Forest management and biodiversity, a new qualitative indicator to assess the naturalness of forest environments
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 19, Pages 1-9 (2022)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3933-018
Published: Jan 10, 2022 - Copyright © 2022 SISEF
Technical Reports
Abstract
In recent years, the loss of biodiversity occurred worldwide has called for the creation of various indicators aimed to assess the health status of the environment. Due to the increase of forest areas throughout Europe, different ecological indicators for the assessment of naturalness and health of forest ecosystems are being theorized and modelled, with relevant implications both for planning current and future management of forest ecosystems and to control their evolution over time. In this study, a new indicator of the ecological naturalness of forest habitats is proposed with the aim of providing an intuitive and straightforward tool for the harmonization and optimization of sampling efforts in similar projects (such as those proposed by Forest Europe). To this end, a limited number of variables concerning deadwood, climate, fauna, forest typology, and biotic and abiotic stress of trees have been combined into an indicator which reflects the overall health status and naturalness of forest ecosystems. Future studies and the collaboration between different research groups are desirable in order to validate the theorethical indicator proposed here and test its effectiveness and ease-of-use in projects focused on assessing the naturalness of forest ecosystems.
Keywords
Forests, Biodiversity, Wildlife, Insects, Saproxylic Fauna, Deadwood
Introduzione
La perdita di biodiversità negli ecosistemi forestali, siano essi di origine naturale a fini di produzione, protezione, uso multiplo o a fini di conservazione naturalistica nelle riserve naturali e in altre aree protette, è un tema di dibattito particolarmente attuale. Una delle ragioni è da ricercare nella mancata o errata gestione del patrimonio forestale, che porta ad avere tra le principali conseguenze la perdita in ricchezza di specie. Anche una gestione socio-economica estremamente semplificata modifica la struttura e composizione dei popolamenti forestali, portando ad una generale ed eccessiva semplificazione dell’ambiente, selezionando o favorendo una specie rispetto alle altre ([5], [6])
Queste situazioni comportano, da parte degli enti preposti alla gestione ambientale, la pianificazione di programmi per la messa a punto di indicatori di biodiversità al fine di poter valutare adeguatamente (e con semplicità nello sforzo di campionamento ed elaborazione finale dei dati) gli aspetti naturalistici di un dato ecosistema per orientare future pratiche di gestione o per monitorare l’andamento degli interventi ambientali svolti in precedenza.
In ambito europeo molteplici esempi si possono ritrovare in seno agli obiettivi delle strategie europee in tema di biodiversità, come il Green Deal ([8], [9]) all’interno del più ampio programma 2030 Agenda for Sustainable Development della FAO ([11]), che hanno come obiettivo privilegiato le foreste e gli ambienti ad esse collegate.
Ulteriori esempi possono inoltre provenire da indicatori ecologici sperimentali ([1]) finalizzati a monitorare gli sviluppi e i progressi dei programmi di conservazione europei, oppure da lavori più recenti ([29]), volti alla realizzazione della mappatura delle condizioni delle foreste in Europa.
In tempi recenti si è assistito ad un aumento delle superfici forestate in Europa, con incrementi di oltre il 9% rispetto alle stime degli ultimi trent’anni ([13]), raggiungendo un totale di 227 milioni di ettari di superficie, pari al 35% della superficie del continente europeo ([7], [13]).
Il fenomeno è facilmente osservabile in quelle aree agricole montane o collinari abbandonate o caratterizzate da una debole attività antropica; queste, seguendo il corso naturale delle successioni ecologiche, passano dalla copertura di specie erbacee alla presenza di specie arbustive come rovo e prugnolo (Rubus spp., Prunus spinosa) e, dopo un lungo periodo di transizione, alla copertura forestale vera e propria con specie tipicamente forestali associate alle caratteristiche della zona.
L’obiettivo del presente è la messa a punto di un approccio metodologico per la stima della naturalità di un ecosistema forestale, sia essa in fase pioniera o già affermata, analizzando tanto i fattori biotici quanto quelli abiotici che contribuiscono alla sua biodiversità.
Materiali e metodi
Per lo sviluppo di questo studio si è tenuto conto delle linee guida europee per la creazione di indicatori biologici - per quanto concerne la questione della standardizzazione e uniformazione dell’indicatore -, come suggerito dall’Agenzia Europea per l’Ambiente e dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD) assieme al Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione Europea ([31], [8]).
Sono stati utilizzati i seguenti cinque indicatori in grado di restituire un’immagine rappresentativa delle condizioni di un ambiente forestale: (i) uno per definire la necromassa legnosa; (ii) uno per gli aspetti faunistici; (iii) uno per le condizioni climatiche; (iv) uno per la biodiversità forestale (in base ai popolamenti e i tipi continentali); (v) uno per definire gli stress e le pressioni a cui l’ambiente in esame è sottoposto.
La scelta che ha portato alla selezione di questi indicatori specifici deriva dalla consapevolezza che la sola abbondanza di specie vegetali non è necessariamente sinonimo di uno stato di conservazione favorevole (ovvero di un ambiente in equilibrio tra estensione geografica, funzioni specifiche al suo mantenimento, sviluppo a lungo termine e stato di conservazione ottimale delle specie tipiche), quanto invece lo è la maggiore disponibilità di risorse ([40], [30], [10], [3], [26]), cosa che potrebbe indurre in errore nella fase di valutazione dell’ecosistema.
L’indicatore totale di biodiversità (Tbio) sarà dato dalla sommatoria dei singoli punteggi ottenuti da ciascun indicatore come nella seguente formula (eqn. 1):
dove “N” è l’indicatore della necromassa legnosa, “B” è l’indicatore della biodiversità e valutazione selvicolturale, “F” è l’indicatore per la fauna, “C” per il clima e “S” per i fattori di stress. Il valore di ogni indicatore è ottenuto utilizzando scale di punteggio da 1 a 5, tranne che per il clima e l’entomofauna, come illustrato di seguito.
Definizione dell’indicatore “N” (necromassa legnosa)
Una gestione forestale corretta deve dare il giusto peso alle dinamiche che avvengono grazie alla necromassa. Nel corso degli anni la presenza del legno morto si è tramutata da indice di cattiva gestione a segnale di gestione sostenibile nell’ottica di una più spiccata naturalità ([12]), fatte salve le dovute eccezioni per cui tale elemento può rappresentare un fattore di rischio non sottostimabile, ad esempio per quanto riguarda gli incendi forestali o quelle situazioni in cui è probabile l’eventualità di attacchi parassitari che la presenza di legno morto potrebbe favorire.
Nello scenario italiano, a causa delle particolari condizioni ambientali e climatiche e del contesto territoriale ([35]), la presenza media di legno morto è minore rispetto a quelle rilevata in zone tipicamente mediterranee. Infatti, è possibile riscontrare significative differenze tra le formazioni presenti nelle aree centro meridionali, che sono caratterizzate da coperture arboree termofile e le formazioni prettamente montane o alpine, dove i fattori che influenzano la velocità di decomposizione del legno sono prettamente di origine climatica, e implicano anche un maggior rischio di incendi e una minore incidenza di fenomeni come gli schianti da vento, tipici delle foreste alpine; di contro è possibile notare una tendenza differente nei boschi caratterizzati da una gestione poco intensiva così come in boschi invecchiati o abbandonati.
Il legno morto è un habitat particolarmente vocato sia per le numerose specie detritivore, che ricorprono ruoli significativi nella complessa rete trofica dell’entomofoauna, caratterizzata da un’elevata ricchezza in specie (come le specie saproxiliche), sia per gli aspetti micologici (macromiceti). Il legno morto fornisce pertanto una nicchia ecologica in cui le specie detritivore e lignocole trovano risorse trofiche e dove hanno la possibilità di compiere in parte o del tutto il loro ciclo biologico ([24]). Queste specie necessitano di legno morto nelle tipologie che più che si confanno alle richieste specifiche (in piedi, a terra, fine, ecc.). In ultimo, anche nelle foreste “coltivate”, ovvero piantagioni utilizzate dall’industria da legno, cartiere e simili, grazie agli impulsi dati dalle conoscenze ecologiche acquisite in questi decenni, si comincia a dare importanza alla creazione di spot di legno morto o morente, considerandoli una parte fondamentale di habitat tipici ([15], [45]). Tutto ciò ci ha portato a considerare la necromassa legnosa come primo indicatore da considerare nel calcolo del punteggio finale.
Il valore di questo indicatore è ottenuto utilizzando una metodologia di lavoro già consolidata in campo forestale per ottenere un dato derivante dalla media dei valori ottenuti per i singoli plot di campionamento; successivamente si procede al confronto di tale dato con i valori di necromassa legnosa riscontrabili in vari tipi forestali europei, assegnando in questo modo il valore finale di questo indicatore tramite una scala di punteggio.
Nella prima fase quindi viene impiegato un protocollo di lavoro ([42]) che richiede la realizzazione di aree di saggio di 50 × 50 m e sub-plot circolari di 7 m di raggio con un lato orientato verso il nord magnetico, come illustrato in Fig. 1. Il numero di tali aree varia a seconda dell’estensione della zona presa in esame e dell’eterogeneità del popolamento forestale, e verrà giudicato in base al confronto dei piani di assestamento forestali e delle carte della vegetazione. Per i boschi a maggiore complessità i plot devono comprendere gli aspetti che caratterizzano l’area d’indagine, ovvero dovranno rappresentare la composizione del popolamento, la tipologia gestionale (se il bosco è gestito), l’intervallo di tempo trascorso da quando è stato svolto l’ultimo intervento di gestione e dovranno presentare un’omogeneità topografica; il tutto per garantire la migliore distribuzione possibile delle aree di saggio. Per gli ambienti estremamente semplificati (come può essere un pioppeto di pioppo ibrido I-214, anche esteso per 100 ha, su un’area geograficamente omogenea) anche solo due plot di campionamento possono risultare sufficientemente rappresentativi.
Fig. 1 - Schema dell’area di saggio e composizione del plot di rilievo, ovvero un quadrato da 50 m di lato con sub plot circolari da 7 m di raggio. La direzione della freccia indica il nord (fonte: [27]).
All’interno di ogni area di saggio e dei sub plot si rilevano le categorie di legno morto ripartite come segue: (i) alberi morti in piedi, area di saggio “plot” (diametro a petto d’uomo, DBH ≥ 5 cm); (ii) alberi troncati, area di saggio “plot” > 4 m (DBH ≥ 5 cm); (iii) alberi morti troncati, area di saggio “plot” ≤ 4 m (DBH ≥ 5 cm); (iv) alberi morti a terra, area di saggio “plot” (DBH ≥ 5 cm); (v) pezzi di legno morto di piccole dimensioni, area di saggio “sub-plot” (diametro dell’estremità più spessa ≥ 5 cm); (vi) ceppaie, area di saggio “sub-plot” (diametro ad altezza del taglio ≥ 10 cm, altezza < 1.3 m).
L’utilizzo delle classi di decadimento permette inoltre di poter stimare il grado di degradazione della necromassa e poter meglio comprendere come classificare il legno morto durante operazioni di inventario e raccolta dati; per esempio, frammenti di dimensioni ridotte possono venire considerati come parte della lettiera e non della ramaglia ([44]).
Le classi di decadimento utilizzate e la loro descrizione sono le seguenti ([16]): Classe 1 - ceppaie tagliate di fresco, tronchi o branche con legno duro, corteccia intatta, tronco rotondo in sezione trasversale; Classe 2 - Il legno può essere decomposto superficialmente (oltre 1 cm), corteccia staccata ed in parte caduta, fusto rotondo in sezione trasversale; Classe 3 - la maggior parte del fusto può essere decomposto per parecchi centimetri, fusto rotondo in sezione trasversale; Classe 4 - legno soffice completamente decomposto, fusto ovale in sezione trasversale, con grandi aperture, il legno perde la sua consistenza e si disintegra quando viene toccato; Classe 5 - i residui della pianta possono essere riconosciuti nello strato di lettiera o si distinguono nella vegetazione.
Tavole di cubatura
Le tavole di cubatura da impiegare per il calcolo del volume degli alberi morti in piedi e troncati e di quelli morti a terra sono quelle messe a punto in occasione dell’Inventario Forestale Nazionale del 2005 (INFC - [41]). I volumi vengono calcolati applicando le formule previste per ciascuna tipologia forestale e strutturale.
Il volume (V) delle ceppaie, degli alberi troncati di piccole dimensioni e delle ramaglie (H ≤ 4 m, DBH ≥ 5 cm) verrà invece calcolato mediante l’utilizzo della formula della sezione mediana, a livello del plot, come media dei valori stimati a livello dei quattro sub-plot (eqn. 2):
dove Sm è l’area della sezione presa a metà lunghezza e H è la lunghezza totale del tronco.
Procedimento per il calcolo delle cubature
Per ogni componente di legno morto rilevato nell’area di saggio o nei sub-plot circolari i valori relativi ai volumi vengono successivamente riportati ad ettaro con un fattore moltiplicativo di 4 per i plot e di 65 per i sub-plot.
Il valore finale dell’indicatore “N” dipenderà quindi dal valore complessivo della cubatura della necromassa stimata all’interno dell’area in esame (mediandola aritmeticamente, in caso di più plot), confrontandola con i valori medi di riferimento illustrati dall’inventario forestale nazionale a seconda del tipo o popolamento forestale in cui si svolge l’indagine.
Il punteggio viene quindi assegnato in questo modo: 1 punto se il risultato è sotto la media, 2 punti se il risultato è compreso nei valori medi, 3 punti se il valore riscontrato è superiore alla media. Se il volume ad ettaro fosse eccedente in modo considerevole, sarà possibile assegnare 1 o 2 punti supplementari nel caso in cui sia doppia (1 punto) o tripla (2 punti) rispetto ai valori di riferimento riportati in inventario, per raggiungere un punteggio totale massimo di 5; sarebbe invece da considerare la sottrazione di 1 punto se la necromassa eccedente risultasse in un’area a forte propensione di incendi.
Definizione dell’indicatore “B” (biodiversità e valutazione selvicolturale)
L’assegnazione del valore a questo indicatore avviene determinando sul campo, unitamente alle carte della vegetazione, la gestione del popolamento (se riscontrata) e la complessità che ne deriva, tenendo conto dello stadio di sviluppo, della maturità e della tipologia di popolamento. I valori attribuibili sono posti su una scala che va da un punteggio iniziale di 1 (minimo), per un’area a scarsa o nulla biodiversità, a un punteggio di 5 (massimo), per un’area ad alta complessità ecologica.
Logicamente il criterio di gestione e di governo dell’area forestata determina il grado di complessità: si avranno pertanto punteggi bassi per boschi gestiti a ceduo, punteggi superiori per boschi convertiti a fustaia con sistemi di sottobosco complessi, aree golenali che possono garantire buoni livelli di necromassa legnosa e risorse per le specie animali e cosi via.
È possibile considerare quindi “B” come un valore indicatore che indirettamente fornisce informazioni su un quadro generale piuttosto ampio e permette di ipotizzare la complessità dell’area presa in esame in base alla tipologia ambientale.
La ripartizione degli ambienti viene effettuata in base alle principali tipologie di bioma e, successivamente, di ecosistemi riscontrabili a livello nazionale e continentale, individuando infine anche il fattore antropico come variabile in grado di condizionare (o di creare, in alcuni casi) una tipologia di ecosistema ([23]). Vengono dunque valutate la complessità, la pratica di gestione e lo stato di naturalità.
Le tipologie sono inoltre divise in due macrocategorie: le tipologia di tipo naturale e quelle di tipo artificiale (Tab. S1, vedi Materiale Supplementare). I biomi identificati, a cui poi vanno ad aggiungersi i loro sottoinsiemi, sono: (i) Foreste decidue temperate: boschi e foreste dei climi temperati, composti del tutto o per la maggior parte da latifoglie, considerati nelle loro tipologie in base agli aspetti bioclimatici, geopedologici e di gestione; (ii) Foreste temperate montane e di tipo boreale: boschi e foreste sviluppate sul piano montano, costituiti da associazioni miste di latifoglie e conifere, abetine in purezza, pinete appenniniche e boschi misti appenninici, con la presenza talvolta di popolazioni glaciali relitte (latifoglie o conifere), e infine popolazioni forestali di tipo boreale, che hanno uno sviluppo simile alle formazioni di tipo alpino; (iii) Foreste alluvionali/zone umide: popolazioni ripariali e loro associazioni (saliceti e pioppeti) nelle varie tipologie e nei vari piani altitudinali, popolazioni legnose ripariali dei fiumi alpini (es. popolazioni di Alnus glutinosa e Fraxinus excelisior), boschi alluvionali di pianura, torbiere boscate; (iv) Foreste sclerofille a macchia mediterranea e di conifere tipiche: boschi misti di latifoglie a foglia coriacea e normale (nelle loro diverse tipologie) in associazione ad arbusteti a macchia mediterranea, pinete marittime; (v) Ecosistemi artificiali: piantagioni di produzioni arboree (fruttifere, industria cartiera, biomassa), popolamenti forestali appenninici/alpini di origine artificiale prevalentemente di conifere a fini di rimboschimento (pino marittimo, pino nero, douglasia, abete rosso, larici), pascoli abbandonati con popolazione pioniera e d’invasione, aree seminaturali e parchi urbani di interesse naturalistico.
Definizione dell’indicatore “F” (interazione della fauna selvatica)
Per quanto riguarda invece la riduzione di biodiversità nell’ecosistema forestale abbiamo considerato la biomassa animale, un fattore che spesso non viene elencato tra quelli “canonici”, sia a livello di progetti internazionali (di cui i programmi REDD+ sono un esempio - [17]), sia in molti contesti nazionali. È nostra convinzione infatti che il monitoraggio della complessità di un ambiente forestale non possa prescindere da attente osservazioni sulla fauna.
Per sottolineare l’importanza di tale variabile e, in particolare, dell’entomofauna saproxilica e delle sue ricadute ambientali, sono stati sviluppati appositi indicatori per valutare lo stadio di una successione (tendenzialmente si utilizza la copertura vegetale) considerando l’abbondanza di specie di insetti legati all’ambiente del legno morto ([43]). Un esempio: in ambienti scarsamente o non correttamente gestiti la quantità e la qualità della necromassa legnosa diminuiscono e si assiste ad una maggior riduzione delle specie saproxiliche; ciò si riflette sulle specie appartenenti ai vari livelli trofici, dapprima sui consumatori primari e in seguito sui predatori di questi, soprattutto se questi ultimi sono specializzati su determinate specie o raggruppamenti ([32]). Per tale motivo queste “specie-ombrello” vengono incluse in questo indicatore.
Riguardo alla biomassa animale, il valore dell’indicatore “F” è ottenuto rapportando l’entomofauna saproxilica (Es), come valore positivo al numeratore, con la fauna superiore potenzialmente dannosa (brucatori e pascolatori - Fs) e l’entomofauna parassita o fitopatogena (Sf) al denominatore (eqn. 3):
Riferendoci quindi all’entomofauna, il valore dei subindicatori riguardanti le specie saproxiliche protette, le specie xilofaghe e le specie dannose a livello forestale viene attribuito in base al livello di minaccia IUCN, oppure se la specie rientra in un particolare status di interesse a fini conservazionistici della zona in cui si effettua lo studio. Il punteggio viene quindi calcolato in base a: (i) presenza della specie saproxilica in una lista di protezione (o di minaccia); (ii) livello di minaccia.
Prendendo in considerazione la protezione a livello locale il punteggio è pari a 1, in quanto in genere non è definibile un differente approccio legislativo in base alla specie quando si parla di insetti saproxilici (Tab. 1). Per quanto invece concerne le specie fitofaghe, si considerano le specie che abbiano manifestato pullulazioni nell’arco degli ultimi 15 anni nella zona oggetto di studio. Tuttavia, parte degli eventi con conseguenti danni sono associati a pullulazioni di specie saproxiliche ([4]) e proprio per questo è applicabile un fattore di riduzione (0.75) per il punteggio attribuito ai fitofagi in modo da definire questi eventi alla base di un aumento di necromassa legnosa in loco. Naturalmente questa distinzione si applica nelle zone in cui il rischio incendi è ridotto e la maggior presenza di legno morto non costituisce un fattore di rischio.
Tab. 1 - Valori di riferimento per l’assegnazione del punteggio per l’entomofauna saproxilica in base a livello di minaccia IUCN o protezione locale.
Riferimento | Categoria | Punteggio |
---|---|---|
IUCN | Critical | 1.5 |
IUCN | Endangered | 1.25 |
IUCN | Vulnerable | 1 |
Protezione a livello locale | - | 1 |
Per quanto riguarda la fauna superiore, invece, l’impatto degli ungulati a livello europeo è in forte crescita ([39]), condizione sensibilmente riscontrabile nelle aree forestali dove le pratiche di selvicoltura sono quasi assenti ([18]). I danni maggiori vengono riscontrati a carico di germogli e gemme nel caso di brucatori selettivi come il capriolo, le cui piccole dimensioni obbligano diete rivolte al consumo degli apici vegetativi. L’integrazione di sali minerali tramite morsicatura di giovani fusti rappresenta un altro danno da ungulati che in molti contesti va a discapito di quelle popolazioni vegetali che soffrono la già alta competizione con specie arboree invasive (ad es. Robinia pseudoacacia). A completare il quadro, oltre ai danni da masticatura, si riscontrano i danni provocati dallo sfregamento per la pulizia dei palchi, i cosiddetti “fregoni”.
Sostanzialmente le tipologie sono distinguibili in danni di origine comportamentale e danni di origine alimentare ([2]). Si è inoltre osservato che la competizioni interspecifica, dovuta ad eccessiva presenza sul posto da parte di ungulati, ha ricadute negative anche sulla fauna stessa; lampante è l’esempio della competizione tra gallo cedrone e cervo o tra cedrone e capriolo ([14], [34]).
Per la fauna omeoterma superiore, intesa come ungulati pascolatori e brucatori impattanti, lo scopo è ottenere una valutazione del carico di popolazione in relazione all’area interessata ricorrendo ai dati ottenibili da fototrappolaggio diretto, censimento, confronto con le carte di vocazione faunistica, inquadramento ambientale e soglie di intervento e di danno che richiedono una gestione faunistica. In quest’ottica si analizza la pressione su cui popolazioni e specie animali potenzialmente dannose possono incidere, oltre a valutarne direttamente la consistenza per poter intervenire in situazioni negative per le specie vegetali (controllo faunistico) oppure, di contro, migliorare l’ambiente forestale per le specie animali ad esse vocato. La presenza di predatori e la competizione interspecifica, unite a fattori ambientali quali il clima e il disturbo antropico, sono da considerare come fattori di riduzione (quindi di segno negativo) di questo subindicatore.
Vengono presi in considerazione per la valutazione del subindicatore: (i) Tipologia ambientale: per questo fattore sono stati individuati tredici tipologie differenti di ambiente che tengono conto di grado di disturbo, habitat potenziale e biodiversità (potenziale e reale). I punteggi attribuiti vanno da 1 (minimo), per una tipologia ambientale estremamente semplificata (come può essere, per esempio, un pioppeto da industria) a 5 (massimo) per un ambiente ad elevata complessità. Le aree di riferimento spaziano dalle zone periurbane fino a boschi veri e propri, con struttura ben definita e sviluppata (Tab. 2); (ii) Specie animale: ci si riferisce agli ungulati per cui sono previsti piani di gestione e controllo faunistico, che fungono da agenti di danno. I valori attribuiti a questo fattore vanno da 1 (minimo) a 3 (massimo), in base alla presenza e vocazione della specie al dato ambiente. La fauna presa in considerazione in questo studio è quella tipica italiana (Tab. 3) ovvero ruminanti, brucatori e pascolatori (oltre al cinghiale). Vengono pertanto considerati capriolo (Capreolus capreolus), cervo (Cervus elaphus), daino (Dama dama), muflone (Ovis ammon) e cinghiale (Sus scrofa); il medesimo criterio è applicabile ad altri areali e animali con impatti e regimi alimentari similari come ad esempio l’alce in Scandinavia ([28]). (iii) Tipologia di danno: i danni vengono conteggiati in base alla tipologia, quindi se il danno è dovuto ad interazione trofica o a comportamenti non strettamente alimentari, in base al tipo di ambiente e stadio fenologico delle piante su cui si riscontra (Tab. 4). Valori da 1 (minimo) a 3 (massimo). (iv) Densità: parametro ottenuto dal raffronto tra censimenti e carte di vocazione faunistica con punteggio da 1 (minimo) a 3 (massimo), in base al numero di esemplari presenti. I valori di riferimento vengono assegnati in base alle densità di riferimento per la superficie utile alla specie. Per gli arboreti da reddito la densità deve essere relazionata alla soglia di danno; il valore ottimale è quello prossimo allo zero (Tab. 3). (v) Soglia di danno: parametro che fornisce una stima dei danni in relazione all’area. Punteggio da 1 (minimo) a 3 (massimo), in base ai risultati delle stime sul campo. Per questo subindicatore si esegue un sopralluogo sull’area utilizzando plot di controllo di 50 m di lato e contando le piante colpite da brucatura, scortecciamento ecc., adeguando il numero di plot alla superficie considerata, come si è visto per la determinazione della necromassa legnosa (Tab. 4). La stima dell’incidenza del danno ad ettaro sarà ottenuta moltiplicando il numero delle piante colpite per un fattore moltiplicativo di 4. In questo modo sarà possibile basare l’incidenza del danno ad ettaro su un dato maggiormente rappresentativo. (vi) Fattori limitanti: presenza di competitori alimentari interspecifici, come la competizione alimentare tra cervo e capriolo ([25]) e/o predatori, il cui valore è pari -0.5. Il valore è negativo in quanto rappresenta un fattore di riduzione del carico di ungulati. Anche per i fattori di origine ambientale (ad es. nevicate abbondanti sulle Alpi) il fattore di riduzione è di -0.5. Questo parametro è stato inserito nelle tabelle della specie animale. Per il muflone inoltre è stato inserito tra i fattori di limitazione anche il disturbo antropico.
Tab. 2 - Tipologie boschive e punteggio di vocazione faunistica.
Tipologia di ambiente o forestale | Valore attribuito |
---|---|
Zona periurbana: zona marginale agli ambienti urbani, scarsa se non nulla biodiversità | 1 (pianura) |
Zona periurbana: zona marginale agli ambienti urbani, scarsa se non nulla biodiversità | 2 (collina-montagna) |
Impianti da reddito: frutteti o arboreti da biomassa o industria cartiera | 1 |
Pascolo in successione spontanea non controllata: zona abbandonata in successione | 2 |
Bosco ripariale o area umida: zone golenale, ripariali, di risorgiva, torbiera umida | 5 |
Ceduo: non viene fatto alcun distinguo tra le tipologie di ceduo | 2 |
Fustaia coetanea mista: bosco misto, impiantato o rinnovato con piante coeve | 3 |
Fustaia disetanea mista: bosco misto, gestito in modo da renderne varia l’età | 4 |
Bosco di conifere coetaneo: bosco di conifere, impiantato o rinnovato con piante coeve | 4 |
Bosco di conifere disetaneo: bosco di conifere, gestito in modo da renderne varia l’età | 3 |
Tab. 3 - Specie animali, densità e fattori limitanti. Per il muflone (Ovis ammon) il fattore limitante della competizione alimentare è sostituito dal disturbo antropico. (*): salvo eccezioni quando si verificano competizioni con il camoscio alpino, o popolazioni problematiche (p.es., Isola del Giglio).
Specie animale e valore |
Densità (×100 ha) | Fattori limitanti | ||
---|---|---|---|---|
Competizione (-0.5) |
Fattori climatici (-0.5) |
Predazione (-0.5) |
||
Capreolus capreolus: 3 | 5-10 capi: 1 | Con cervo e daino | innevamento | Se presenti predatori |
10-20 capi: 2 | ||||
Oltre 20 capi: 3 | ||||
Cervus elaphus: 2 | 1 capo: 1 | Con il daino | Innevamento | Se presenti predatori |
2-4 capi: 2 | ||||
Oltre 4 capi: 3 | ||||
Dama dama: 3 | 1-4 capi: 1 | Con cervo e muflone | Innevamento | Se presenti predatori |
4-8 capi: 2 | ||||
Oltre 8 capi: 3 | ||||
Sus scrofa: 3 | 1-4 capi: 1 | (ipotizzata) con orso | - | Se presenti predatori |
4-8 capi: 2 | ||||
Oltre 8 capi: 3 | ||||
Ovis ammon: 1* | 3-7 capi: 1 | Disturbo antropico | Innevamento elevato | Estremamente predato |
10-20 capi: 2 | ||||
Oltre 20 capi: 3 |
Tab. 4 - Tipologia di danno (e punteggio) e valore per incidenza nel calcolo dell’indicatore “F”.
Tipologia di danno e punteggio | Valore per incidenza |
---|---|
Scortecciamento su grattatoio: 1 | Tra 1 e 10% delle piante:1 |
Tra 10 e 20% delle piante: 2 | |
Oltre 20% delle piante: 3 | |
Scortecciamento da fregone (pulizia dei palchi, stagionale): 2 | Tra 1 e 10% delle piante:1 |
Tra 10 e 20% delle piante: 2 | |
Oltre 20% delle piante: 3 | |
Brucatura su pianta affermata: 2 | Tra 1 e 10% delle piante:1 |
Tra 10 e 20% delle piante: 2 | |
Oltre 20% delle piante: 3 | |
Brucatura su rinnovazione e sottobosco: 3 | Tra 1 e 10% delle piante:1 |
Tra 10 e 20% delle piante: 2 | |
Oltre 20% delle piante: 3 | |
Scortecciamento a scopi alimentari (in inverno) : 3 | Tra 1 e 10% delle piante:1 |
Tra 10 e 20% delle piante: 2 | |
Oltre 20% delle piante: 3 | |
Danni a frutti (solo per arboreti da reddito): 3 | Tra 1 e 5%: 1 |
Tra 5 e 10%: 2 | |
Oltre 10%: 3 | |
Altro: 1 | - |
Il dato finale riguardante la fauna superiore (Fs) sarà ottenuto quindi dalla sommatoria di tutte le voci sopra riportate, incluso il fattore di danno economico per gli arboreti da reddito (eqn. 4):
dove Ta è la tipologia ambientale, Td la tipologia danno, Sa la specie animale, Fl sono i fattori limitanti, D la densità e Sd è la soglia di danno.
Definizione dell’indicatore “C” (fattori climatici)
Questo indicatore (scomposto) è ottenuto confrontando la classificazione climatica dell’area presa in considerazione (fattore climatico), le giornate di rischio incendio (fattore di rischio) e, nel caso di boschi gestiti, le pratiche che possono ridurre l’incidenza degli incendi boschivi, infine l’utilizzo nelle formazioni riforestate di varietà ed essenze resistenti ai fenomeni siccitosi (fattore di mitigazione). In ultimo viene attribuito anche un valore all’incidenza, ultimamente più frequente, marcata e negativa, delle anomalie climatiche stagionali (fattore di anomalia climatica).
Il fattore climatico è formulato sulla base delle classificazioni climatiche di Köppen ([19], [20], [21], [22]), attraverso le quali è possibile ottenere informazioni riguardo umidità, precipitazioni, temperature ed escursioni termiche medie annue; l’utilizzo di questa classificazione è piuttosto semplice ed applicabile sia su vaste regioni che a scala ridotta.
Prendendo come esempio l’Italia, da questa classificazione abbiamo ricavato il primo fattore: la macro fascia climatica. Considerata la complessità della Penisola italiana, utilizzando la classificazione climatica di Köppen, avremo ([36]):
1. Climi di tipo C (temperato), ripartiti in: (i) Csa tendente a BS (clima temperato mediterraneo caldo a transizione subtropicale tendente a BS), che interessa le zone costiere dell’Italia meridionale e insulare, la cui temperatura media annua è maggiore di +17 °C; la media del mese più freddo è maggiore 10 °C, registrando cinque mesi con una media superiore a +20 °C. L’escursione termica annua varia da 13 a 17 °C. Precipitazioni medie annuali inferiori ai 500 mm. (ii) Csa (clima temperato mediterraneo caldo), riscontrabile nella zona ligure-tirrenica, medio adriatica e ionica. La media annua oscilla tra +14.5 e +16.9 °C; la media del mese più freddo si attesta tra 6 e 9.9 °C; i mesi con temperatura media registrata superiore a 20 °C sono quattro; infine, l’escursione termica annua varia da +15 a +17 °C. Le precipitazioni sono comprese tra 500 e 600 mm annui. (iii) Csb (clima temperato sublitoraneo interno). Questo tipo di clima si localizza nelle zone collinari di Toscana, Umbria, Marche ed i versanti bassi dell’Appennino meridionale. Il profilo termico registra una media annua che va da +10 a +14.4°C; la media del mese più freddo è compresa tra +4 e +5.9 °C, mentre sono tre i mesi con media superiore a +20 °C. L’escursione termica annua è compresa tra +16 e +19 °C. Le precipitazioni medie sono comprese tra 600 e 700 mm annui. (iv) Cfa (clima temperato continentale caldo) riscontrabile in tutta la pianura padana, pianura veneta e friulana, oltre alla fascia costiera dell’alto Adriatico e nella zona peninsulare interna. La media annua varia tra +9.5 e +15 °C, mentre la media del mese più freddo è compresa tra -1.5 e +3 °C. Normalmente sono tre i mesi con una temperatura media di +20 °C e l’escursione annua è superiore a 19 °C. Le precipitazioni si attestano su valori medi compresi tra 700 e 1200 mm all’anno. (v) Cfb/Cfc (clima temperato continentale fresco), localizzato a livello delle Prealpi e dell’arco appenninico. Il profilo termico prevede una media annua compresa tra +6 e +9.9 °C, la media del mese più freddo è compresa tra 0 e -3 °C, la media del mese più caldo tra +15 e +19.9 °C. Infine, l’escursione termica annua si attesta tra +18 e +20 °C. Per le zone comprese nella fascia climatica di tipo Cfb le precipitazioni medie registrano valori compresi tra 1200 e 2000 mm annui, mentre per la fascia climatica Cfc sono compresi tra 2000 e 3000 mm annui.
2. Climi di tipo D (clima temperato freddo) riscontrabile prevalentemente nella regione alpina e nelle aree sommitali dell’Appennino centromeridionale e dell’alto Appennino settentrionale. (i) DfH (clima temperato freddo d’altitudine), nelle zone alpine ha come limite 2000 m di quota, oltre i quali è inserito in una classificazione differente. La media annua ha valori compresi tra +3 e +5.9 °C, la media del mese più freddo è inferiore a -3 °C, mentre per quanto riguarda la media del mese più caldo, essa è compresa tra +10 e +14.9 °C. L’escursione termica annua è tra +16 e +19 °C. Le precipitazioni medie annue sono superiori a 3000 mm all’anno.
Utilizzando lo schema descritto sopra, è possibile collegare fascia climatica, precipitazioni e temperature, utilizzando una scala di punteggio che metta in relazione questi tre fattori per qualsiasi zona. Dal momento che il clima interessa sì lo sviluppo del soprassuolo, ma anche le dinamiche che avvengono direttamente sul suolo, come la degradazione della lettiera, della necromassa, e quindi anche del ciclo del carbonio e di conseguenza la biodiversità in toto, l’elemento climatico entra in gioco anche nell’orientare le pratiche di gestione selvicolturale, di messa a dimora, ecc.
Per questo subindicatore viene fatto riferimento a due fattori che andranno a comporne il valore finale, partendo dalla fascia climatica di riferimento avremo così (Tab. 5): (i) la media dei mm di pioggia annui (registrati nei cinque anni precedenti e ottenuti dalle misurazioni dei pluviometri locali); (ii) la media delle giornate di rischio incendio (ottenute dallo storico dei database regionali sulla media dei giorni di rischio registrata nei cinque anni precedenti). Per ottenere il valore totale dell’indicatore “C” viene quindi eseguita la somma dei punteggi ottenuti per l’area presa in considerazione, ovvero, la somma del punteggio delle precipitazioni e del punteggio delle giornate di rischio per la fascia climatica individuata.
Tab. 5 - Fattori climatici e punteggi assegnati nel calcolo dell’indicatore “C”.
Fascia climatica | mm riferimento |
Precipitazioni (mm anno-1) |
Giornate rischio incendio |
---|---|---|---|
Csa (a transizione subtropicale) | <500 mm | +1 quando nella media | +1 se nella media |
+0.5 quando fuori media | -0.5 se oltre la media | ||
Csa (temperato mediterraneo) | Tra 500 e 600 mm | +1 quando nella media | +1 se nella media |
+0.5 quando fuori media | -0.5 se oltre la media | ||
Csb (temperato sublitoraneo) | Tra 600 e 700 mm | +1 quando nella media | +1 se nella media |
+0.5 quando fuori media | -0.5 se oltre la media | ||
Cfa (temperato continentale) | Tra 700 e 1200 mm | +1 quando nella media | +1 se nella media |
+0.5 quando fuori media | -0.5 se oltre la media | ||
Cfb (temperato a estate tiepida) | Tra 1200 e 2000 mm | +1 quando nella media | +1 se nella media |
+0.5 quando fuori media | -0.5 se oltre la media | ||
Cfc (temperato fresco) | Tra 2000 e 2500 mm | +1 quando nella media | +1 se nella media |
+0.5 quando fuori media | -0.5 se oltre la media | ||
DfH (temperato d’altitudine) | >3000mm | +1 quando nella media | +1 se nella media |
+0.5 quando fuori media | -0.5 se oltre la media |
Definizione dell’indicatore “S” (stress e disturbo all’ambiente)
La difficoltà maggiore nel trattare quest’ultimo indicatore è legata alla necessità di evitare ridondanza tra gli altri indicatori precedentemente descritti. Dal momento che molti fattori che sono effettivamente riconducibili al concetto di “disturbo” e “stress”sono stati inclusi in altri parametri presentati in precedenza (ad es., i danni da fauna), si è deciso di considerare nei parametri dell’indicatore “S” esclusivamente i disturbi dovuti ad azione umana e quelli dovuti alla competizione con specie botaniche aliene introdotte nell’ambiente di studio, in quanto elementi turbativi delle naturali dinamiche di competizione delle popolazioni locali (competizione interspecifica e intreaspecifica). Per queste ultime, lo stress è quantificato sulla base dell’abbondanza (in percentuale) rispetto alle popolazioni tipiche e alle caratteristiche della specie introdotta.
I fattori di disturbo antropico, per questioni di praticità, sono stati selezionati tra quelli più comuni e riscontrabili con maggiore frequenza, anche se è corretto sottolineare come non sempre il danno sia attribuibile a condotte dolose, ma più correttamente a comportamenti colposi, che possono avere ricadute negative sull’ambiente forestale.
I fattori che contribuiscono al valore di questo indicatore sono: (i) esboschi e pratiche selvicolturali praticati in modo non corretto; (ii) assenza di gestione forestale per quelle formazioni boschive di particolare interesse geotecnico, naturalistico, di protezione, per cui la mancata pianificazione e l’assenza dei lavori di manutenzione forestale possano compromettere le funzioni indicate; (iii) disturbi antropici da attività turistiche; (iv) disturbi provocati dalla presenza di infrastrutture; (v) disturbi provocati da attività illegali (abusivismo, discariche illegali, incendi dolosi, incendi colposi, ecc.).
Per quanto riguarda gli incendi, è opportuno valutare la risposta all’evento perturbativo (gli eventi di disturbo, come appunto sono gli incendi, variano a seconda di durata, intensità ed estensione) considerando anche la tipologia di popolamento e le strategie di adattamento all’evento (se evolutesi per propagarsi grazie al fuoco, la capacità di resistere alle fiamme, produzione maggiore di semi in stagioni di forte rischio, ecc). Quanto più saranno sfavoriti questi caratteri, tanto più le risposte saranno lente in favore dell’evento dannoso.
Tutte le casistiche indicate vengono inserite all’interno di una griglia di punteggio (Tab. 6), su una scala da 1 (impatto basso) a 5 (impatto estremamente alto).
Tab. 6 - Fattori di stress antropico e da competizione con invasive e relativi valori assegnati nel calcolo dell’indicatore “S”.
Tipologia di disturbo |
Tipo/specie | Copertura (%) |
Punteggio |
---|---|---|---|
Antropico e/o assenza gestione |
Scorretta gestione forestale | - | 2 |
Disturbi antropici da attività turistiche | - | 1 | |
Esboschi e pratiche selvicolturali errate | - | 3 | |
Disturbi provocati da infrastrutture | - | 4 | |
Disturbi provocati da attività illegali | - | 5 | |
Percentuale invasive (e specie riferimento) |
Robinia pseudoacacia | 0-1 | 0.5 |
1-5 | 1.5 | ||
5-10 | 2.5 | ||
10-25 | 3.5 | ||
> 25 | 4.5 | ||
Ailanthus sp. | 0-1 | 1 | |
1-5 | 2 | ||
5-10 | 3 | ||
10-25 | 4 | ||
> 25 | 5 |
Nel secondo sub-indicatore, invece, si valuta la percentuale di copertura delle specie aliene, facendo riferimento alle metodologie di propagazione di due specie con caratteristiche invasive come Robinia pseudoacacia e Ailanthus sp. Queste specie non si sono coevolute con la flora locale, ed hanno un forte carattere di invasività anche a scapito di altre specie potenzialmente invasive ma autoctone. In zone debolmente gestite o lasciate ad evoluzione naturale, sempre più spesso trovano spazio queste specie alloctone, le quali, a causa del loro rapido ritmo di crescita, entrano poi in fortissima competizione con la flora locale ([33], [37]), causando sottrazione di nutrienti e ombreggiatura del suolo.
Il metodo con cui si assegna il punteggio per quest’ultimo fattore è definito in base alla stima per ettaro della percentuale di presenza di tali specie sul totale degli individui presenti nell’area considerata, tramite calcolo speditivo da rilievo dendrometrico e/o basato su immagine da drone. In Tab. 6vengono presi in considerazione due tra i principali competitori alieni, utilizzati come specie di riferimento, ma il criterio è applicabile a tutte le specie arboree con comportamento analogo, come potrebbe essere, ad esempio, eucalipto a forte presenza incontrollata. Perciò, si ritiene che tali valori di riferimento possano essere utilizzati anche per altre specie con caratteristiche analoghe (ad es., una maggiore capacità di ricaccio, di propagazione tramite pollone, seme, ecc.).
Il punteggio per la Robinia pseudoacacia può essere pari a quello dell’ailanto, se questa risulta tagliata anche in modo “amatoriale” per l’utilizzo come combustibile andando così a portare una maggior presenza di ricacci.
Il punteggio finale sarà ottenuto sommando i punteggi dei subindicatori (Tab. 6).
Conclusioni
L’indicatore di naturalità dell’ambiente forestale oggetto di questo studio è stato sviluppato con l’intenzione di fornire uno strumento di lavoro efficace, affinando i tentativi di creare indici di questo tipo a livello europeo (per esempio, Forest Europe).
Trattandosi di un lavoro ancora in fase di elaborazione e formalizzazione sarebbe utile la collaborazione con istituti ed enti di ricerca del settore, testando aree all’intero di siti Natura2000 e aree esterne a questi siti protetti, per poter operare dei confronti dal punto di vista della naturalità degli ambienti, oltre che per indagare i risultati di questa metodologia per differenti aree europee, al fine di poter stabilire possibili fattori di correzione e adeguamento e, infine, per svolgere tutte le analisi statistiche più idonee a supporto di quest’indice con l’obiettivo di migliorarlo e renderlo effettivamente utilizzabile in campo.
Attraverso l’analisi dei risultati, oltre a poter disporre un punteggio confrontabile con altri ambienti similari, si possono raffrontare i parametri all’interno dell’equazione per poter orientare al meglio strategie di selvicoltura sostenibile ai fini di miglioramenti ambientali, rinaturalizzazione e gestione in senso stretto.
Sarebbe inoltre auspicabile l’inclusione tra gli indicatori o i subindicatori di un fattore di capacità di mitigazione climatica o di capacità di assorbimento del carbonio, unitamente ad un fattore per valutare le anomalie climatiche presenti nell’ambiente forestale su cui si sta svolgendo l’attività.
Ringraziamenti
Si ringrazia il Dott. Francesco Parisi ed il Prof. Davide Travaglini per il loro supporto tecnico e il materiale fornitoci, oltre che al Prof. Giorgio Vacchiano per averci dedicato tempo, pareri e infine motivato. Un particolare ringraziamento al Dott. Riccardo Fermi Sgorbati, per l’inestimabile lavoro di revisione linguistica.
References
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