ([20], [28], [5], [49]). I benefici fisici, emotivi e mentali prodotti dai servizi dell’ecosistema culturale sono spesso impercettibili e intuitivi ([23]) ed implicitamente espressi attraverso manifestazioni indirette. Il valore assegnato ai servizi ecosistemici culturali dipende quindi dalle valutazioni individuali, mediate culturalmente, del loro contributo al benessere. Sono anche descritti come elementi che dipendono complessivamente dall’ambiente circostante, dalla sicurezza personale, dalla libertà di scelta, dalle relazioni sociali, dall’occupazione-reddito adeguato, dall’accesso alle risorse educative e dall’identità culturale.
Sandifer et al. ([35]) hanno analizzato lo stato della conoscenza e della produzione scientifica, rispetto alle relazioni tra salute umana, natura e biodiversità elencando gli effetti identificati: dagli effetti psicologici (effetti positivi su benessere e processi mentali) agli effetti cognitivi (effetti positivi su capacità e funzioni cognitive); dagli effetti fisiologici (effetti positivi su funzioni e/o benessere fisico) agli effetti sull’esposizione alle malattie (potenziale riduzione dell’incidenza delle malattie infettive); dagli effetti sociali (coesione sociale) agli effetti estetici, culturali, spirituali, all’aumento della capacità di resilienza. La presenza di aree verdi urbane, in particolare, favorisce direttamente e indirettamente un miglioramento della qualità della vita ([36]), in quanto può fornire rifugio da un uno stile di vita quotidiano sempre più stressante ([43]), incoraggiare la coesione sociale ([51]), stimolare l’attività fisica ([16]), migliorare la salute ([44]) e persino migliorare il benessere e lo stato mentale di una persona ([27]).
È in questo contesto che si inserisce il “Green Care”, un concetto emergente che fa riferimento alla “gamma di attività che promuovono la salute e il benessere fisico e mentale attraverso il contatto con la natura” ([4]), salute intesa come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità” ([30]). Green Care può essere compreso anche nel contesto di soluzioni basate sulla natura ([19]) e sull’impatto degli ecosistemi e dei loro servizi sulla salute e sul benessere individuale e collettivo. È un processo attivo che ha lo scopo di promuovere o migliorare la salute e il benessere nelle diverse prospettive.
L’organizzazione delle attività di Green Care è spesso condizionata all’accesso e all’uso sostenibile degli ambienti naturali sia negli spazi rurali che urbani. In ambito urbano, il concetto di natura include parchi e spazi aperti, prati e campi, alberi e giardini condominiali. Luoghi vicini e lontani, gestiti e non, grandi e piccoli, dove le piante crescono secondo il disegno umano o addirittura nonostante esso.
Secondo la biofilia (“tendenza innata a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali” - ipotesi scientifica proposta nel 1984 da Edward O. Wilson), avendo ricevuto un vantaggio evolutivo dalla possibilità di contatto con la natura per milioni di anni, avremmo sviluppato un’innata propensione a reagire positivamente nei suoi confronti ([48]). Una notevole quantità di ricerche supporta l’ipotesi della biofilia, dimostrando sia la capacità rigenerativa che additiva delle nostre risposte biofile ([1], [2]).
Secondo l’Attention Restoration Theory (ART) teorizzata da R. Kaplan e S. Kaplan, l’ambiente naturale è in grado di stimolare le nostre capacità di attenzione in maniera intuitiva e involontaria secondo un processo che prende il nome di “fascination”. Quando ci troviamo in un ambiente naturale la nostra attenzione è diffusa sullo spazio circostante e non focalizzata, e questo ci porta ad un’esperienza di rilassamento ([22], [21]). Gli ambienti naturali abbondano di soft fascination e consentono di attivare “un’attenzione senza sforzo”, come, ad esempio le nuvole che si muovono attraverso il cielo, il fruscio delle foglie o l’acqua che gorgoglia sulle rocce in un torrente.
L’ambiente naturale è fondamentale nella ricerca identitaria. Gli animali, gli alberi, sono elementi naturali che aiutano a plasmare la nostra l’identità. In particolare, gli alberi sono presenti in molte prospettive teoriche dell’identità: molti miti descrivono come le persone siano state create dagli alberi o trasformati in alberi. Gli alberi sono utilizzati nei test di personalità (come il test di disegno casa-albero-persona) per indagare i problemi di identità; diversi approcci fenomenologici si basano su metafore degli alberi (es. radici - [31]).
Le esperienze in natura possono provocare un aumento diretto di varie forme di benessere (ad es., benessere eudemonico ed edonico, benessere spirituale). Nell’ultimo decennio si è registrato un aumento delle ricerche sperimentali che analizzano la correlazione tra natura e benessere in senso eudemonico, che è un composto di serenità, senso di stupore, contemplazione, empatia, vitalità, senso di libertà, connessione, sentirsi riposati ([15], [31]).
Studio di caso: strumenti e metodi
In questo articolato ambito teorico di riferimento si colloca l’attività di ricerca sul campo condotta a partire dal mese di Aprile 2020 e che ha riguardato la strutturazione di un questionario-studio, predisposto su piattaforma Google Form™ da somministrare attraverso apposita intervista ad un campione casuale di soggetti over 65, pari a 124 persone in totale, di cui 109 residenti nelle Regioni test individuate, cioè Calabria (49.5% del campione di riferimento) e Lombardia (50.5% del campione di riferimento).
Il questionario-test, strutturato con una sezione preliminare relativa a dati personali e una sezione con 11 quesiti tematici a risposta chiusa, è stato somministrato nel periodo Luglio-Settembre 2020, ed ha rilevato le abitudini del campione intervistato in relazione agli ambienti esterni frequentati, alla cura del verde e le attività di socializzazione esterna nel periodo marzo-aprile 2020, durante il lockdown da Covid-19, e nel periodo precedente, in assenza di pandemia.
Tra gli spazi verdi sono stati presi in considerazione anche il terrazzo o il balcone di casa, per indagare unicamente sui tempi di cura del verde (piante e/o alberi) presenti oppure di orti privati o condivisi che, durante la pandemia, hanno rappresentato un forte elemento antistress.
In merito agli orti urbani, vista la peculiarità rispetto alla loro frequentazione sia attiva che passiva, saranno prossimamente oggetto di studio di caso specifico nell’ambito del progetto Foe-Nutrage - stili di vita e invecchiamento attivo.
I dati sono stati elaborati con il software SPSS® (Statistical Package for the Social Sciences - IBM Inc. Armonk, NY, USA).
Risultati
Le persone intervistate sono per il 49% di genere femminile e per il 50.8% di genere maschile. L’età media del campione è 72 anni.
La maggioranza del campione è diplomata e laureata (81% circa) e il 18% circa ha conseguito il titolo di studio di base. Il 67% vive in coppia e/o con altre persone; a seguire le persone che vivono da sole (27%) e da sole con badanti/colf (6 %).
I risultati mostrano che circa il 75% del campione totale intervistato è uscito da casa durante il periodo di lockdown di marzo-aprile 2020 nei periodi consentiti e in accordo con le restrizioni disposte dal Governo. Analizzando il dato a livello regionale, sono uscite da casa in prevalenza le persone intervistate residenti in Lombardia (57%) rispetto a quelle residenti in Calabria (43%).
Rispetto al genere, tra le persone uscite da casa durante il lockdown, si registra una prevalenza del genere maschile (56%).
Il 24.2 % delle persone totali intervistate che non è uscito da casa lo ha fatto principalmente per timore del contagio, soprattutto perché in presenza di problemi pregressi di salute. Nella fascia d’età superiore a 75 anni le problematiche di deambulazione e logistiche risultano elementi aggravanti rispetto alla mancata frequenza di spazi esterni (Fig. 1).
Fig. 1 - Motivazioni per cui le persone non sono uscite da casa durante il lockdown secondo l’età media.
Interessanti le risposte sugli spazi verdi frequentati prima del lockdown e durante il lockdown. La frequenza degli spazi verdi condominiali è incrementata notevolmente durante il lockdown rispetto alla situazione pregressa (il 12.4% rispetto al 5.4% di prima del lockdown), mentre le aree verdi del centro abitato sono frequentate con la stessa intensità prima e durante il lockdown (31% sia prima che durante il lockdown). Un calo notevole si registra per le aree verdi extra-urbane che dal 45% ante-lockdown passano al 12.4% durante il lockdown. Importante è la frequenza delle vie del centro abitato prima e durante il lockdown (51.2% - Fig. 2).
Camminare (60.5 % prima e durante il lockdown, rispetto al 24% prima del lockdown) e fare la spesa (48.8% prima e durante il lockdown rispetto al 16.3% di prima del lockdown) sono le attività che vengono svolte dalla maggior parte delle persone intervistate (Fig. 3).
Il tempo dedicato alle attività all’aperto durante il lockdown si riduce a meno di un’ora al giorno nella maggior parte delle risposte (34.9% durante il lockdown rispetto al 7% prima del lockdown), mentre prima del lockdown è maggiore di un’ora al giorno (38.8%) e in buona percentuale anche di 5 ore a settimana (21.7% rispetto allo 0.8% durante il lockdown - Fig. 4).
Meno univoca la risposta alla domanda “come si è sentit* nello svolgere le attività all’aperto durante il lockdown”, domanda cui sono state offerte le seguenti opzioni: 1. Più in forma; 2. Più rilassat*; 3. Indifferente; 4. A disagio; 5. Altro.
Complessivamente per l’intero campione esaminato risulta che la maggior parte non esprime preferenze e prevale, se pure di poco durante l’esperienza all’aperto, il senso di rilassatezza insieme a una sensazione di disagio dovuta alle condizioni restrittive e di rischio dettate dalla pandemia (Fig. 5).
L’analisi degli incroci sulla percezione del campione intervistato evidenzia a livello regionale che tra Calabria e Lombardia non vi sono sostanziali differenze, prevalendo il senso di rilassatezza sul “sentirsi in forma” in tutte e due le regioni, mentre il disagio se pure di poco è stato avvertito in misura maggiore in Calabria.
In merito al genere risulta che le donne provano più disagio degli uomini nell’esperienza all’aperto (34.4% contro il 20.6%) mentre gli uomini avvertono più rilassamento (34.9% contro il 24.6%).
Nell’esaminare le motivazioni che prevalgono per regioni si evince che in misura maggiore in Lombardia rispetto alla Calabria siano il relax insieme alla salute (Fig. 6).
Fig. 6 - Distribuzione dei motivi per cui le persone svolgono prevalentemente attività all’esterno per regione di appartenenza.
Il campione intervistato evidenzia, svolgendo attività all’esterno, il bisogno di rilassarsi, di compiere un’attività salutare per l’organismo, il bisogno di rapporti sociali. Queste attività attestano quindi il desiderio di ricercare benessere anche in una situazione di crisi.
Circa l’80% dichiara di prendersi cura abitualmente degli spazi verdi. Gli spazi verdi maggiormente curati durante il lockdown sono le piante presenti sui terrazzi/balconi di casa e in percentuale minore nei giardini e orti.
Gli spazi verdi sono stati curati ogni giorno prima e durante il lockdown nel 45% delle risposte. La cura degli spazi verdi ha rappresentato motivo di maggiore rilassamento per oltre il 50% del campione intervistato, con una prevalenza del campione residente in Calabria (53.7%) rispetto a quello residente in Lombardia (23.2%).
Circa il 55% del campione totale ha dichiarato di frequentare gruppi di aggregazione sociale, di varia tipologia, con prevalenza del genere maschile (57.1%) e dei residenti in Calabria (57.4%) rispetto alle persone residenti in Lombardia.
Per quanto riguarda la tipologia di attività svolta, il 55% mostra praticare gruppi che favoriscono l’aggregazione sociale: si evidenzia che questo dato è costituito da due poli attorno ai quali le risposte si aggregano ovvero:
- attività sportive ricreative/associazionismo (ballo-gite- viaggi);
- attività culturali come attivismo politico/attivismo sindacale/ pranzi sociali/ esperienze religiose/volontariato.
Le attività motorie e le attività culturali/sociali sono svolte in modo esattamente paritetico dal campione analizzato.
Conclusioni
La permanenza in ambienti naturali, il rapporto con l’esterno e con il verde che ci circonda si rivelano elementi importanti di benessere personale e collettivo, sia durante la vita quotidiana abituale ma anche e soprattutto nell’attuale crisi pandemica. Il contatto con la natura, anche quella urbana e condominiale, ha un potere rilassante, rigenerativo, di stimolo ai processi vitali fondamentale per fronteggiare periodi di crisi quale quella Covid-19. Il legame tra aree verdi e salute è ampiamente presente in letteratura, anche con recenti studi e ricerche e attività esperienziali nel periodo del lockdown da Covid-19 ([50], [6]).
La pandemia di Covid-19 ha cambiato notevolmente le abitudini di vita di ognuno e ha stravolto le relazioni interpersonali e il rapporto con il mondo esterno. È aumentato il numero dei visitatori dei parchi urbani, anche di persone che non li avevano precedentemente frequentati, soprattutto nel primo periodo della pandemia, con effetti positivi su stress e isolamento. Durante la pandemia da Covid-19 si è registrato un sensibile aumento di presenze in aree naturali, sentite come spazi sicuri per socializzare, per fare esercizio, per connettersi alla natura, per trovare pace e tranquillità ([13]). La natura urbana ha consentito resilienza e mantenimento del benessere nelle popolazioni urbane, consentendo altresì il distanziamento sociale ([34]).
Le restrizioni dovute alla pandemia non hanno inciso sul bisogno di frequentare spazi all’aperto determinando però una diversificazione degli spazi verdi frequentati soprattutto per fare attività fisica e movimento piuttosto che per fini contemplativi e di socialità ([39]). Tendenza quest’ultima che si è riscontrata anche nell’indagine test effettuata su un campione di persone over 65 e di cui si riportano i risultati: pur avendo cambiato durante il lockdown di marzo-aprile 2020 la tipologia di ambiente frequentato e ridotto il tempo di permanenza all’esterno, il campione intervistato non ha rinunciato a camminare, a frequentare spazi all’aperto a partire da quelli privati ad uso collettivo e a curare il verde di casa (piante e terrazzi) per il proprio benessere psico-fisico.
Durante il lockdown la ricerca di rilassatezza attraverso la frequentazione di spazi esterni e verdi è prevalente, pur registrandosi in modo quasi equivalente un disagio per le condizioni restrittive dettate dalla pandemia. Le misure di distanziamento sociale hanno fortemente penalizzato gli anziani, persone più a rischio da isolare per evitare, in caso di malattia in forma grave, una pressione straordinaria sulle terapie intensive. Il contenimento della pandemia ha anche confinato i pazienti più fragili e sofferenti per problemi cronici (cardiaci, renali, di deambulazione, ecc.) tra le mura di casa, limitandone anche gli accessi all’ospedale ([38]).
Non secondari sono stati gli effetti della quarantena a causa della pandemia sulla salute mentale della popolazione tutta ed in particolare delle persone a rischio. La pandemia da Covid-19 e le relative misure di contenimento, principalmente il distanziamento fisico e l’isolamento, hanno avuto e stanno avendo conseguenze dannose sulla salute mentale della popolazione in tutto il mondo. In particolare, frustrazione, solitudine e preoccupazioni per il futuro sono reazioni comuni e rappresentano fattori di rischio ben noti per diverse sofferenze mentali, tra cui ansia, disturbi affettivi e da stress post-traumatico. La stragrande maggioranza degli studi disponibili è stata condotta in Cina, dove è iniziata la pandemia. L’Italia è stata duramente colpita dalla pandemia, ma il contesto socio-culturale è completamente diverso dai Paesi dell’Est. Saranno pertanto necessari studi volti a valutare l’impatto del Covid-19 e delle misure di quarantena sulla salute mentale della popolazione italiana ([12]).
La presenza di aree verdi e parchi in aree urbane ha mitigato gli effetti negativi del confinamento soprattutto quelli sulla salute mentale. In particolare, riguardo alla fascia d’età presa in esame, uno studio effettuato dall’Autorità della Salute della Danimarca ha mostrato che la presenza di aree verdi e parchi nelle aree urbane ha aiutato la popolazione over 65 durante il lockdown, evidenziando anche l’effetto benefico degli spazi verdi del quartiere, soprattutto in relazione al grado di sicurezza, all’accessibilità e alla percezione di bellezza ([8]).
Sempre rispetto alla fascia di età over 65 anni, il Progetto in corso Green Age del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano nell’ambito della ricerca “Green Age. Green space for active living: older adults’ perspectives”, prende in considerazione i restorative garden o giardini terapeutici progettati e realizzati secondo precisi criteri scientifici per renderli pienamente accessibili ad anziani e a persone con disabilità o mobilità ridotta e per potenziare tutti i benefici sul benessere psicofisico che si generano dal contatto con la natura. I primi risultati diffusi sui canali di comunicazione, indicano chiaramente che sia il benessere che le capacità attentive sono risultate migliori nel campione che ha svolto attività all’aperto ([11]).
I risultati ottenuti nel presente studio ben si collocano pertanto nell’ambito della letteratura scientifica sul tema e consentono di effettuare ulteriori riflessioni sul legame nei confronti dei luoghi in cui si vive, sulla capacità di reazione alla chiusura forzata da parte del campione analizzato in due ambiti territoriali selezionati come aree test (Calabria e Lombardia).
Le considerazioni che ne conseguono sono importanti per la programmazione di interventi infrastrutturali volti a una migliore vivibilità che tenga conto anche di variabili identitarie quali le mappe cognitivo-ambientali in grado di contenere lo sviluppo di ansie e stress, favorendo lo sviluppo di un rapporto sereno e riappacificante con l’ambiente circostante verso la tutela della salute intesa come una variabile dipendente da diversi fattori, e in particolare dalla qualità dell’ambiente in cui si vive e ci si relaziona.
Appare fondamentale pertanto vivere in una città age friendly che incoraggi il mantenimento di corretti stili di vita offrendo occasioni quotidiane di socializzazione e di contatto con la natura, come percorsi pedonali verdi e protetti, orti urbani, micro-parchi di quartiere. Un mix diversificato di aree verdi facilmente raggiungibili a piedi dovrebbe rientrare in una pianificazione urbanistica di infrastrutture di verde urbano, articolata e inclusiva. La pandemia del Covid-19 si rivela pertanto un’occasione importante per ripensare le politiche di pianificazione urbanistica al fine di rispondere sempre meglio ai bisogni delle comunità.
Ringraziamenti
Si ringraziano Aldo Luperini e Paolo Leone, ricercatori del CNR-IBBA di Milano per la collaborazione nella strutturazione e nella raccolta dati del questionario nell’ambito del progetto “FOE - Nutrage CNR”, subtask 3.6.3 e subtask 3.6.4.
Si ringrazia Giorgio Matteucci, Direttore dell’Istituto di Bioeconomia del CNR per i suggerimenti nella fase di stesura del testo e le indicazioni bibliografiche fornite.
References
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