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A new paradigm for sustainable forest management: closeR to nature forest management

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 19, Pages 52-62 (2022)
doi: https://doi.org/10.3832/efor4124-019
Published: May 22, 2022 - Copyright © 2022 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

Closer-to-Nature Forest Management is a new concept proposed both in the EU Forest Strategy for 2030 and in the EU Biodiversity strategy for 2030. Closer-to-Nature Forest Management aims to improve the conservation values and climate resilience of multifunctional, managed forests in Europe. We present the concept based on a set of seven guiding principles and discuss main problems and opportunities of its application at continental scale and in Italy.

Keywords

Silviculture, Forest Management, Biodiversity, European Union, Strategy, Ecosystem Services

Introduzione 

La Commissione Europea ha recentemente adottato la nuova Strategia UE 2030 per le foreste ([20]). Essa è strettamente collegata al Green Deal europeo ([18]) ed alla Strategia UE 2030 per la per biodiversità ([19]). L’obiettivo principale della nuova strategia forestale per il 2030 è quello di aumentare la quantità e la qualità delle foreste e di rafforzarne protezione, resilienza e recupero funzionale. La strategia UE 2030 per le foreste riconosce il ruolo centrale e multifunzionale delle foreste e il contributo dei selvicoltori e dell’intera catena del valore di questo settore nel dar vita, entro il 2050, a un’economia sostenibile e climaticamente neutra, garantendo nel contempo la ricostituzione, la resilienza e l’adeguata protezione di tutti gli ecosistemi. Infine la strategia contribuisce al pacchetto di misure proposte per ottenere riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra di almeno 55% entro il 2030 e neutralità climatica nel 2050 nell’UE (pacchetto Fit for 55) fornendo un importante contributo per migliorare l’assorbimento del carbonio da parte dei pozzi naturali come previsto dagli impegni assunti sul clima (Regolamento UE 2021/1119).

Gli obiettivi e le strategie per clima, biodiversità e foreste della UE sono ambiziosi e richiedono foreste più estese, più sane e più diversificate per favorire lo stoccaggio e il sequestro del carbonio, attenuare gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana e porre un freno alla perdita di habitat e specie.

Foreste e biodiversità 

Le strategie finalizzate alla conservazione della biodiversità forestale possono essere classificate in due categorie (Fig. 1): (i) la strategia segregativa che prevede una netta separazione spaziale e di destinazione d’uso tra le foreste destinate alla protezione (Riserve integrali) e le foreste destinate alla produzione (Foreste produttive); e (ii) la strategia integrativa che prevede gradi di protezione differenziati che partono dalla protezione rigorosa (Riserve integrali) e, in funzione della destinazione d’uso della foreste e della vincolistica presente, definiscono diversi livelli di tutela (riserve orientate e speciali, aree di rispetto) ed una maggiore multifunzionalità delle foreste ([29], [10], [27], [1]). Tradizionalmente in Europa la strategia privilegiata è quella integrativa ma, nell’ambito di questa, le politiche in atto prevedono un aumento della quota di foreste da destinare ad una protezione integrale. Entrambe le strategie EU 2030 per biodiversità e foreste prevedono infatti un aumento delle aree protette (che dovrebbero arrivare al 30% del territorio nel 2030) ed un aumento delle aree di “rigorosa protezione” all’interno delle aree protette (un terzo delle aree protette entro il 2030). Tra le aree meritevoli di “rigorosa protezione” entrambe le strategie individuano come prioritarie le “foreste vetuste” ([59], [50]). Queste foreste, accanto al ruolo di conservazione della biodiversità, dovrebbero anche svolgere il ruolo di modello per migliorare l’integrazione tra i servizi ecosistemici ed in particolare tra la conservazione della biodiversità e la produzione. Per raggiungere l’obiettivo di erogare i servizi ecosistemici richiesti e di aumentare il livello di tutela della biodiversità nella gestione forestale, le strategie per la biodiversità e per le foreste prevedono diversi strumenti ma entrambe affidano il ruolo centrale di questa integrazione e multifunzionalità ad un approccio di gestione forestale “innovativo” che viene definito quale “selvicoltura più prossima alla natura” (closeR to nature silviculture).

Fig. 1 - Strategie di segregazione e di integrazione per la conservazione della biodiversità. La figura mostra solo i principi di complementarietà tra la gestione segregativa e integrativa. I diagrammi di profilo dei tipi di foresta mostrati si riferiscono alle foreste temperate dell’Europa centro-meridionale, una rappresentazione diversa sarebbe necessaria per altri biomi (da: [29], modificato).

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In particolare la Strategia UE 2030 per la Biodiversità cita “la superficie forestale coperta dai piani di gestione dovrebbe includere tutte le foreste gestite di proprietà pubblica e un numero maggiore di foreste private, ed è auspicabile mantenere e sviluppare ulteriormente le pratiche rispettose della biodiversità, come ad esempio la selvicoltura più vicina alla natura”, mentre nella Strategia UE 2030 per le foreste la Commissione si impegna a “ rivedere, integrare e aggiornare i criteri di vaglio tecnico dell’atto delegato relativo agli aspetti climatici della tassonomia per la selvicoltura e la bioenergia, ove necessario, per tenere maggiormente conto delle pratiche compatibili con la biodiversità attualmente in fase di sviluppo, quali la selvicoltura più rispettosa della natura”.

Alcuni esempi di quelli che, secondo la Commissione, sono applicazioni di “selvicoltura più vicina alla natura”, sono citati nella stessa Strategia forestale: “si pensi alla creazione o al mantenimento, a livello di singola unità boschiva e di paesaggio, di foreste miste geneticamente e funzionalmente diverse, in particolare con più latifoglie e alberi a foglie decidue e con specie aventi sensibilità biotiche e abiotiche differenti e meccanismi di recupero in caso di perturbazioni, invece di impianti monocolturali. Pratiche di gestione quali le foreste disetanee e i modelli di silvicoltura a copertura continua, quantità sufficienti di legno morto, la regolazione della densità della fauna selvatica e la creazione di habitat protetti o di aree messe a riposo all’interno di foreste destinate alla produzione contribuiscono anch’essi a garantire la sostenibilità ambientale e socioeconomica a lungo termine delle foreste. Pratiche di gestione dei rischi legati alle foreste, quali i sistemi integrati di gestione degli incendi boschivi, aumenteranno inoltre la resilienza delle foreste contro incendi, parassiti e malattie ed innescheranno altre ricadute positive”. Questi esempi virtuosi sono confrontati con altre modalità di gestione delle foreste che, sempre secondo la commissione, sono da valutare con cautela in un’ottica di sostenibilità come ad esempio: “Tra queste pratiche selvicolturali figura il taglio raso, per il quale sarebbe opportuno considerare sempre di più i rischi per l’ambiente e l’ecosistema, comprese le necessità di alcune specie”. Per la definizione più completa ed articolata delle modalità applicative la Strategia forestale rimanda alla definizione di specifiche “Linee guida per una selvicoltura più rispettosa della natura”.

Selvicoltura più vicina alla natura 

Nei secoli passati la gestione forestale, sulla base delle richieste della società, è stata prevalentemente orientata alla produzione di legno ([58]). Questo indirizzo ha portato, anche se con intensità variabile a livello regionale, a una semplificazione e omogeneizzazione strutturale delle foreste con formazione di popolamenti puri, monostratificati ed a volte anche con uso di specie non autoctone ([21]). Questa trasformazione ha in parte compromesso resistenza e resilienza delle foreste che sono poi state ulteriormente indebolite dagli stress climatici provocati dai cambiamenti globali. Le conseguenze di questi processi sono il manifestarsi di fenomeni di deperimento ([69], [22], [15]), un aumento della mortalità conseguente a disturbi naturali o ad interazione tra disturbi naturali ([60], [64]), un aumento della mortalità conseguente ad estremi climatici ([5], [65]) ed una diminuzione dell’accrescimento di diverse specie ([12], [36]). Le foreste europee, anche se complessivamente sono in fase di espansione ed aumento della biomassa legnosa per unità di superficie ([21]), sono quindi in sofferenza e vedono già oggi, ma ancora di più in prospettiva, diminuita o compromessa la loro capacità di erogare alcuni servizi ecosistemici ([40], [63]).

In questi ultimi decenni, grazie alle migliori conoscenze di ecologia forestale ed a una maggiore attenzione dei portatori di interesse e della società nei confronti delle tematiche ambientali, è aumentata la consapevolezza dell’importanza di orientare la gestione sulla base di criteri naturalistici ([30]). Questa tendenza è prevalente ma non uniforme a livello continentale in quanto ci sono regioni dove questa tendenza trova forti opposizioni ([24]).

Il principio di gestione su basi naturalistiche non è però nuovo in quanto, nella grande diversità delle selvicolture europee, già a partire dalla fine del XIX secolo sono stati sviluppati modelli di gestione delle foreste che possono essere definiti prossimi alla natura. Questi includono la selvicoltura naturalistica (close to nature forestry), il bosco permanente (dauerwald), tutti i sistemi che possono essere riferiti al mantenimento di una copertura continua (continuous cover forestry), la selvicoltura attenta al rilascio di alberi vivi e morti (retention forestry), la selvicoltura orientata all’imitazione dei disturbi e dei processi naturali (natural disturbance based forestry) e la selvicoltura ecologica e sistemica ([54], [32], [49], [67], [28], [37]). Tutte queste modalità di gestione sono ispirate dalle strutture e dai processi di successione osservati in foreste naturali di riferimento per ciascuna categoria forestale. Nel 1989 in Europa è stata anche fondata Pro Silva, una Società che ha come finalità “la promozione di una selvicoltura che, nel rispetto degli equilibri naturali, sia capace di soddisfare le esigenze ecologiche, economiche e sociali, richieste dalla società attuale”. Più recentemente, una vasta gamma di approcci su basi naturali (nature based), definiti collettivamente “climate smart forestry” sono stati proposti per l’adattamento delle foreste ai cambiamenti climatici e ad altre minacce esterne ([66], [14], [13]).

In che cosa consiste quindi l’approccio innovativo proposto dalla Strategia forestale UE? La distinzione consiste in una lettera in più, cioè il passaggio da “close to nature” a “closeR to nature” cioè da prossima alla natura a più prossima alla natura. La differenza applicativa consiste nel fatto che non si definisce o idealizza un punto di arrivo o uno stato ideale, ma si delinea un percorso che dipende dal punto di partenza e da diversi altri fattori ambientali, economici e sociali e che può essere modificato strada facendo con una logica di “gestione adattativa”([39]).

Partendo da queste considerazioni l’EFI (European Forest Institute) ha realizzato un documento ([31]) che ha analizzato lo stato dell’arte della letteratura scientifica e delle modalità di applicazione della selvicoltura prossima alla natura a scala europea. Questo documento è stato redatto da 17 ricercatori provenienti da 14 nazioni e rappresentativi di un gradiente latitudinale, ma anche culturale, che attraversa l’Europa dalle foreste mediterranee a quelle boreali. La discussione ed il confronto hanno permesso di evidenziare che in Europa non c’è un approccio selvicolturale e culturale dominante ma ci sono molte selvicolture che hanno approcci e finalità molto differenziati e che spaziano da una funzione produttiva quasi esclusiva ad approcci finalizzati all’erogazione di altri servizi ecosistemici o multifunzionali. Nello stesso tempo è emerso come tutte le “selvicolture” praticate nel continente europeo siano fortemente influenzate dalle caratteristiche ambientali, ma anche da tradizioni e culture regionali e locali.

Il gruppo di lavoro ha quindi redatto una rassegna delle pratiche selvicolturali presenti a scala continentale e ha analizzato la loro capacità di conservare la biodiversità e di mantenere e valorizzare resistenza e resilienza dei popolamenti forestali anche in previsione degli effetti del cambiamento climatico già in corso. Successivamente sono stati poi identificati i principali conflitti tra gestione forestale, conservazione della biodiversità e resilienza delle foreste e gli ostacoli all’applicazione di pratiche più “prossime alla natura”

Il gruppo ha quindi proposto una definizione di “selvicoltura più prossima alla natura” ed una prima serie di principi nell’applicazione di questa che possono essere condivisi nella cornice delle foreste europee. Ha infine individuato esempi virtuosi e reti di foreste modello o sperimentali già esistenti che possono supportare la conoscenza, formazione e disseminazione di queste pratiche e facilitare l’implementazione della “selvicoltura più prossima alla natura” a scala continentale.

Secondo il gruppo di lavoro ([31]) la selvicoltura più prossima alla natura è un “ombrello che riguarda tutti gli approcci e le terminologie che sotto gli auspici della Gestione Forestale Sostenibile (SFM) supportano la biodiversità, la resilienza e l’adattamento climatico a scala di popolamento forestale ed a scala di paesaggio”. La selvicoltura più prossima alla natura “promuove componenti, strutture e processi caratteristici delle foreste naturali e dei boschi naturali, migliorando così la diversità delle specie e delle strutture arboree e la conservazione e lo sviluppo di biotopi con una particolare attenzione ad alberi habitat e legno morto”.

Sulla base di questa definizione sono stati individuati sette principi, condivisibili a scala continentale, che caratterizzano una selvicoltura più prossima alla natura:

  1. conservazione (retention) di necromassa, alberi habitat e biotopi di particolare interesse naturalistico;
  2. uso e promozione di specie autoctone ma con attenzione, dove esistono le condizioni, anche a specie esotiche produttive;
  3. privilegiare la rinnovazione naturale;
  4. favorire le utilizzazioni parziali del soprassuolo (partial harvest) e la formazione di popolamenti eterogenei dal punto di vista strutturale;
  5. promuovere i popolamenti misti ed porre attenzione anche alla diversità genetica;
  6. mitigare l’impatto degli interventi, limitarne l’estensione e l’intensità;
  7. porre attenzione all’eterogeneità e ai processi naturali (disturbi) a scala di paesaggio ed alla diversità bioculturale.

La Fig. 2 rappresenta la capacità dei sette principi nel contribuire alla resistenza, alla resilienza e alla capacità di adattamento al cambiamento climatico delle foreste. Tutti i principi contribuiscono in una certa misura e nessuno di questi è in grado di soddisfare tutte e tre le dimensioni al 100%. Per questo motivo in ogni comprensorio forestale è necessario trovare la combinazione adatta al contesto attuale e alle possibili condizioni future. Per tutte le situazioni in cui le condizioni future sono molto incerte sostenere la capacità di adattamento ha la massima priorità. Ciò significa considerare anche la possibilità di modificare la composizione e la gestione delle foreste, qualora si verifichino condizioni future impreviste, sempre nell’ottica di una gestione adattativa ([33]).

Fig. 2 - Rappresentazione degli impatti potenziali nell’applicazione dei principi della selvicoltura più prossima alla natura su resistenza, resilienza e capacità adattativa dei popolamenti forestali nei confronti dell’erogazione dei servizi ecosistemici. La resistenza rappresenta l’abilità dei popolamenti forestali nel resistere e contrastare stress o disturbi; la resilienza rappresenta l’abilità dei popolamenti forestali che hanno subito uno stress o un disturbo nel ritornare allo stato pre-esistente; la capacità adattativa è riferita al global change nel suo complesso (da: [31], modificato).

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In una prospettiva incerta come quella del cambiamento climatico la diversificazione della mescolanza sia a livello specifico e sia a livello genetico è della massima importanza. Tenendo conto delle incertezze future alcuni principi come quello dell’uso di specie autoctone e di provenienze locali e quello della promozione della rinnovazione naturale devono essere valutati con molta attenzione. In determinate condizioni questi principi possono essere mantenuti anche nella prospettiva di cambiamento climatico e contribuire al mantenimento della resistenza e alla resilienza delle foreste, mentre in altre condizioni, più incerte o altamente mutevoli, potrebbe essere necessario usare sia specie oggi considerate non autoctone, sia rinnovazione artificiale attraverso la migrazione assistita ([38]).

In generale, rispetto all’approccio attuale, la protezione degli ecosistemi forestali deve essere considerata in modo più dinamico e su scala paesaggistica, ribadendo la priorità di intervenire nell’ambito di una pianificazione spaziale e temporale adeguata.

Requisiti ed azioni di supporto necessarie 

Le diverse regioni europee possono condividere i principi generali di una gestione forestale più vicina alla natura ma hanno bisogno di approcci di gestione diversificati. Ciò riflette la variabilità ecologica dei tipi di foresta in tutto il continente, le differenze dei regimi di disturbo naturale e le modalità tradizionali in cui le foreste sono state utilizzate in passato.

La gestione forestale non parte dall’anno zero ed è importante conoscere quello che è stato fatto nel passato. C’è una lunga tradizione europea di concetti di gestione forestale basati sulla natura e ci sono molte opportunità per trarre insegnamenti dalle pratiche esistenti.

Poiché l’adozione più ampia di una gestione forestale più vicina alla natura richiederà uno sforzo sostanziale nel trasferimento delle competenze, è molto importante consolidare le reti di conoscenze e di foreste sperimentali e modello. Queste reti dovrebbero coprire tutte le principali regioni e tipi di foreste presenti in Europa e potrebbero essere collegate ad altre reti finalizzate alla conservazione dei paesaggi culturali e della loro diversità bioculturale associata. Questo prezioso processo di apprendimento sociale e culturale deve affiancare l’implementazione delle conoscenze scientifiche e deve essere discusso con i gestori forestali e gli altri portatori di interesse.

In un quadro di riferimento in transizione socio-economica e climatica si generano una serie di incertezze che possono essere affrontate solo attraverso una gestione adattiva ([8], [48]). È di fondamentale importanza monitorare regolarmente le risposte delle foreste agli interventi di gestione, valutare quantitativamente e qualitativamente queste risposte e adattare le strategie di gestione. Un analogo approccio adattivo è necessario anche per valutare l’impatto delle misure politiche (che riguardano non solo la politica forestale ma anche quella ambientale, energetica e climatica) e dei meccanismi di sostegno proposti per incoraggiare l’adozione di una gestione forestale più vicina alla natura.

Considerando i tempi delle dinamiche forestali e la lunghezza dei cicli produttivi, l’introduzione di una gestione forestale più vicina alla natura non è una soluzione rapida ma un percorso che richiede tempi lunghi. I responsabili politici, così come tutti i portatori di interesse, devono essere consapevoli dei riferimenti temporali e devono fornire misure di sostegno a lungo termine coerenti per incoraggiare i gestori forestali e le altre parti interessate ad adottare questa strategia. Il sostegno culturale, tecnico ed economico ai proprietari di foreste per la formazione e l’applicazione della strategia è fondamentale.

Coerentemente con gli obiettivi e con la lunghezza dei processi, è indispensabile rivedere i regimi fiscali e di assegnazione dei contributi esistenti per i proprietari privati. Nella maggior parte dei casi la maggiore attenzione alla erogazione di servizi ecosistemici che non sono remunerativi per il proprietario corrisponde ad una riduzione dei ricavi e ad un aumento dei costi di gestione. È quindi indispensabile, in accordo con quanto previsto dalle strategie UE 2030 per la biodiversità e per le foreste, individuare dei meccanismi compensativi per la fornitura di servizi ecosistemici. La gestione forestale ha il potenziale per sostenere la biodiversità, adattare le foreste ai cambiamenti climatici e fornire servizi ecosistemici a un livello superiore rispetto alla gestione forestale convenzionale, ma per avere una applicazione ampia e condivisa di questa selvicoltura è urgente rivedere i regimi fiscali e le sovvenzioni esistenti.

La selvicoltura più prossima alla natura necessita di un adeguato supporto di conoscenze scientifiche. Sia nell’applicazione che nel monitoraggio è indispensabile sviluppare e utilizzare nuove tecnologie e strumenti (integrazione di GIS, GPS e telerilevamento) per ottenere i dati quantitativi necessari al supporto della gestione ad un costo sostenibile ([46]). Inoltre vi sono ancora alcune incertezze circa l’effetto di alcuni interventi su conservazione della biodiversità e salute degli ecosistemi, ed è necessario monitorare l’erogazione di altri servizi ecosistemici tra cui la produzione di legno che continua ad essere di gran lunga il più importante dal punto di vista socio-economico. Ciò richiede più apprendimento collettivo, sperimentazione e ricerca.

Infine - e questo può sembrare ovvio per alcuni paesi dell’Europa centro-settentrionale ma è invece di fondamentale importanza per l’Italia, dato che la gestione forestale più vicina alla natura ha tempi di applicazione lunghi e richiede monitoraggi, verifiche ed eventalmente cambi di strategie in corso d’opera (gestione adattativa) - un presupposto indispensabile per la sua corretta applicazione è la presenza di uno strumento di pianificazione forestale.

Modalità di applicazione a scala continentale 

L’applicazione di una “selvicoltura più prossima alla natura” deve essere basata su rigorose basi scientifiche ma deve riflettere la grande variabilità ecologica, economica, sociale e culturale che può essere osservata nelle foreste europee. Nelle foreste boreali, ad esempio, dove l’utilizzazione industriale delle foreste è iniziata in un periodo relativamente recente e le foreste sono più omogenee, il passaggio da una selvicoltura fortemente orientata alla produzione ad una selvicoltura più prossima alla natura sta avvenendo soprattutto sulla base dell’imitazione dei disturbi naturali a scala intermedia o ampia (Fig. 3). Questo è possibile perché esistono condizioni favorevoli a questo tipo di approccio: grandi estensioni di foresta abbinate ad una bassa densità di popolazione e alla conoscenza del regime di disturbi naturali ([51], [68], [28]). Nell’Europa centro-meridionale, dove le foreste sono gestite da tempi molto più lunghi, il paesaggio è più articolato, frammentato e le densità di popolazione sono più alte, la conoscenza dei regimi dei disturbi naturali è più limitata e non può essere replicata o imitata ad ampia scala. A queste latitudini nell’applicazione della selvicoltura più prossima alla natura prevale un orientamento verso le modalità di gestione caratterizzate da copertura continua ([62], [37]) e dall’imitazione di disturbi a piccola scala (Fig. 4). È opportuno evidenziare che già attualmente circa l’80% delle utilizzazioni forestali a scala continentale possono essere configurate come una imitazione di processi naturali ([7]). Questo vale sia per un taglio saltuario per piede d’albero o per gruppi del Cadore che imita la mortalità naturale di un albero vetusto o un piccolo schianto da vento (Fig. 5), sia per un taglio raso in Scandinavia che imita l’effetto di un incendio (Fig. 6). Dal punto di visto scientifico attualmente sappiamo che imporre interventi per piede d’albero o per piccoli gruppi in categorie forestali e biomi dove i disturbi interessano mediamente ampie superfici (schianti da vento o incendi) rappresenta una contraddizione dell’imitazione dei processi naturali ([28]), così come nel passato lo è stata l’applicazione del taglio raso in tipi forestali caratterizzati da disturbi su piccola scala. Quello che in tutti gli interventi selvicolturali dovrebbe rappresentare un ulteriore elemento di maggiore prossimità alla natura è una maggiore attenzione, rispetto al passato, a quanto viene rilasciato in bosco ([25]). Una adeguata quota di rilascio di alberi vivi e morti rappresenta l’eredità del popolamento precedente, ed assicura la conservazione della biodiversità così come avviene dopo un disturbo naturale. La soglia di questo rilascio deve essere dimensionata con la destinazione d’uso dell’area e con gli obiettivi della conservazione ([45], [43]).

Fig. 3 - Dinamica naturale e regime di disturbo naturale come modello per la gestione forestale. La sequenza di successione della foresta dopo il disturbo di sostituzione è divisa in quattro fasi di sviluppo, con le loro dinamiche interne tipiche ([51]). In ognuna di queste fasi interventi selvicolturali possono emulare processi e dinamiche naturali. Nei processi di rinnovazione si possono simulare sia i disturbi stand replacing che portano alla sostituzione del popolamento precedente ed all’insediamento di una nuova coorte, sia i disturbi su piccola scala che sono presenti nella dinamica naturale nelle fasi di maturità e vetustà. In ogni fase è importante conservare una presenza adeguata delle “eredita biologiche” (biological legacies). La gestione forestale mantiene il popolamento all’interno di quello che è il range naturale di variabilità strutturale (da: [28], modificato).

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Fig. 4 - Una foresta naturale (in alto), una foresta gestita intensivamente per la produzione di legno (al centro) ed esempi di foreste gestite con i principi della selvicoltura più prossima alla natura (in basso). La rappresentazione è schematica e non tiene conto della grande variabilità delle zone forestali e dei tipi di paesaggio presenti in Italia ed in Europa. Il pannello inferiore presenta tre esempi di tipi categorie forestali diffuse in Europa centro-meridionale: bosco misto di abete bianco e faggio, bosco misto con abete rosso, abete bianco e faggio ed un bosco misto di latifoglie con faggio, frassino, acero di monte ed olmo (da: [30], modificato).

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Fig. 5 - In Italia ci sono molti esempi locali-regionali di gestioni selvicolturali che, tradizionalmente, si ispirano ad un approccio prossimo alla natura. Uno di questi esempi è rappresentato dalle foreste del Cadore che già a partire dal periodo della Repubblica Veneta sono state gestite attraverso prelievi selettivi per piede d’albero (Santo Stefano di Cadore, BL - Foto: R. Motta).

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Fig. 6 - Taglio raso in pineta di pino silvestre. In regioni dove il regime di disturbo è caratterizzato da disturbi stand-replacing su ampie superfici non avrebbe nessuna giustificazione di carattere ecologico o scientifico passare dal taglio raso a forme di gestione caratterizzate da copertura continua. Anzi, questa trasformazione sarebbe in contraddizione con il modello gestionale costituito dall’imitazione dei disturbi naturali e porterebbe ad una diminuzione della diversità. Nello stesso tempo però, per l’applicazione di una selvicoltura più prossima alla natura, è a volte opportuno ridurre l’estensione delle tagliate ed è indispensabile valutare una soglia di residui vivi (isole di invecchiamento) e morti (alberi morti in piedi e tronchi a terra) da rilasciare come legacies dopo l’intervento, allo scopo di imitare le condizioni che si verificano dopo un evento di disturbo (Kuhmo, Finlandia - foto: R. Motta).

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Sempre grazie alle conoscenze acquisite possiamo evidenziare che particolare attenzione, anche nell’applicazione di una selvicoltura più prossima alla natura, deve essere dedicata alle forme di gestione e d’uso del suolo tradizionali che hanno portato alla formazione di paesaggi culturali che rappresentano una identità storica, economica e culturale ([17], [23], [3]). Alcune di queste gestioni tradizionali sono caratterizzate dal mantenimento di una copertura continua e dalla presenza di popolamenti più o meno misti ed articolati come ad esempio la selvicoltura monastica dell’abete bianco dei monaci camaldolesi o la gestione delle foreste cadorine da parte della repubblica di Venezia ([16], [2], [57]). Altre forme di gestione hanno portato ad una semplificazione strutturale (a livello di popolamento) come il ceduo, il pascolo arborato o l’agroselvicoltura nelle sue diverse declinazioni (Fig. 7). La conservazione e la valorizzazione di questi paesaggi merita una particolare attenzione ed è sancita non solo dalle Convenzioni sul Paesaggio ma dalle stesse Direttive della UE che sono alla base della costituzione della Rete Natura 2000 ([44], [6]). Molti degli habitat riconosciuti dall’UE e considerati prioritari per la conservazione della biodiversità sono paesaggi culturali che non esistono in natura ma sono stati creati dall’attività secolare o millenaria dell’uomo ([34]). In questi paesaggi la modifica o l’interruzione delle attività tradizionali da parte dell’uomo rappresenterebbe la perdita della diversità “bioculturale” in essi contenuta ([26]).

Fig. 7 - Lariceto nell’Alpe Veglia (VB). I lariceti radi e l’alternanza di lariceti e pascoli nel piano subalpino delle Alpi occidentali sono un paesaggio con una forte una identità storica, economica e culturale. Nell’ambito di una gestione più prossima alla natura occorre valutare, attraverso la pianificazione, dove è opportuno conservare in modo sostenibile questo paesaggio e dove è invece possibile o opportuno favorire una successione verso popolamenti più naturali misti e stratificati (foto: R. Motta).

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È quindi indispensabile da un lato gestire, dove è opportuno, la transizione verso forme di gestione più prossime alla natura ma, da un altro lato, è indispensabile mantenere le modalità di gestione tradizionali che permettono la conservazione del paesaggio “bioculturale”. Per raggiungere questo doppio obiettivo è indispensabile gestire le dinamiche spaziali e temporali a scala di Piano di gestione forestale ed a scala di Piano di indirizzo territoriale. Alla scala di paesaggio è infatti possibile trovare la destinazione d’uso più adeguata ai singoli popolamenti forestali (Fig. 8) e conservare e valorizzare sia la biodiversità che la diversità bioculturale ([4]).

Fig. 8 - L’integrazione tra biodiversità e diversità bioculturale può essere realizzata a scala di paesaggio. Attraverso una corretta pianificazione si possono definire le zone più vocate all’applicazione di una rigorosa selvicoltura prossima alla natura in modo da favorire una più elevata eterogeneità strutturale e conservare la biodiversità e le zone più vocate alla conservazione e valorizzazione delle modalità di gestione tradizionale e della diversità bioculturale (da LIFE Futureforcoppices, modificato).

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Considerazioni conclusive 

Poiché i Trattati europei non fanno alcun riferimento specifico alle foreste, l’Unione Europea non ha una politica forestale comune. La politica e la gestione forestale (le foreste come bene patrimoniale) sono una competenza nazionale; tuttavia, l’UE ha competenze, come quella ambientale, e gestisce misure, come la PAC, che riguardano foreste ed ambiente e hanno quindi sovrapposizioni ed interazioni con la gestione forestale. Di conseguenza, anche se a volte in modo conflittuale con i singoli stati membri o con gruppi di portatori di interesse, stanno aumentando i documenti e le misure emanate dall’UE che riguardano le foreste ([52]). Negli ultimi decenni le funzioni forestali ambientali hanno attirato un’attenzione crescente soprattutto in relazione alla protezione della biodiversità e, più recentemente, nel contesto degli impatti e delle politiche sul cambiamento climatico.

La strumento utilizzato dalla Commissione per pubblicare le Strategie Biodiversità e Foreste è quello della Comunicazione. La Commissione Europea pubblica comunicazioni per valutare le politiche e per individuare i problemi in un determinato settore. Tuttavia occorre sottolineare che i contenuti delle comunicazioni, seppure volti ad indirizzare le politiche degli stati membri, non sono vincolanti per gli stessi.

A differenza di quanto avviene in molti paesi dell’Europa centro-settentrionale l’applicazione della selvicoltura più prossima alla natura in Italia è coerente con le politiche nazionali e regionali degli ultimi decenni ed in particolare con il Testo Unico Forestale (DL 3 aprile 2018, n. 34) e con la recente Strategia Forestale Nazionale (Gazzetta Ufficiale il 9 febbraio 2022). La Strategia forestale individua, come un punto di forza delle foreste italiane, la presenza di una “consolidata tradizione selvicolturale nazionale e locale, fondata su basi naturalistiche (rinnovazione naturale, continuous forest cover nei soprassuoli governati a fustaia, prevalenza di formazioni miste con specie autoctone e limitata presenza di specie esotiche) e di sostenibilità”.

In Italia, tuttavia, sussistono importanti ostacoli alla applicazione su vasta scala di questa selvicoltura ed il primo di questi è, come segnalato dalla stessa Strategia forestale Nazionale, la bassa percentuale delle foreste italiane che sono dotate di un piano di gestione. Il Piano di gestione è uno strumento indispensabile per definire obiettivi a scala di popolamento e di paesaggio, per monitorare ed applicare la gestione adattativa e per permettere di erogare tutti i servizi ecosistemici richiesti inclusa la conservazione della biodiversità. Solo il 15% delle foreste italiane è dotato di un piano di gestione rispetto ad una media europea del 50% che sale al 100% in diverse nazioni dell’Europa centro-settentrionale ([41], [21])

Un problema comune a tutti i paesi europei è che tutti i sistemi selvicolturali basati su copertura continua e rinnovazione naturale necessitano di densità di ungulati selvatici compatibili con il processo di rinnovazione ([56], [42]). Attualmente queste condizioni rappresentano più l’eccezione che la norma (Fig. 9) e le densità di ungulati sono più alte all’interno delle aree protette in contraddizione con gli stessi obiettivi di conservazione della biodiversità e della gestione naturalistica delle risorse ([11]).

Fig. 9 - Sia per la gestione sostenibile che per la conservazione della biodiversità delle foreste è indispensabile che ci siano le condizioni affinché possano avvenire i processi di rinnovazione naturale. Quando le densità di ungulati selvatici sono troppo elevate le specie più appetite sono completamente brucate ed anche le specie più resilienti hanno difficoltà ad insediarsi e ad accrescersi. Nell’immagine si può osservare la differenza tra la rigogliosa rinnovazione di diverse specie (abete rosso, abete bianco e faggio) presente all’interno del recinto e la sporadica presenza di abete rosso nelle aree non protette dal brucamento degli ungulati. Qualunque intervento finalizzato alla realizzazione di una selvicoltura più prossima alla natura non può essere realizzato con le attuali densità di ungulati (Foresta del Cansiglio, VI - Foto: R. Motta).

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Un altro problema è legato all’aumento dei costi di utilizzazione, allestimento, esbosco (minori prelievi per unità di superficie, maggiori difficoltà e tempi legati alla cura richiesta dai diversi interventi, all’aumento dei rilasci di alberi vivi e morti, e all’attenzione richieste nelle diverse operazioni per non danneggiare il popolamento restante). La strategia forestale UE, consapevole di questo problema al punto 3.4, prevede “Incentivi finanziari per i proprietari e i gestori di foreste al fine di migliorare la quantità e la qualità delle foreste dell’UE”. In assenza di un adeguato supporto che permetta ai proprietari e ai gestori della foresta di ammortizzare i costi più elevati è difficile prevedere un’adesione volontaria agli standard previsti. D’altra parte un’ulteriore imposizione di vincoli avrebbe come conseguenza - soprattutto in un paese come l’Italia che già ora ha il sistema vincolistico più esteso ed articolato d’Europa ([47]) - l’aumento dell’abbandono e la diminuzione della produzione a cui necessariamente corrisponderà un aumento delle importazioni di legname e un aumento delle deforestazione e del degrado delle foreste al di fuori dell’UE ([35]).

Un altro elemento penalizzante per l’Italia, se paragonato con paesi centro-nord europei, è il fatto che la gestione più prossima alla natura necessita di infrastrutture in quanto prelievi più ridotti ed interventi più ravvicinati per essere sostenibili devono essere supportati da un’adeguata rete viaria; inoltre, tutte le operazioni necessitano di personale formato e specializzato e di adeguati servizi tecnici di supporto ai proprietari pubblici (in Italia soprattutto i Comuni) e privati ([55]).

È infine indispensabile che l’applicazione di una selvicoltura più prossima alla natura, in grado di garantire un maggiore equilibrio tra i diversi servizi ecosistemici erogati, sia applicata in modo da non compromettere la sostenibilità delle filiere produttive. La disponibilità della materia prima legno, per quanto possibile di provenienza locale o nazionale, è infatti un elemento fondamentale sia per la mitigazione della crisi climatica ([61]), sia per lo sviluppo delle economie circolari e dell’occupazione nelle zone rurali, che sono dei pilastri fondamentali del Green Deal europeo e della stessa sostenibilità globale ([9], [53]).

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