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Afforestazione e fissazione della CO2 atmosferica: qualche cifra indicativa dalla ricerca scientifica

Forest@ - Rivista di Selvicoltura ed Ecologia Forestale, Volume 18, Pagine 60-63 (2021)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3928-018
Pubblicato: Lug 20, 2021 - Copyright © 2021 SISEF

Rassegne

Abstract

Afforestation is often proposed as one of the most effective nature-based solutions to sequester carbon from the atmosphere, so mitigating the impending climate crisis. As a result, we have witnessed over the last few years a flourishing of projects aimed at planting new forests, particularly in periurban and agricultural settings, without a preliminary scientific discussion of their expected impact. In this contribution, we have therefore tried to summarize the evidence available for Italian settings, so as to define the range of sequestration rates that can be realistically expected. Moreover, we have tried to highlight some of the issues (age effects, single tree vs. stand perspective) that should be taken into account in the debate in order to harmonize results and approaches. Based on available evidence, under mesic conditions and with adequate cures at and after planting, we could realistically expect over the first decades a Net Ecosystem Production of about 3.5 t C ha-1 yr-1, in good agreement with results from other European deciduous tree plantations. Higher rates are definitely possible with fast-growing species (e.g., poplar, eucalypt) and intensive management, not always compatible with the environmental aims of such projects. In conclusion, afforestation can yield important results (also considering the other ecosystem services provided, particularly important in peri-urban and agricultural settings), although far from the C sequestration provided by the protection and sustainable management of existing forests.

Keywords

Afforestation, Carbon Sequestration, NEP, Italy, Review

 

La crisi climatica che stiamo fronteggiando, con la necessità di evitare che le temperature globali aumentino di oltre 2 °C nel prossimo secolo, ha stimolato negli ultimi mesi un benvenuto interesse per gli alberi e per l’aiuto che questi potrebbero darci grazie alla loro capacità di assorbire e immagazzinare la CO2 atmosferica.

Gli alberi hanno infatti la rara capacità di fissare attivamente - come tutte le piante - la CO2 atmosferica, ma di immagazzinarla anche per tempi potenzialmente lunghissimi nei loro fusti, nel suolo e, alla loro morte, nei prodotti legnosi. A scala globale, le foreste bloccano annualmente circa 4 Pg C, pari a quasi il 50% della CO2 annualmente emessa dall’uso dei combustibili fossili (anche se poi la deforestazione tropicale vanifica oltre i due terzi di questo benefico contributo verde - [13]). Se le foreste sono così efficaci nell’immagazzinare il carbonio (C), perché non piantarne di nuove? Il contributo della piantagione di nuovi alberi potrebbe in effetti essere enorme. Anche escludendo aree urbane e agricole, la superficie forestale potrebbe aumentare di quasi un quarto ([3]); la quantità di C bloccata in questi nuovi boschi è stata stimata in 205 Pg, sottraendo all’atmosfera la CO2 accumulatasi in quasi 50 anni di emissioni antropiche. A scala nazionale, Calfapietra et al. ([4]) hanno recentemente stimato che 0.9 milioni di ha di terreni agricoli sarebbero potenzialmente idonei per la realizzazione di piantagioni forestali. Insieme al miglioramento della gestione delle foreste esistenti, la creazione di nuovi boschi viene quindi vista a ragione come la strategia nature-based più efficace di mitigazione del cambiamento climatico nei paesi industrializzati ([7]) e non sorprende pertanto il fiorire di iniziative e progetti per piantare alberi, anche considerando i benefici aggiuntivi che potrebbero portare, soprattutto in area periurbana e rurale.

Ma quale potrebbe essere concretamente l’impatto di queste iniziative? La capacità di fissazione del carbonio varia moltissimo, in funzione di specie, età, condizioni ambientali e fertilità dei suoli. La comunità scientifica può però fornire qualche valore di riferimento.

Vale la pena di fare una premessa. Tanto a scala globale quanto localmente, gli obiettivi dei progetti sono sempre espressi in termini di numero di piante messe a dimora, ma definire la fissazione di C da parte di una pianta è impresa ardua, in quanto questa cambia drammaticamente in funzione non solo dell’ambiente (è essenziale piantare l’albero giusto nell’ambiente giusto) ma anche e soprattutto delle sue dimensioni: la velocità di crescita aumenta infatti con l’età, man mano che la pianta sviluppa la sua chioma e intercetta più luce e più risorse ([5], [15]). Se è quindi vero che un albero può sottrarre anche più di 100 kg di CO2 all’anno, stiamo certamente parlando di una pianta di 30 metri di altezza e probabilmente 100 anni di età (Fig. 1).

Fig. 1 - Relazione fra l’incremento e l’altezza della pianta in alcune delle specie indigene di maggiore interesse per nuovi impianti periurbani. Dati tratti dall’Inventario Nazionale delle Foreste e del Carbonio ([5]).

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La capacità della pianta di fissare C è anche limitata dalla competizione con le piante all’intorno, che riducono la disponibilità di risorse. La crescita di una pianta isolata è esaltata dalla sua capacità di espandere la chioma ad intercettare la luce, cosa che ben presto non è possibile se invece di un solo albero abbiamo piantato un bosco. Meglio piantare individui isolati, quindi? Dipende da quali sono i nostri obiettivi, e le nostre limitazioni. Se disponiamo di un numero limitato di piante, ma di superfici idonee illimitate, è certamente meglio lasciare le piante isolate e permettere loro di espandere la chioma. Se al contrario disponiamo di superfici idonee limitate, converrà optare per una densità più elevata, in modo da arrivare quanto prima a una copertura piena, così da utilizzare tutta la luce e le risorse disponibili e massimizzare il sequestro di C per ettaro di nuovo impianto.

Quanta CO2 potrebbe quindi sottrarre all’atmosfera un ettaro di nuovi impianti, considerando l’accumulo nell’intero ecosistema (NEP, net ecosystem production)? Guardando ai risultati della vasta rete di misura disponibile a livello mondiale, il massimo che ci si possa aspettare si aggira intorno a 10 t C ha-1 anno-1 (34 t CO2 ha-1 anno-1 - [8]). Valori più alti sono sicuramente possibili, ma solo con specie a rapida crescita e con abbondante fertilizzazione; a titolo di esempio, valori di NEP di 19 e 17 t C ha-1 anno-1 sono stati rilevati in impianti intensivi di eucalipto in Portogallo ([9]) e di pioppo a ciclo breve in Italia centrale ([6]). Possiamo considerare questo come un massimo teorico, raggiungibile solo in condizioni ottimali e con una gestione di tipo agronomico; si tratta comunque di specie che per la loro scarsa longevità mal si prestano a impianti finalizzati al sequestro di lungo termine della CO2.

Occorre infine ricordare che la capacità del bosco di fissare C aumenta con l’età e i valori massimi riportati qui sopra non potranno quindi essere raggiunti nei primi anni dall’impianto, quando il bilancio del C dell’ecosistema sarà basso (o addirittura negativo finché la decomposizione della sostanza organica del suolo non venga controbilanciata dalla fissazione delle giovani piante - [11]). Possiamo per semplicità assumere che i valori medi nei primi decenni dall’impianto siano pari al 50% dei valori massimi sopra riportati.

Immaginando condizioni mesofile, quali si potrebbero incontrare ad esempio in molte aree del Nord e Centro Italia, quali valori ci potremmo allora attendere nei nostri impianti di pianura o prima collina? Alcuni recenti casi di studio ci possono fornire un’indicazione sulle potenzialità sia dei boschi misti di latifoglie decidue sia dei pioppeti intensivi (Tab. 1).

Tab. 1 - Sommario delle stime di sequestro del C in piantagioni forestali estensive (latifoglie miste) ed intensive (pioppeto) in Pianura Padana. (1): Magnani et al. ([10]); (2): Alberti et al. ([1]); (3): Ventura et al. ([17]); (4): Migliavacca et al. ([12]).

Tipologia Età
(anni)
Densità
(n ha-1)
Regione Sequestro medio annuo Rif.
t C ha-1 a-1 t CO2 ha-1 a-1
Latifoglie miste 12 829 Emilia-Romagna 3.7 13.6 1
3-23 1690 Friuli V. G. 3.4 8.8 2
Pioppeto 0-4 5555 Emilia-Romagna 9.9 36.3 3
3-9 204 Friuli V. G. 12.9 34.5 2
4-14 278 Lombardia 7.5 27.5 4

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A titolo di esempio, un impianto di latifoglie decidue di 12 anni nella pianura emiliana sequestra dall’atmosfera circa 3.7 t C ha-1 anno-1 ([10]); si tratta di un valore in linea con quello stimato in impianti simili di età compresa fra 2 e 23 anni in Friuli Venezia Giulia, pari a 3.4 t C ha-1 anno-1 ([1]) e comparabile con quelli riportati in impianti di arboricoltura con latifoglie autoctone su suoli ex-agricoli in Europa, con valori compresi fra 2.5 e 3.5 t C ha-1 anno-1 ([14], [18]).

Il sequestro netto di C dall’atmosfera è ovviamente molto maggiore nel caso di pioppeti specializzati. Un pioppeto tradizionale di età compresa fra 4 e 14 anni nella pianura lombarda, ad esempio, è capace di immagazzinare annualmente 7.5 t C ha-1 ([12]), mentre valori significativamente più alti sono stati da noi osservati in Emilia-Romagna in pioppeti a ciclo breve per la produzione di biomassa (9.9 t C ha-1 anno-1 - [17]); tassi di sequestro ancora maggiori sono stati stimati in pioppeti di 3-9 anni di età in Friuli Venezia Giulia (12.9 t C ha-1 anno-1 - [1]). Si tratta in tutti i casi di impianti industriali, soggetti a fertilizzazioni e trattamenti antiparassitari sicuramente non auspicabili in ambiente urbano o periurbano, e caratterizzati da un ciclo di vita rapido (10-20 anni) che porrebbe il problema del loro destino a fine turno.

Focalizzandoci sulle stime relative ai soli impianti di latifoglie decidue, vale comunque la pena di notare che sono valori nettamente superiori a quelli mediamente osservati nelle foreste italiane. Facendo riferimento ai dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste e del Carbonio, i nostri boschi accumulano complessivamente nella sola biomassa 7.35 Mt C anno-1, corrispondenti a un accumulo medio di 0.9 t C ha-1 anno-1 ([16]). A questi valori andrebbe poi aggiunta la quantità di C fissata annualmente nel suolo, giungendo a stime di scambio netto dell’ecosistema coerenti coi valori medi osservati globalmente (1.1 t C ha-1 anno-1 - [8]).

Grazie a una felice combinazione di specie, ambiente favorevole ed età gli impianti di latifoglie autoctone garantiscono quindi delle prospettive di sicuro interesse per la fissazione del C atmosferico.

Quale potrebbe essere allora, in via del tutto indicativa, l’impatto della realizzazione di nuovi boschi in area urbana e periurbana nelle regioni del Nord e Centro Italia?

Da quanto detto, adottando un orizzonte di riferimento di 50 anni e assumendo buone condizioni di fertilità, possiamo attenderci in impianti di latifoglie decidue (quali quercia, frassino, acero, ecc.) un valore medio di fissazione sull’intero periodo di 3.5 t C ha-1 anno-1, sempre che vengano garantite adeguate cure colturali pre- e post-impianto.

In impianti periurbani è ragionevole pensare di adottare una densità di 600-1000 piante ad ettaro, corrispondente a una distanza di 3-4 m da una pianta all’altra (anche se densità ancora inferiori vengono impiegate sia nei pioppeti di pianura sia nei parchi urbani). Piantando 10 milioni di alberi a una densità media di 800 piante a ettaro, è pertanto ragionevole attendersi che nell’arco di 50 anni questi 12.500 ha di nuovi impianti possano sottrarre all’atmosfera circa 2.2 milioni di tonnellate di C, pari a 8.0 milioni di tonnellate di CO2: circa 800 kg di CO2 per ogni pianta messa a dimora.

Si tratterebbe peraltro di risultati nettamente migliori di quelli ottenuti a scala nazionale nei decenni passati. Nel periodo 1990-2000, ad esempio, grazie a una serie di finanziamenti pubblici sono stati realizzati in Italia impianti di arboricoltura per un totale di 148.275 ha, costituiti per oltre la metà da impianti con latifoglie decidue. Si stima che nell’arco del loro ciclo di vita (1990-2040) questi impianti arrivino complessivamente a fissare nella sola biomassa epigea circa 10.1 milioni di tonnellate di C ([2]); anche considerando che la fissazione nelle radici e nel suolo può ammontare al 30-40% del totale ([10], [1]), giungiamo a una stima di circa 92 t C sequestrato per ettaro sull’intero cinquantennio, contro il valore di 175 t C ha-1 proposto nella presente analisi. Questo può essere dovuto a diversi fattori, in particolare il fatto che circa metà degli impianti finanziati nel 1990-2000 erano costituiti da pioppeti, rapidamente giunti a fine vita ed eliminati dal conteggio; ma sicuramente anche l’assunzione introdotta nella presente analisi che agli impianti vengano garantite opportune cure colturali pre- e post-impianto, condizione purtroppo non sempre realizzata nella realtà.

Possiamo quindi vedere le stime qui proposte come un valore massimo atteso, utile per evitare eccessivi entusiasmi e il rischio di delusioni future, rimandando a un’attenta previsione ex-ante (sulla base di specie impiegate e fattori stazionali) e soprattutto ad una verifica ex-post la valutazione del reale effetto di queste benvenute iniziative per la mitigazione del cambiamento climatico.

Vale la pena di aggiungere infine un commento conclusivo per inquadrare in un contesto più generale queste stime e questo benvenuto fiorire di progetti: è importante ricordare che l’Italia è coperta da oltre 10 milioni di ettari di bosco e altre terre boscate, che fissano annualmente nella sola biomassa epigea oltre 7 milioni di tonnellate di C ([16]), un valore di gran lunga maggiore di quello atteso da nuovi impianti. Quali le conclusioni da trarre? Che la preservazione, cura e gestione sostenibile dei nostri boschi deve ricevere un’attenzione certo non inferiore all’afforestazione. E che il vero valore dei nuovi impianti sta nella loro capacità di fornire tutta una serie di servizi ecosistemici oltre alla fissazione di C e di contribuire così alla qualità della vita nelle nostre città e nelle nostre pianure.

Ringraziamenti 

Si ringraziano il Dott. Paolo Mori, il Prof. Marco Marchetti e tutti i colleghi di AlberItalia per i preziosi commenti e le proficue discussioni.

Bibliografia Citata

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