Abstract

The recognition of the key role of forests in contrasting the dramatic effects of climate change and biodiversity crisis is the pillar of many initiatives on a global, European, and national scale calling for afforestation campaigns. The Italian forest nursery sector is currently inadequate to meet the demand for tree seedlings for the national campaigns. Forest nursery production is characterized by regional or local companies that are remarkably different from each other in organization and efficiency. It is therefore urgent to develop a comprehensive restructuring of the entire sector to be able to respond to the specific needs of forestry projects in Italy and Europe. In this paper, we present a series of key principles and criteria aimed at guiding the renaissance of the sector. Strategic actions are proposed by integrating research, governance, public/private partnership, training, and communication. The strategic approach presented is based on a collaborative structure integrating various skills and responsibilities. The first step is an expert review of the Basic Materials (BM) included in the National Register thanks to the development of the genetic studies of forest stands and the inclusion of shrub and herbaceous species, essentials for ecosystem restoration projects counteracting the biodiversity crisis. A series of actions concerns the aspects of certification, voluntary or prescriptive, of the quality of BM, and the ultimate harmonization of national production to European standards. Particular importance needs to be devoted to the collection, evaluation, and conservation of seeds to develop innovative solutions both for the production of BM and for specific implementation phases of afforestation projects and ecosystem restoration. The governance phase might be implemented through the creation of interregional centers with the duty of collecting and conserving seeds, thus enhancing the existing experiences of outstanding regional and provincial tree nurseries with the support of the National Centers for the study and conservation of Forest Biodiversity. Furthermore, the promotion of partnerships between public and private companies and the creation of a shared and accessible national platform represent strategic actions of primary importance. A fundamental role is then assigned to the implementation of training programs and the construction of an open and incremental communication plan. Thanks to these actions it will be possible to place forest nurseries at the center of the relationships between tree planting and afforestation plans and programs, integrated forest design, implementation of new forests, and their adaptive management.

Keywords

Forest Nursery Stock Production, Basic Materials, Forest Genetic Resources, Forest Reproductive Material, Environmental Governance, Active Partnership

Introduzione 

Le foreste svolgono un ruolo chiave nel contenere i drammatici effetti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità. A livello globale, si stima che circa il 30% delle emissioni di gas serra di derivazione antropogenica venga assorbito dalle foreste (media 2011-2020 - ⇒ https:/­/­www.globalcarbonproject.org/­carbonbudget/­) e che i sistemi forestali europei assorbano circa il 10% delle emissioni dell’UE (⇒ https:/­/­ec.europa.eu/­clima/­eu-action/­forests-and-agriculture­_en). Secondo FAO e UNEP ([5]), le foreste ospitano l’80% della biodiversità terrestre e sono fonte di sussistenza e reddito per centinaia di milioni di persone. L’importanza delle foreste per il pianeta e il loro ruolo strategico per il futuro delle società umane sono incontrovertibili, tanto che il tema della deforestazione (e riforestazione) ha avuto uno spazio rilevante nell’ambito dell’ultima COP26 e nel G20 nel corso del 2021. L’incremento della domanda di servizi ecosistemici, di lotta ai disservizi (tra cui, erosione, alluvioni, inquinamento, isole di calore) e di richiesta di aree verdi e boscate - soprattutto da parte delle popolazioni urbane - con un’attenzione sempre maggiore verso i temi che correlano piante, foreste e salute hanno determinato una forte sensibilità verso il “piantare alberi”. Iniziative di sostegno alla conservazione delle foreste e alla realizzazione di nuove piantagioni di alberi sono evidenti, basti ricordare: (i) l’attivazione da parte dell’ONU, per il periodo 2021-2030, della UN decade on Ecosystem restoration e il rafforzamento del Forest and Landscape Restoration Mechanism della FAO; (ii) i dispositivi strategici europei come la Strategia EU sulla Biodiversità, la Strategia forestale europea, il Green Deal e il Next Generation EU; (iii) gli strumenti strategici e operativi nazionali (Strategia Forestale Nazionale, SFN; la Strategia Nazionale del Verde Urbano; la Strategia Nazionale per la Biodiversità; il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, PNRR). A questi si affiancano le iniziative locali, regionali e nazionali che prevedono la messa a dimora di alberi e nuovi rimboschimenti, soprattutto in ambito urbano e peri-urbano.

Il ruolo delle foreste e dei nuovi interventi di forestazione per la mitigazione dei cambiamenti climatici, soprattutto se a “compensazione” di emissioni, deve essere considerato in una prospettiva ecosistemica che non si limiti al mero atto di mettere a dimora alberi, ma che ponga le basi per la cura e l’ottimizzazione dei sistemi forestali che si svilupperanno nel tempo. Un primo aspetto da considerare in termini di scelta della specie e produzione delle piante, riguarda il fatto che gli effetti della crisi climatica possono indurre criticità in sistemi forestali di neo-realizzazione qualora non vengano valutate attentamente le condizioni ambientali e colturali. Tali criticità possono limitare la fissazione e i processi di assorbimento di carbonio nel tempo ma anche, in ultima istanza, portare al fallimento dei progetti di rimboschimento inducendo una mortalità diffusa degli individui arborei. La pianificazione accurata, la progettazione di qualità e la gestione adattiva degli interventi di forestazione diventano condizioni fondamentali per rispondere agli ambiziosi obiettivi a livello globale e locale. Nel caso delle esperienze italiane, uno dei nodi preliminari da sciogliere è una razionale riorganizzazione della filiera vivaistica che possa rispondere in modo adeguato ed efficace alle sfide ecologiche che competono al settore.

Il quadro attuale del settore vivaistico forestale italiano è la risultante di una politica forestale prima nazionale e poi regionale, che ha radici nel secolo scorso e che ha visto lo Stato farsi carico delle politiche di riforestazione per contrastare un esteso dissesto idrogeologico. Lo Stato, infatti, ha sostenuto per decenni la filiera produttiva del materiale forestale di moltiplicazione (MFM), creando così una capillare rete di vivai forestali pubblici. La fornitura gratuita del MFM ai cantieri pubblici e a enti privati e cittadini è proseguita anche quando le competenze in materia sono state affidate alle Regioni. Una volta terminate le ingenti attività di rimboschimento, la domanda di MFM ha subito un notevole crollo, interrotto saltuariamente solo dal varo di politiche europee e nazionali che hanno finanziato attività di piantagione e/o di forestazione. Il crollo della domanda ha ridimensionato notevolmente gli investimenti pubblici nel settore, che ha di conseguenza visto una diminuzione delle strutture produttive con una distribuzione disomogenea dei vivai forestali pubblici sul territorio nazionale, alternando piccole realtà produttive locali a efficienti sistemi produttivi pianificati a scala regionale. La domanda di MFM, tuttora, è decisamente più condizionata dalla politica forestale che dall’evoluzione culturale e colturale della selvicoltura e la fornitura gratuita delle piantine non ha stimolato il comparto verso la ricerca e l’innovazione di processo e di prodotto. La scarsità, l’imprevedibilità e l’occasionalità della domanda, inoltre, non hanno sostenuto lo sviluppo del settore privato che, invece, ha investito largamente e con successo nella vivaistica ornamentale e frutticola.

In attesa della nuova imminente direttiva europea, il quadro normativo si articola in provvedimenti nazionali e regionali riconducibili al recepimento della fonte legislativa comunitaria (Dir.1999/105/CE) tramite il D.lgs. 10 novembre 2003, n.386. La legge fissa i requisiti dei materiali forestali di base (MB), classificabili in quattro categorie: “Identificati alla fonte”, “Selezionati”, “Qualificati” e “Controllati”. Il D.lgs. norma anche la licenza per la produzione, i certificati di provenienza, le modalità di movimentazione ed identificazione dei MFM, i requisiti per la commercializzazione, il registro dei Materiali di Base (MB) e il sistema di controllo. Recentemente, grazie agli sforzi della Direzione Foreste del MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), è stato istituito il nuovo Registro Nazionale dei Materiali di Base (RNMB, Decreto ministeriale 9403879/2020) approvato in forma di elenco (D.D. N. 307490 del 06/07/2021). Al registro è stata affiancata la cartografia delle Regioni di Provenienza (D.M. N. 269708 del 11/06/2021). Una trattazione completa ed esaustiva del quadro normativo e delle singole norme è riportata nel sito del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (⇒ https:/­/­www.politicheagricole.it/­flex/­cm/­pages/­ServeBLOB.php/­L/­IT/­IDPagina/­16635). Inoltre, per completare il quadro normativo, va ricordato che nel Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (TUFF; D. L.vo 03/04/2018 n. 34), è stato individuato nel MiPAAF l’Amministrazione competente a coordinare le attività del vivaismo italiano. È stata inoltre ripristinata la Commissione Tecnica (precedentemente abolita) che il D.lgs 386 individua per proporre al Ministro i decreti attuativi in materia. Di recentissima pubblicazione sono anche le Linee guida per produzione e impiego di specie autoctone di interesse forestale da poco pubblicate dal MIPAAF (D.M. 17/05/2022).

La produzione dei MFM a livello europeo è fortemente influenzata dalle politiche forestali dei singoli Stati e non esistono dati specifici raccolti dalla Commissione Europea, pertanto non è possibile fornire una analisi dell’offerta complessiva in Europa. Tuttavia, un recente studio ([11]) - basato su interrogazioni ai singoli Governi europei per il periodo 2004-2014 e che vede l’Italia tra i 5 Paesi che non hanno fornito informazioni - ha individuato una produzione europea prevalente di MFM dedicata 8 specie forestali (Picea abies, Pinus sylvestris, Pinus pinaster, Fagus sylvatica, Fraxinus excelsior, Quercus robur, Quercus rubra e Quercus petraea). In tale contesto, è stata stimata la quantità di piantine forestali e di seme nei flussi di scambio tra i Paesi censiti. In media, ogni anno, circa 30 milioni di semenzali e 400.000 kg di semi delle specie precedentemente menzionate valicano i confini nazionali e circa l’85% delle piantine sono di abete rosso. Si tratta di un dato che sottostima il reale movimento dei MFM e che è fortemente dipendente dalle distanze geografiche e dall’importanza del contributo del settore forestale al prodotto interno lordo. Altra informazione di rilievo riguarda il fatto che la maggior parte dei Paesi censiti immette in commercio un ingente quantitativo di sementi e piantine di origine extra-nazionale. Tutto ciò pone l’accento sull’importanza delle informazioni relative ai MB per la tracciabilità del MFM obbligatorie per legge per un uso consapevole del materiale di impianto.

Per l’Italia, dall’inizio degli anni 2000 non sono più disponibili statistiche ISTAT che descrivano il settore vivaistico forestale in dettaglio. È di recentissima pubblicazione un’indagine sullo stato della vivaistica pubblica in Italia ([15]): ne emerge un quadro nazionale disomogeneo e frammentato. Per quanto riguarda strutture vivaistiche e produzione di MFM, risultano attivi 71 vivai, di cui poco meno della metà esclusivamente forestali (dati 2019, di 19 tra Regioni e Province Autonome), che nella grande maggioranza dei casi impiegano meno di 10 operai a tempo indeterminato per Ente. Negli Enti censiti (mancano 5 Regioni) si registra una produzione complessiva di oltre 4 milioni di piantine, di cui 1.5 solo in Sardegna. Le 3 specie più coltivate sono abete rosso, larice e pino cembro (30.3% del totale), mentre per le latifoglie farnia, cerro e leccio, pari al 19.2 % della produzione nazionale; vi è una preponderanza delle conifere alpine nelle produzioni del Nord Italia, mentre per le Regioni del Centro e del Sud e Isole si evidenzia una sempre maggiore diversità specifica che rispecchia la variabilità ambientale del nostro paese. Il materiale è allevato prevalentemente in contenitore, ma l’allevamento in pieno campo (commercializzato a radice nuda) è ancora largamente utilizzato soprattutto per le conifere, a testimonianza che il settore necessita di innovazione nei processi produttivi.

Anche per i MB si rende necessaria una riorganizzazione pianificata. In Italia sono disponibili 2230 MB registrati nel RNMB, di cui il 95.5% sono rappresentati da Boschi da Seme. Per le categorie che prevedono azioni di miglioramento o selezione, l’88.2% di queste si trova in sole 8 tra Regioni e Province Autonome ([15]). Va ricordato che, dal punto di vista del patrimonio genetico forestale, l’Italia si caratterizza per un quadro complesso, potenzialmente di grande rilevanza a scala europea per quanto riguarda la distribuzione della diversità genetica. Il nostro patrimonio forestale ha un’elevata strutturazione regionale, con la presenza di numerosi gruppi genetici differenziati, che possono però aver evoluto adattamenti peculiari a condizioni ambientali molto eterogenee anche su distanze geografiche relativamente brevi. Molte specie potrebbero avere nelle loro popolazioni più marginali una combinazione di elevata diversità genetica e importanti pre-adattamenti a condizioni di stress di varia natura, sempre più frequenti nel resto del loro areale di distribuzione a causa dei cambiamenti climatici. La relazione tra la complessità delle pressioni selettive e la conseguente diversificazione delle risposte evolutive nei serbatoi di biodiversità rappresentati dalle aree rifugio sta alla base del grande interesse dei selvicoltori di tutta Europa per la diversità genetica del patrimonio forestale Mediterraneo. Le caratteristiche genetiche sviluppate al margine inferiore degli areali di distribuzione delle specie forestali, infatti, potrebbero rivelarsi cruciali per l’adattamento al cambiamento climatico a latitudini superiori. Ovviamente, tali aspettative sono valide anche lungo il marcato gradiente di condizioni climatiche che caratterizzano il nostro paese. Allo stesso tempo, va ricordato che, per alcune specie e soprattutto per le regioni meridionali, il futuro bacino di utenza per le provenienze potrebbe allargarsi a tutta l’area attorno al Mediterraneo. Il rilancio della ricerca sui MB e loro tracciabilità, finalizzata ad ottimizzare la produzione vivaistica nell’ottica delle future e ingenti esigenze per attività di forestazione, passa necessariamente dalla comprensione delle basi genetiche dell’adattamento alle condizioni ecologiche che caratterizzano il loro ambiente. Le caratteristiche genetiche della produzione forestale vivaistica è la diretta conseguenza della catena di decisioni adottate da numerosi attori lungo la filiera produttiva; ignorare l’informazione genetica lungo questa sequenza di scelte strategiche potrebbe avere un impatto enorme sulla sopravvivenza delle nostre foreste ([8]).

Principi ispiratori di nuovi interventi di piantagione 

Perché e dove è necessaria un’azione di rilancio delle attività di rimboschimento

In Italia, Il XX secolo è stato caratterizzato da una intensa, anche se discontinua, attività di imboschimento e rimboschimento ([7]) principalmente a carico dei territori montani, che complessivamente ha visto quasi un milione di ettari interessati. Se fino agli anni ’70 si è assistito ad un trend sempre crescente di superfici rimboschite, queste decrescono drasticamente e rapidamente a partire dagli anni ’80 per varie concause, tra le quali ricordiamo l’aumento della copertura forestale dovuta allo sviluppo di boschi di neoformazione in aree agricole e pastorali marginali, la diversificazione e i cambi sostanziali nelle politiche per il territorio, l’ambiente e il paesaggio, la marginalità di reddito e la transizione nelle politiche sull’occupazione che hanno interessato il settore forestale nel suo complesso e, prima fra tutte, la filiera vivaistica-rimboschimenti. Nel periodo 1990-2008 si assiste ad un duplice fenomeno: da una parte, la perdita di superficie forestale (circa 7.000 ha/anno) per grandi infrastrutture, urbanizzazione e, in minor misura, agricoltura; dall’altra, l’aumento delle foreste (37.000 ha/anno) dovuto prevalentemente all’abbandono dei terreni agricoli marginali e montani ([13]), a cui si sono aggiunti gli impianti di arboricoltura da legno favoriti dai Regolamenti UE. Con l’inizio del XXI secolo vi è un nuovo forte impulso all’attività di rimboschimento in seguito alle variazioni di obiettivi e indirizzi: da rimboschimenti volti essenzialmente ad aspetti protettivi e, secondariamente, produttivi si passa a interventi eseguiti per fini naturalistico-ambientali, per il recupero e/o la ricostituzione di habitat rari o danneggiati (restoration ecology) e per la lotta e mitigazione alla crisi climatica (assorbimento e stoccaggio di carbonio). A questi si aggiungono i nuovi impianti di arboricoltura da legno progettati ponendo attenzione anche ad aspetti naturalistici ed ambientali. Alla luce di queste vicende, si pone la questione di quali siano le motivazioni per attuare una estesa politica di rimboschimento e se, allo stato attuale, ci siano ancora ambiti fortemente vocati per piantare alberi che possano rispondere agli obiettivi delle nuove politiche di conservazione e recupero ambientale e di contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici, così come lo furono i bacini montani per obiettivi di difesa idrogeologica (peraltro tutt’altro che risolta per il nostro paese) nelle le politiche del secolo scorso. È inoltre doveroso ricordare che gli interventi di rimboschimento, anche su larga scala, potranno avere un significato decisivo nella conservazione quali-quantitativa delle risorse idriche. Tra i servizi ecosistemici legati alla presenza di boschi in ottimo stato di salute, la mitigazione climatica e la regolazione del ciclo dell’acqua, ivi compresa un’efficace conservazione e ricarica delle acque superficiali e sotterranee, sono tra i più minacciati dagli effetti drammatici dei cambiamenti climatici relativi all’aumento delle temperature e alla siccità.

Una prima importante considerazione a questo riguardo è relativa all’espansione della foresta in questi ultimi decenni, che non è avvenuta in modo uniforme su tutto il territorio, ma si è concentrata nelle zone collinari e montane delle aree interne del paese, cioè in quei territori divenuti economicamente marginali. Nelle zone di pianura e soprattutto nei grandi centri urbani e nelle loro periferie le foreste sono invece diminuite soprattutto a causa della deforestazione e del consumo di suolo ([16]). Se i nuovi programmi di piantagione sono costituiti con finalità ambientali, climatiche e multifunzionali, si possono individuare tre nuovi ambiti preferenziali per il rimboschimento in Italia: le città, le periferie e le aste fluviali che sono la spina dorsale delle reti ecologiche soprattutto nelle zone più antropizzate ([14]).

Le zone urbane e peri-urbane sono sistemi in cui vive il 54% della popolazione mondiale, dove si consuma il 70% dell’energia globale e l’80% del cibo e dove vengono emessi il 75% degli inquinanti e dei gas serra (United Nations Human Settlements Programme - [22]). Le nuove foreste urbane, così come il recupero funzionale e la gestione della vegetazione esistente, possono avere un ruolo fondamentale nella mitigazione degli estremi climatici (attraverso la riduzione della temperatura per ombreggiamento e l’azione rinfrescante dell’evapotraspirazione - [17]), nella riduzione dell’inquinamento atmosferico ([6]) e nella riduzione dei fenomeni alluvionali. Le periferie sono ad oggi interessate da un problema grave quanto la deforestazione: il consumo di suolo, cioè l’occupazione di una superficie originariamente naturale, seminaturale o agricola con una copertura artificiale permanente e spesso impermeabile. In Italia l’avanzata di asfalto e cemento ha interessato nel 2017 circa 54 km2 di territorio (in media, circa 15 ha/giorno) con un trend in costante crescita ([20]). La gravità di questa trasformazione sta nel fatto che il ripristino dello stato ambientale preesistente è molto difficile e estremamente costoso, quando non impossibile.

Le aste fluviali, soprattutto nelle pianure densamente popolate, sono gli unici ambiti naturali o semi naturali che possono garantire la connettività della diversità di fauna e flora e la disseminazione dei flussi ecologici ([10]). Attualmente in Italia in molti casi, a causa della forte antropizzazione, le formazioni arboree lungo le aste fluviali sono discontinue e non permettono non solo la protezione delle dinamiche fluviali, ma anche un buon mantenimento dello stato di conservazione degli ecosistemi, degli habitat, delle specie e dei paesaggi.

A questi tre ambiti principali si possono aggiungere le aree interstiziali: microaree percepite come ambienti di risulta in ambito urbano e rurale, spazi presenti all’interno e tra le grandi reti infrastrutturali, ecotoni tra ambienti urbanizzati e rurali; queste aree sono spesso lasciate in stato di degrado e abbandono e rappresentano un costo di manutenzione mentre una loro valorizzazione avrebbe importanti finalità ambientali, ma anche economiche e sociali.

Un’ulteriore considerazione a favore delle azioni di riforestazione riguarda la nostra non più sostenibile dipendenza dalle importazioni per il settore forestale; le politiche ambientali e di mitigazione climatica non possono prescindere dall’aumento della produzione primaria, attraverso quella che viene definita “intensificazione sostenibile” ([14], [21]). Qualunque politica di mitigazione realizzata in Italia risulta inefficace se nello stesso tempo non riduciamo, attraverso una più responsabile gestione delle foreste e del terreno agricolo ([12]), la nostra “deforestazione importata” che, avvenendo in paesi lontani, spesso non viene percepita e recepita come nostra responsabilità. A questo riguardo, è necessario anche intensificare la produzione legnosa “fuori foresta” attraverso l’arboricoltura da legno e l’agroselvicoltura (agroforestry) che, grazie ai progressi delle tecniche colturali, potrebbe abbinare la finalità produttiva alle finalità ambientali e climatiche in diversi ambiti ([1]).

Perché è importante che i nuovi impianti non siano semplicemente “piantare alberi”

I grandi appelli che richiamano all’azione per contrastare il cambiamento climatico, conservare la biodiversità o migliorare l’ambiente si riferiscono genericamente a “piantare alberi”, basta ricordare l’obiettivo “one trillion tree” della COP26 o i 3 miliardi di alberi della strategia europea per la biodiversità. Gli alberi sono la parte che più colpisce l’immaginario collettivo, ma sarebbe una grande occasione perduta se, con le nuove attività di piantagione, ci limitassimo a piantare genericamente alberi. A nostro avviso, l’obiettivo, dove possibile, deve essere più ambizioso: puntare di fatto alla ricostruzione di habitat. Se l’obiettivo principale è produrre legname, la piantagione specializzata o la piantagione policiclica sia in forma lineare che a pieno campo sono le soluzioni più funzionali: dal punto di vista ecologico è certamente un sistema più complesso di un pioppeto (anche in questo caso si piantano alberi!), certamente meno di un bosco planiziale in cui solo la componente arborea può annoverare una ventina di specie, quella arbustiva alcune decine di specie e le specie erbacee nemorali, delle radure, dei fossi e zone umide associate al bosco possono essere diverse centinaia. Quando gli obiettivi primari sono relativi a servizi ecosistemici climatico-ambientali e naturalistici, dove è realizzabile, si deve poter puntare anche alla costruzione di boschi planiziali, habitat più vicini possibile alla naturalità. Tale approccio è riconosciuto come cruciale anche nelle Linee guida per produzione e impiego di specie autoctone di interesse forestale. L’esperienza mostra che anche partendo da terreni molto poveri, derivanti da terreni agricoli od anche da aree urbanizzate dismesse, è possibile in pochi anni inserire con successo gran parte delle componenti vegetali dell’ecosistema in fase di successione più avanzata, tra cui, a titolo di esempio, la ricostruzione di ambiti di risorgiva finanziati da progetti LIFE Natura. Questo approccio presenta maggiore complessità nella pianificazione e nella realizzazione. Inoltre, uno tra i fattori limitanti, soprattutto quando si tratta di progetti con grandi numeri, è la disponibilità dei materiali di base necessari alla sua realizzazione. Oggi solo in poche realtà italiane è possibile procurarsi tutti i materiali di base necessari a ricostruire, su grande scala, in modo quantomeno consapevole, habitat di interesse locale o comunitario. La creazione in tutto il paese di centri in grado di mettere a disposizione sementi e giovani piante della flora autoctona è dunque un obiettivo strategico di una politica nazionale volta al rilancio a grande scala delle attività di forestazione.

Perché è necessario riorganizzare i ruoli nel settore vivaistico

L’inizio del XXI secolo vede un incremento dell’attività vivaistica forestale e di rimboschimento con nuovi obiettivi, nuovi ambiti di applicazione, differenti specie e aggiornate tecniche di impianto. Alla luce del rinnovato interesse per la produzione di piante forestali da destinare a diversi utilizzi è importante discutere di quale possa essere l’assetto organizzativo del sistema vivaistico forestale italiano per non ripetere gli errori del recente passato, quando si è agito spesso sull’onda dell’emergenza a scapito della qualità del prodotto. Per poter offrire un prodotto vivaistico di qualità, la pianificazione di tutte le fasi della filiera (dalla raccolta del seme alla produzione della piantina) è fondamentale.

A tutt’oggi il settore vivaistico è gestito dalle Regioni o dalle Province Autonome con organizzazione e risultati assai differenti sul territorio nazionale. Sulla base delle attuali capacità produttive, con le sfide che ci attendono a breve, il settore pubblico nazionale non sarà in grado da solo di soddisfare le richieste. In teoria, come tante altre attività, anche quella vivaistica forestale potrebbe essere affidata al settore privato. Tuttavia, il settore forestale presenta alcune specificità che poco si adattano alle dinamiche di mercato. Ad esempio, nel caso delle sementi, entrano in gioco aspetti che cambiano in modo sostanziale il quadro di analisi delle convenienze. Va tutelata la biodiversità genetica delle specie vegetali di interesse (alberi, ma anche erbe ed arbusti); se in agricoltura la competizione economica porta a concentrare l’attenzione su un numero molto ridotto di cultivar, nel settore forestale è vantaggioso disporre, per realizzare degli interventi corretti, di un elevato numero di specie e, all’interno di ciascuna specie, sarebbe necessario garantire un livello elevato di variabilità genetica. A tal fine, per ogni specie, si dovrebbero individuare un numero di MB commisurato alla distribuzione e alla sua variabilità genetica sul territorio nazionale. Queste necessità, funzionali alla conservazione della biodiversità della flora selvatica, obbligano i gestori del sistema vivaistico ad eseguire operazioni molto costose. Se questo settore fosse lasciato alle leggi del mercato, probabilmente, la raccolta delle sementi avverrebbe contando su pochi individui portaseme, reperiti in pochi popolamenti, facili da raggiungere, ed alla produzione di giovani piante in grandi vivai, concentrando l’attenzione su poche specie. Considerando che la conservazione della biodiversità è di interesse generale, si potrebbe giustificare la scelta di mantenere le fasi iniziali della filiera sotto la gestione dell’ente pubblico. Per la successiva fase relativa alla coltivazione, invece, il nostro paese può contare su una consolidata e ampia esperienza del settore privato, che è caratterizzato da distretti vivaistici leader a livello internazionale. Nell’ambito di una filiera ben pianificata, il vivaista privato potrebbe contribuire alla coltivazione di un numero superiore di piantine, apportare miglioramenti e innovazione nel sistema di coltivazione e nella tipologia di prodotti offerti, caratterizzarsi per una migliore organizzazione di tipo logistico e nella distribuzione, quindi, per una efficace gestione dell’offerta. Pertanto, una collaborazione pubblico-privato per la costruzione di una nuova filiera potrebbe rappresentare una possibile e funzionale soluzione alle attuali problematiche del settore vivaistico forestale.

Azioni strategiche 

Ricerca e sviluppo

In sintonia con quanto previsto nell’ambito della Strategia Forestale Nazionale (SFN, Azione Specifica 3 - Risorse genetiche e materiale di propagazione forestale) si rende necessario definire una road-map che attraverso le azioni strategiche di seguito riportate porti alla valorizzazione del vivaismo forestale in Italia.

Disporre di Materiali di Base adeguati alle nuove sfide

Le caratteristiche del MFM sono la risultante della qualità genetica e della qualità colturale (relativa alle pratiche di vivaio) delle piantine. L’attenzione verso gli aspetti genetici è quindi il primo fondamentale passo per produrre MFM utile allo scopo di impianto. Il mantenimento della diversità genetica del MFM o la selezione di caratteristiche genetiche hanno lo stesso valore in termini di qualità e dipende dallo scopo per cui il MFM viene utilizzato: materiale selezionato per caratteri specifici (produzione, adattamento a stati di stress, resistenza a malattie, ad esempio) è utile dove tali elementi sono essenziali per il raggiungimento dello scopo dell’intervento; la salvaguardia della diversità genetica di una specie è determinante non solo per il suo valore intrinseco, ma anche per mantenere, ed eventualmente selezionare, caratteri adattativi a contesti differenti. Disporre di MB ben caratterizzati e rappresentativi delle popolazioni delle specie utilizzate rappresenta il primo fondamentale passo per produrre materiale vivaistico di qualità. In Italia, l’88% dei MB risulta classificato come “Identificati alla Fonte” ([15]): di questi popolamenti si conosce solo l’ubicazione, se sono, o meno, autoctoni o indigeni e generalmente non vengono fornite le informazioni che servirebbero per un uso consapevole del MFM alla luce delle nuove sfide che ci attendono.

In questo contesto, una prima azione per la qualificazione dei MB italiani consiste in una revisione accurata delle informazioni relative all’esistente, in accordo con quanto previsto dalla SFN nell’azione specifica 3 relativa alle risorse genetiche e al materiale di propagazione, in particolare le sottoazioni specifiche A.S.3.2.a e b. Sulla base di quanto disponibile, è utile evidenziare le specie per le quali la disponibilità di MB è carente o mancante e quali informazioni sono necessarie e non ancora disponibili, per ogni popolamento, per raggiungere standard europei. I registri regionali dei MB che alimentano il RNMB sono previsti per le sole specie arboree, elencate nell’allegato 1 al d.lgs. 386/2003. Si propone, data l’importanza degli arbusti per gli interventi di riqualificazione del territorio, che i popolamenti dei registri regionali nella categoria “identificati alla fonte”, vengano integrati dalle informazioni relative alle specie arbustive, ivi comprese le specie di particolare interesse fitogeografico ancorché sporadiche. I registri di alcune Regioni (ad es., Lombardia, Veneto) includono già le indicazioni relative alle specie arbustive.

Per implementare ulteriormente le conoscenze sui MB disponibili e reclutabili in futuro, la ricerca dovrebbe essere necessariamente indirizzata alla caratterizzazione genetica delle risorse forestali italiane con i più avanzati strumenti molecolari. Una mappa geografica dettagliata delle caratteristiche genetiche di una specie forestale è la base sia per studiare quanto tale specie sia adattata localmente, sia per proiettare le interazioni tra genotipo e ambiente negli scenari climatici futuri, sia per avere elevate probabilità di tracciare correttamente l’origine geografica del materiale di base. I test di provenienza, cioè esperimenti in cui vengono piantate diverse provenienze appartenenti a una determinata specie in una o più località, rappresentano una strategia importante per la caratterizzazione genetica delle nostre popolazioni naturali e per la valutazione dell’interazione tra genotipo e ambiente. Le informazioni ricavabili da tali esperimenti sono preziose, ma l’organizzazione di una rete idonea di test di provenienza richiede sforzi logistici e risorse costanti nel tempo. Una via percorribile per questo scopo sarebbe quella di sfruttare le numerose iniziative di forestazione in essere, che se attivamente monitorate, potrebbero fornire dati affidabili su sopravvivenza, crescita e adattamento; si potrebbe generare una rete capillare di esperimenti sul territorio in modo da intercettare per alcune provenienze di una specie la maggior parte della variabilità ambientale. In ogni caso, l’informazione genetica è da considerarsi sia complementare ai risultati ottenibili con tali approcci, sia più rapida da ottenere e potenzialmente più incisiva nell’identificare caratteristiche di interesse per il settore vivaistico. Gli avanzamenti tecnologici nelle tecniche di sequenziamento e genotipizzazione ([18], [19], [2]), permettono oggi di studiare in profondità il genoma delle specie forestali con costi relativamente contenuti. A tal riguardo, le risorse genetiche forestali italiane sono state recentemente coinvolte nei progetti europei H2020 GenTree (⇒ https:/­/­www.gentree-h2020.eu/­⇒ https:/­/­www.gentree-h2020.eu/­) e FORGENIUS (⇒ https:/­/­www.forgenius.eu/­⇒ https:/­/­www.forgenius.eu/­), grazie ai quali verrà prodotta una grande mole di informazioni genomiche, a scala di intera distribuzione, per più di 20 specie arboree diffuse in Europa. Grazie a queste informazioni, che andrebbero però raccolte anche con elevata densità a scala nazionale, si materializza la possibilità di rispondere in maniera attendibile alla domanda: “Quali specie o quali provenienze di una specie si possono piantare in un’area geografica precisa con ragionevoli possibilità di contribuire a generare in futuro una foresta in salute?” In assenza di questi strumenti, piantare milioni di alberi può essere rischioso da un punto di vista ambientale ed economico, e per questo si moltiplicano gli appelli di chi - studiando le dinamiche forestali - si preoccupa dei potenziali effetti negativi delle strategie di piantagione massiva che, tra moda e politica forestale, stanno assumendo sempre più popolarità in tutta Europa ([3], [4], [8], [9]).

Per un rilancio della ricerca sui MB e la loro tracciabilità, il settore forestale italiano deve sapere cogliere le opportunità sopra descritte e avvalersi degli strumenti più evoluti per poter rapidamente fornire delle linee guida per le iniziative di forestazione. Tali iniziative sono cruciali per le sfide poste dalla crisi climatica, ed è della massima urgenza porre l’informazione genetica al centro delle valutazioni sul potenziale adattativo delle possibili provenienze del materiale forestale di base. Solo così si potrà massimizzare la probabilità di investire risorse verso la creazione di foreste più resilienti e favorire progetti, nazionali ed europei, di migrazione assistita in accordo con la SFN (sotto azione specifica A.S.3.2c a)

Produrre materiali forestali di moltiplicazione di qualità

Per contribuire al successo di un intervento di piantagione e quindi raggiungere lo scopo per il quale il progetto è stato pensato e realizzato, a una buona base genetica deve essere necessariamente associata un’adeguata qualità colturale del MFM, nonché l’adozione delle migliori tecniche di piantagione per ridurre al minimo lo stress da trapianto, come evidenziato anche nelle Linee guida per la programmazione della produzione e l’impiego di specie autoctone di interesse forestale del MiPAAF. In questo senso, le nuove sfide per l’innovazione riguardano prioritariamente le seguenti aree tematiche: (i) determinare i metodi appropriati per produrre materiale di propagazione mirato, di buona qualità e in quantità sufficienti per soddisfare le richieste della società; (ii) applicare le migliori tecniche di impianto disponibili; (iii) sviluppare sistemi di protezione post-piantagione fino a quando le piante non riescano autonomamente a mettere in atto i meccanismi di adattamento e resilienza nelle loro potenzialità.

Relativamente al materiale vivaistico, la sopravvivenza alla messa a dimora e il rapido attecchimento sono prerequisiti per il successo di interventi di recupero ecologico soprattutto in ambienti urbani e periurbani. La scelta del materiale di alta qualità per queste operazioni deve tenere conto di numerosi fattori, oltre l’origine genetica: caratteristiche morfologiche, stato nutrizionale, resistenza agli stress, vitalità fisiologica del materiale vegetale. Le pratiche colturali in vivaio influenzano queste proprietà, e il loro mantenimento fino al momento dell’impianto è fondamentale per la crescita delle piante in ambienti degradati, come spesso quelli urbani e periurbani, e per i sempre più frequenti eventi di disturbo anche estremi. Un aspetto critico per l’attecchimento e la sopravvivenza di piante in questi ambienti è quello di un corretto sviluppo del sistema radicale, sia in vivaio sia dopo il trapianto. L’architettura radicale si riferisce alle tre dimensioni del sistema e, insieme alla biomassa delle radici fini, alla capacità di assorbimento e distribuzione di nutrienti e acqua nei comparti della pianta, è responsabile della stabilità degli alberi. La coltivazione in vivaio influenza l’architettura del sistema radicale, soprattutto quando le piante crescono in contenitore (modalità di allevamento che sta diventando predominante). Contenitori e sistemi di produzione e trapianto non idonei danneggiano irrimediabilmente il sistema radicale; per questo, è necessario un urgente sforzo in ricerca per lo sviluppo di processi di produzione e materiali innovativi. Ad esempio, contenitori progettati ad hoc possono ridurre le deformazioni radicali, favorire lo sviluppo di radici fini, ridurre i danni meccanici durante il trasporto. Le irrigazioni in deficit controllato, così come formulazioni di fertilizzanti mirate, somministrate in vivaio, possono aumentare la sopravvivenza dopo il trapianto, ma devono essere calibrate tramite sperimentazione specifica. Ricerche sulla fenotipizzazione del materiale vegetale (caratteri morfologici, fisiologici, e fenologici), sulle tecniche di propagazione vegetativa, sui contenitori e substrati (biochar, residui vegetali alternativi alla torba), e sulle tecniche di coltivazione e trapianto potranno garantire maggiore sostenibilità alla produzione vivaistica e maggior efficacia degli interventi di piantagione in condizioni difficili quali quelle che spesso caratterizzano i suoli urbani e periurbani.

Le pratiche colturali che accompagnano la piantagione devono tenere in considerazione la multifunzionalità e la complessità sia degli ecosistemi sia dell’intervento stesso, che, a loro volta, dipendono da molteplici fattori, quali principalmente: la diversità desiderata, il livello di degrado, le esigenze socio-economiche, i vincoli legislativi e le aspettative del cittadino. Qualsiasi programma innovativo di piantagione, recupero e riforestazione adattato ad un contesto di cambiamento climatico deve mirare ad un ripristino sostenibile o a un nuovo ecosistema che fornirà prodotti e servizi alla società per i decenni a venire. Dal punto di vista selvicolturale, le linee di ricerca dovrebbero essere indirizzate alle pratiche di supporto per garantire sia la sopravvivenza sia la funzionalità delle foreste del futuro e riguardano: (i) pratiche preventive e strumenti innovativi per la semina diretta; (ii) impatto dei metodi di preparazione del sito sulle possibilità di successo dell’intervento, in termini di sopravvivenza e accrescimento; (iii) sistemi di protezione post-piantagione per i semenzali messi a dimora, con particolare riferimento a danni meteorologici, stress ambientali e impatto della fauna selvatica; (iv) pratiche colturali a sostegno dell’attecchimento; (v) nuove pratiche forestali di carattere adattativo (come migrazione assistita, mix di specie con caratteristiche complementari, ad esempio con apparati radicali di diversa struttura). A questi si aggiungono la standardizzazione delle metodologie e la valutazione del successo dell’intervento di riforestazione nella fase iniziale.

Governance

Per poter affrontare al meglio le nuove sfide, è necessario puntare ad una organizzazione della filiera vivaistica forestale più razionale, più efficiente e più resiliente rispetto alle dinamiche di mercato e che riduca le distanze, in termini di efficienza, tra Regioni più o meno organizzate. Le azioni di governance a sostegno di una riorganizzazione del settore riguardano tutte le fasi della filiera e la creazione di un sistema di certificazione per la tracciabilità del MFM.

I popolamenti da seme e la raccolta delle sementi

L’aggiornamento e l’integrazione dei MB attualmente iscritti nel RNMB è sicuramente una delle azioni più urgenti da realizzarsi con il contributo delle Regioni che ritengono opportuno incrementare il numero di materiali iscritti e/o che in precedenza hanno solo confermato l’inserimento degli ex boschi da seme individuati dalla L. 269/73. Inoltre, si rende necessaria l’omogeneizzazione delle informazioni fornite dalle singole regioni e reperibili on-line, che attualmente sono riportate nei siti web delle singole regioni in modo diverso, talora poco accessibile. Le informazioni standardizzate (Rete dei Materiali di Base) potrebbero essere comunicate all’ufficio DIFOR4 della Direzione generale dell’Economia Montana e delle Foreste, che potrebbe fungere da collettore di tutte le informazioni a livello nazionale associando le informazioni dei singoli popolamenti alla carta delle regioni di provenienza, nonché rendere questi dati disponibili a livello europeo.

Alla luce dell’importanza del mantenimento dei caratteri genetici dei popolamenti di raccolta, è inoltre necessario che si proceda ad una standardizzazione del sistema di raccolta e conservazione delle sementi secondo procedure che possano condurre ad un sistema che, inizialmente, ne attesti la correttezza e, in futuro, confluisca in un sistema di certificazione nazionale. Tali procedure dovranno includere specifiche relative al numero minimo di piante da cui raccogliere per singolo popolamento (da mettere in relazione con l’estensione del popolamento e la presenza della specie, soprattutto se sporadica), la distanza minima tra le piante madri di un singolo popolamento, le modalità di trasporto e di conservazione del seme, le procedure per stimolare la germinazione.

Creazione di centri interregionali per la raccolta e la conservazione delle sementi

Se puntiamo ad evitare, o quantomeno a minimizzare, la perdita di informazione genetica a livello di specie e di habitat, è altrettanto importante che tutte queste operazioni vengano affidate a personale specializzato e appositamente formato. La conservazione ed il trattamento dei semi, se eseguiti correttamente, richiedono conoscenze specifiche, spostamenti sul territorio, in bosco e sulle piante, procedure adatte e strutture con strumentazioni apposite, tutti fattori che rendono questo segmento della filiera molto oneroso. Con il passaggio delle competenze alle Regioni, queste operazioni vengono oggi gestite da almeno venti unità amministrative (a cui si aggiungono quelle gestite dai Carabinieri Forestali), che alternano differenti livelli di efficienza e che non favoriscono un’efficace rete a livello nazionale. A nostro avviso, la conservazione e il trattamento dei semi ai fini della germinazione dovrebbero convergere in centri specializzati, da selezionare sul territorio nazionale, in cui le procedure possano essere standardizzate per le singole specie in maniera uniforme per tutti i vivai. Tra le regioni del bacino padano all’inizio degli anni 2000 era stata organizzata e formalizzata una collaborazione per lo studio della biodiversità delle principali specie di interesse forestale, il coordinamento della individuazione di popolamenti da seme e lo scambio di materiali di propagazione di origine certa e certificata (rete BIOFORV). Attualmente tale rete non è operativa come in passato, ma questa esperienza rappresenta un utile precedente che ora potrebbe essere ripreso, migliorato ed esteso ad altre aree del paese. Pertanto, sosteniamo la proposta di focalizzare gli sforzi su alcuni centri vivaistici regionali o provinciali, ben distribuiti in modo da coprire le principali regioni di provenienza italiane (vedi DM N. 269708 del 11/06/2021), prevedendo che la loro attività sia a carattere sovraregionale. La gestione dei centri interregionali richiede accordi e condivisioni anche dal punto di vista economico, pur lasciando in capo all’ente gestore l’onere della gestione operativa del centro: un modello di riferimento può essere quello degli accordi interregionali siglati nel 2016 per l’incremento del prelievo legnoso in ambito boschivo.

In Italia sono da lungo tempo operativi i due “Centri Nazionali Carabinieri Biodiversità” gestiti dal Raggruppamento Carabinieri Biodiversità, siti a Peri (comune di Dolcè, VR) e Pieve Santo Stefano (AR); la loro esperienza in termini di raccolta e conservazione delle sementi ed il loro attuale coinvolgimento in progetti a scala nazionale ed internazionale di conservazione della biodiversità vegetale ne fa delle preziose strutture da potenziare. A questi si aggiungono 5 nuovi centri, recentemente nominati con D.M. 21 marzo 2022 (GU Serie Generale n.141 del 18-06-2022 “Individuazione dei Centri nazionali per lo studio e la conservazione della biodiversità forestale” - CNSCBF), che sono: (i) UNIFI-DAGRI, Laboratorio semi Università di Firenze - sezione Foreste Ambiente Legno Paesaggio; (ii) CREA-FL, Centro di ricerca foreste e legno del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria; (iii) CNR-IPSP, Istituto per la protezione sostenibile delle piante (IPSP), Dip. Biodiversità degli ecosistemi agro-forestali (Biodiv); (iv) Centro regionale di Castanicoltura del Piemonte; (v) Castagneto didattico-sperimentale di Granaglione (Emilia-Romagna). Secondo il decreto i 7 CNSCBF sono abilitati alla certificazione ufficiale delle analisi sulla qualità dei semi forestali e possono coadiuvare le Regioni nell’individuazione dei MB collaborando con i Centri di ricerca e le istituzioni europee e nazionali che operano nel campo della conservazione delle risorse genetiche forestali. In questo senso i CNSCBF dovranno contribuire, in modo collaborativo e interattivo, al rafforzamento delle conoscenze e delle azioni di filiera vivaistica nazionale, regionale e locale, dagli ecosistemi forestali indicati come fonte di materiali forestali di base fino agli aspetti di produzione di qualità, certificazione, formazione e comunicazione.

Partenariato attivo

Produzione delle piantine e supporto del settore vivaistico privato

Le capacità produttive dell’attuale sistema di vivai forestali pubblici, oltre alle disuguaglianze in termini di efficienza sul territorio nazionale, non sono ad oggi in grado di soddisfare le nuove sfide che ci attendono. Pertanto è auspicabile che anche il settore privato inizi a misurarsi con le richieste del mercato delle piante forestali in termini di livello qualitativo certificato, tempi di realizzazione e costi; in questo senso, molti attori del settore hanno manifestato un notevole interesse.

Vista la complessità e l’interesse pubblico nella fase iniziale della filiera (raccolta e lavorazione del seme), il settore privato potrebbe molto efficacemente occuparsi del successivo segmento della filiera: la produzione di piantine a partire da semi germinati, gestendo sviluppo e crescita fino alla vendita dei MFM. Laddove i Centri interregionali non disponessero di manodopera e di attrezzature specializzate per la raccolta dei semi, questa attività potrebbe essere affidata a ditte specializzate che, previa adeguata formazione e sotto uno stretto controllo pubblico, potrebbero garantire l’efficienza e la flessibilità che spesso il settore pubblico non è in grado di offrire. Il PNRR nazionale e le misure economiche europee di ripresa economica raccomandano fortemente un’evoluzione del mondo produttivo caratterizzata da un avanzato livello di digitalizzazione e di una marcata razionalizzazione delle procedure e normative. Di fatto il settore pubblico avrebbe l’onere di formare dei lavoratori specializzati nella raccolta in natura di materiali di propagazione di base (semi e talee) e successivamente potrebbe siglare con ditte che li impieghino dei contratti pluriennali di fornitura di quantitativi di materiali di propagazione, funzionali alla attuazione di pianificati programmi pluriennali di forestazione. Si ricorda a questo proposito che nelle recenti Linee guida per la programmazione della produzione e l’impiego di specie autoctone di interesse forestale, il MiPAAF ha introdotto elementi guida per la stipula di contratti di coltivazione che prevedono particolare attenzione per la provenienza dei materiali richiesti, la raccolta dei semi e la produzione, includendo inoltre la certificazione di qualità come elemento qualificante il vivaista. Una seconda attività specializzata che potrebbe essere affidata al settore privato è quella della produzione di sementi di specie erbacee adatte agli interventi estensivi di ricostruzione di habitat ricchi di specie erbacee in contesti di restauro ambientale post-disturbo (cave, grandi opere viarie, ecc.) o in aree naturali protette o facenti parte della Rete Natura 2000. In questo secondo caso potrebbero essere siglati accordi con aziende private specializzate già attive nella produzione sementiera.

Tracciabilità dei MFM: verso un futuro sistema di certificazione

Ai fini di garantire un efficiente funzionamento di tutta la filiera e di poter monitorare gli interventi realizzati a partire dalle piante da cui si raccoglie il seme, è opportuno pianificare un apposito sistema di controllo che potrebbe essere inizialmente realizzato sotto forma di attestazione e poi confluire in un vero e proprio sistema di certificazione.

A tal proposito, la Regione Veneto ha creato un proprio marchio di certificazione che potrebbe fungere da base per un futuro sistema nazionale di tracciabilità. Il marchio “PiantaNativa”, di proprietà dell’agenzia regionale Veneto Agricoltura, è stato progettato come strumento per favorire l’impiego di piante e semi di specie vegetali autoctone all’interno della regione di provenienza entro cui il seme di origine è stato raccolto. Basandosi su schemi di certificazione volontaria, esso si estende a tutte le specie prodotte dai vivai dell’agenzia (arboree, arbustive ed erbacee). I contenuti del marchio sono definiti nel disciplinare e nei relativi allegati, mentre uno specifico regolamento ne norma l’uso. Nel merito, il marchio prevede la figura di soggetti interessati a vario titolo, coinvolti in una o più fasi del processo, che attribuisca valore alla provenienza del materiale vivaistico, sulla base dei rispettivi ruoli all’interno della filiera: (i) raccolta del materiale di moltiplicazione; (ii) produzione di piante; (iii) coltivazione delle piantine; (iv) produzione e conservazione di sementi; (v) vendita di piante e sementi. I cardini (obblighi) del marchio in sintesi sono:

  • materiali di moltiplicazione (semi o talee) raccolti in popolamenti naturali autorizzati dal proprietario del Marchio (nonché l’iscrizione registri di cui al D.lgs 386/2003 per le specie comprese nel relativo allegato 1);
  • rintracciabilità lungo le varie fasi di processo dalla raccolta del materiale di moltiplicazione fino alla vendita (UNI EN ISO 22005);
  • obbligatoria trasparenza nella comunicazione all’utente finale.

Fregiarsi del marchio in una o più di queste fasi in sostanza comporta, per i soggetti che decidono di aderirvi, il rispetto di obblighi, tra i quali la certificazione UNI EN ISO 22005, l’adozione del disciplinare e la conseguente accettazione di regole, limitazioni e controlli previsti nel regolamento d’uso e il sottoporsi ad audit annuali. Tra gli aspetti cogenti, particolarmente rilevante è l’obbligo di comunicare formalmente al cliente il popolamento e la relativa Regione di Provenienza del materiale vegetale, fornendo tutte le informazioni utili all’identificazione delle Regioni di Provenienza. Si tratta di un processo principalmente “culturale”, esso deve necessariamente essere assimilato primariamente dai potenziali o attuali committenti di interventi di impianto, forestazione, ripristino ecc., affinché possa suscitare adeguato interesse negli operatori e quindi divenire uno strumento riconosciuto e qualificante.

Creazione di un portale nazionale per sementi e piantine

La necessità di una razionalizzazione del settore emerge da un lato dalle difficoltà a organizzare una programmazione su base nazionale per progetti di grande respiro, dall’altro dall’analisi della quota e destinazione del materiale che annualmente, pur essendo idoneo alla piantagione, rimane a invecchiare in vivaio con conseguente peggioramento della sua qualità. Per sfruttare al meglio la varietà dei MB, in termini di regioni di provenienza e quindi di capacità di adattamento, si prefigura come imprescindibile la predisposizione di una piattaforma di scambio dove si possano incontrare e confrontare, per il territorio nazionale, la disponibilità del MFM (caratterizzato con informazioni dettagliate) e la domanda prevista su un periodo di non meno di 5 anni come effetto delle politiche forestali e ambientali.

Il portale nazionale dovrebbe coinvolgere tutti i soggetti della filiera in accordo con le informazioni relative ai MFM e MB previste dal D.Lgs. 386/2003: i vivaisti, gli utilizzatori del MFM (professionisti, enti pubblici, enti privati, privati cittadini) e gli organi ufficiali:

  • I vivaisti (e i centri interregionali) utilizzeranno il portale per comunicare la consistenza dei propri vivai in termini di disponibilità di semi o altri materiali di moltiplicazione, di talee, di semenzali da aggiornare ogni anno con specifiche informazioni relative alle caratteristiche di ogni materiale (informazioni relative al cartellino come previsto dal D.Lgs. 386/2003 e aggiuntive informazioni utili a chi si occupa della piantagione, come età, tipo di allevamento, ecc.)
  • I privati potranno inoltrare la domanda ai vivaisti di materiale loro necessario e prenotarlo (ad un vivaio prescelto o a tutti i vivai per identificare quello disponibile), oppure richiedere di avviare la produzione di materiale specifico, potendo così disporre di quello che ritengono più opportuno.

Il portale potrebbe lavorare in stretto collegamento col sito web MiPAAF, per essere utilizzato anche, ad es. per gestire procedure ufficiali come la richiesta di certificazione da parte di un privato per la produzione di MFM ai sensi del D.Lgs. 386/2003. Potrebbe inoltre, a complemento delle pagine della DIFOR, contenere e aggiornare l’elenco dei MB disponibili in ogni regione, georeferenziati per favorire la scelta di quelli più opportuni sulla base delle esigenze del progetto di piantagione.

A seconda delle informazioni che sarà ritenuto opportuno includere, dal portale sarà possibile monitorare lo stato del settore vivaistico forestale nazionale, ricavando dati e statistiche di dettaglio (vivai attivi, occupati, produzione, vendita, specie, ecc.).

Formazione e comunicazione

Formare personale specializzato

L’attività vivaistica a finalità forestale ed ambientale non è mai stata oggetto in Italia di particolare attenzione nel campo della formazione. Solo in pochi atenei italiani, nell’ambito dei corsi di laurea in Scienze Forestali, si forniscono nozioni tecniche sulle attività vivaistiche e altrettanto raramente la materia è trattata negli Istituti Tecnici agrari. Generalmente, vengono trattati gli aspetti più teorici e trascurate le nozioni di tipo pratico, indispensabili per poter gestire in modo professionale un moderno centro vivaistico. Di fatto la formazione dei quadri tecnici è lasciata a forme di trasmissione informale del sapere e, anche a livello di maestranze operaie, poche sono le opportunità di acquisizione di competenze specifiche legate alla raccolta dei semi ed alla produzione delle piantine. Il quadro illustrato costituisce un grave handicap nel momento in cui, a livello nazionale, si vuole rilanciare a grande scala la produzione di alberi ed altri vegetali da destinare a programmi di forestazione su ampia scala.

Analogamente a quanto fatto con successo nel campo della formazione sui lavori forestali con il progetto For-Italy, coordinato dal MiPAAF, sarebbe auspicabile lanciare un programma nazionale volto alla formazione delle maestranze che operano nel settore vivaistico forestale. Tali attività potrebbero essere gestite dai Centri interregionali e/o dai nuovi Centri Nazionali per la Biodiversità e potrebbero essere coordinate da un unico soggetto a scala nazionale come avvenuto per For-Italy. In tal senso, l’esperienza di Veneto Agricoltura nel settore vivaistico forestale e in quello della formazione e divulgazione tecnica, potrebbe essere messa a sistema, in stretto rapporto con il MiPAAF.

Comunicare per rendere più efficace la vivaistica forestale

Qualsiasi settore produttivo ha due esigenze principali di comunicazione: verso l’interno e verso l’esterno.

La comunicazione verso l’interno ha lo scopo di rendere e mantenere efficace l’operatività di tutti gli attori ed è sollecitata dalla SFN (Azione Operativa C.1 - Informazione e responsabilità sociale e ambientale dei cittadini). Per la vivaistica forestale l’informazione dovrebbe riguardare principalmente la pubblica amministrazione, la ricerca, i raccoglitori di semi e i vivaisti, pubblici e privati. I contenuti della comunicazione dovrebbero riguardare: (i) gli aggiornamenti normativi; (ii) la previsione del fabbisogno e la reale disponibilità di seme, per ognuna delle specie impiegabili e per ogni area ecologica del paese; (iii) la disponibilità di materiale di propagazione prodotto dai vivai pubblici acquistabile dai vivai privati per la produzione da seme o l’accrescimento e l’immissione nel mercato.

Per questo tipo di comunicazione serve prima di tutto un sistema di raccolta delle informazioni utili. Successivamente gli strumenti da utilizzare possono sintetizzarsi in un sito web, con area pubblica e area riservata agli operatori, e una newsletter periodica per aggiornare gli operatori, da diffondere tramite liste di distribuzione.

La comunicazione verso l’esterno dovrebbe essere rivolta a tecnici pubblici e privati impegnati nella progettazione e nella realizzazione di nuove piantagioni, ad imprese di servizi agro-forestali, gruppi ambientalisti, associazioni di cittadini, scuole tecniche, professionisti forestali e, più in generale, verso tutti i cittadini interessati a servirsi di materiale vivaistico forestale. In questo caso la comunicazione dovrebbe riguardare sia informazioni di carattere generale che operativo, come ad esempio principi generali per:

  • la scelta delle specie e delle provenienze adatte ad una determinata area;
  • la definizione di spazi adeguati allo sviluppo radicale e aereo delle specie individuate;
  • i criteri per la valutazione della qualità vivaistica;
  • le accortezze da adottare per la conservazione del materiale vivaistico in attesa della messa a dimora;
  • i criteri per la messa a dimora;
  • la valutazione della necessità di protezioni contro la fauna;
  • la stima della necessità di irrigazioni di soccorso o dell’esigenza di eliminare le alte erbe;
  • l’indicazione di quali vivai sono in grado di fornire le specie e le provenienze prescelte e le tempistiche idonee per ordinarle;
  • protocolli operativi per la realizzazione di piantagioni forestali;
  • la disponibilità di tecnici in grado di supportare organizzazioni e cittadini poco esperti nella messa a dimora e nella gestione delle piantagioni.

Anche per questo tipo di informazioni serve un sistema di raccolta delle informazioni a cui deve affiancarsi un potente sistema di comunicazione e coinvolgimento dei destinatari. La comunicazione verso un pubblico ampio richiede l’adozione di strumenti in grado di catturare prima l’attenzione e poi di soddisfare le esigenze. Ciò significa attivare sistemi web multimediali in cui siano integrati testi, immagini, video, podcast e attraverso i quali si possano coinvolgere i destinatari anche in attività in presenza e, se necessario, brevi stage di formazione/informazione.

Conclusioni 

La vivaistica è un settore di grande interesse nazionale. Ciò vale sicuramente per il settore ornamentale dove emergono aziende leader italiane in ambito europeo e mondiale; al contrario, il settore specifico di vivaistica forestale, pur avendo una tradizione e un impianto legislativo all’avanguardia, versa in uno stato di crisi generalizzata determinata da traiettorie ed eventi socio-politici, ambientali ed economici occorsi negli ultimi decenni. Ciononostante, restano dei fondamentali punti di forza, a scala regionale e locale, includendo non solamente il settore pubblico ma anche iniziative private e/o di categoria. Si tratta in ogni caso di realtà che, seppur frammentate, esprimono valori di grande qualità e di importanza strategica per il paese.

In vista del rinnovato ruolo strategico che si attende dalle foreste, dalle filiere forestali e dall’intero comparto istituzionale e di ricerca, è evidente e urgente la necessità di rifondare rapidamente ed efficacemente il mondo della vivaistica forestale coniugando organizzazione e attività in modo innovativo. In effetti, la vivaistica forestale è molto di più che la semplice predisposizione di ambienti dedicati alla preparazione di materiali di propagazione di base. Mai come ora, è chiaro che scegliere e preparare piante “giuste” per il posto giusto sia il frutto di un lavoro di collaborazione e di integrazione proattiva di conoscenze e competenze che vanno dalla genetica degli alberi forestali ai substrati, dall’ecologia del seme ai contenitori, dalla fisiologia vegetale alle tecniche colturali, dalla governance ambientale al dialogo tra istituzioni, produttori e utilizzatori. È quindi necessario sviluppare collaborazioni inter-istituzionali fattive e concrete, allocare investimenti adeguati per il supporto prospettico del settore, definire ambiti di dialogo e piattaforme conoscitive aperte, incrementali, chiare e continuamente aggiornate. Nell’affrontare la sfida della crisi climatica, il ruolo dell’Italia sarà fondamentale non solo quale Paese e soggetto socio-economico e ambientale di riferimento, ma anche considerando la sempre maggiore richiesta di disponibilità di MFM da popolazioni meridionali europee in modo da valutare e introdurre caratteri di risposta e resilienza ecologica alle nuove condizioni climatiche che caratterizzano l’Europa centrale e settentrionale. Questo tema è - e sempre più sarà - fondamentale per le foreste europee. Per questo la finestra della vivaistica italiana dovrà necessariamente essere aperta a Sud. Il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo è consolidato e attivo in molti settori economici, culturali, sociali e ambientali: da oggi l’Italia deve rappresentare un “ponte” aperto, forte e autorevole fra i paesi del Mediterraneo e l’Europa anche nel mondo delle foreste e, in particolare, della vivaistica forestale.

Parliamo spesso di incentivare iniziative “green”. Si tratta di un tema chiave nell’ambito di Green deal e di Next Generation Europe così come nell’ambito delle Strategie nazionali in campo ambientale, paesaggistico, agricolo e forestale. Ebbene, rilanciare in modo innovativo la filiera legata alla produzione di MFM di qualità contribuirà sostanzialmente a sviluppare occupazione, qualificata e attraente, visto che la vivaistica è considerata un pilastro sia nelle strategie europee che nazionali relative ad ambiente, cambiamenti climatici, sicurezza del territorio, approvvigionamento idrico, servizi ecosistemici, biodiversità e recupero ecologico. D’altra parte la sfida si gioca qui e ora. Una sfida strategica per il presente e per il futuro dei nostri territori, delle nostre foreste, del nostro pianeta. Una sfida che comporta responsabilità e impegno da molte parti ma che può sicuramente dare frutti, concreti e duraturi, sia nel settore specifico della vivaistica, sia in campo forestale, ambientale e paesaggistico.

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